Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12102 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. III, 22/06/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 22/06/2020), n.12102

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

B.C., C.S., D.P.,

G.F., R.A., A.L., AU.GA.,

D.N.A., F.A., P.G., RO.AN., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA NICOLA TARTAGLIA N. 21, presso lo studio

dell’avvocato SALVATORE FORGIONE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2144/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 31.3.2017 n. 2144, decidendo sulla controversia, avente ad oggetto il risarcimento del danno da inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di trasporre entro il termine del 31.12.1982 la direttiva 75/363/CEE come modificata dalla direttiva 82/76/CEE, promossa da alcuni medici che avevano conseguito il diploma di specializzazione senza poter percepire la adeguata remunerazione loro riconosciuta dall’ordinamento comunitario:

a) ha confermato la statuizione della decisione di prime cure che aveva dichiarato inammissibile l’intervento volontario spiegato in giudizio da A.L., Au.Ga., D.N.A., F.A., P.G. e Ro.An., non ravvisando nelle autonome pretese da quelli avanzate alcun nesso di connessione o collegamento con il concreto bene od oggetto sostanziale dedotto in lite dagli originari attori;

b) ha rigettato le domande risarcitorie proposte dai medici B.C., C.S., D.P., G.F. ed R.A. in quanto gli stessi avevano conseguito titoli di specializzazione non ricompresi negli elenchi della direttiva 75/362/CEE.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata dai predetti medici con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. Primo motivo: violazione artt. 105,267 e 268 c.p.c., art. 111 Cost., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Viene impugnata la statuizione della Corte d’appello che ha confermato la pronuncia del primo Giudice dichiarativa della inammissibilità dell’intervento in causa spiegato in primo grado da A.L., Au.Ga., F.A., D.N.A., Ro.An., e P.G..

Lamentano i ricorrenti che il Giudice di appello non avrebbe fatto buon governo delle norme del codice di rito che regolano l’intervento volontario in giudizio, sostenendo che era errata l’affermazione secondo cui si palesavano distinti rapporti giuridici contrattuali che prospettavano al più questioni analoghe, atteso che tutti i soggetti, attori originari ed intervenuti, lamentavano il medesimo danno per mancato adempimento della obbligazione ex lege gravate sullo Stato membro.

1.1 Il motivo è fondato.

1.2. E’ opportuno prendere le mosse dalla sentenza n. 10274 del 2009 delle Sezioni Unite di questa Corte alla quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri resistente si è richiamata nel controricorso per sostenere la correttezza della decisione impugnata che aveva statuito per l’inammissibilità dell’intervento.

Detta sentenza, come si è detto, ha stabilito il principio secondo cui il diritto che, ai sensi dell’art. 105, comma 1, cit., il terzo può far valere in un giudizio pendente tra altre parti deve essere relativo all’oggetto sostanziale dell’originaria controversia, da individuare in relazione al petitum e alla causa petendi, ovvero dipendente dal medesimo titolo dedotto nel processo a fondamento della domanda giudiziale originaria, rimanendo irrilevante la mera identità di alcune questioni di diritto la quale, configurando una connessione impropria, non consente l’intervento del terzo nel processo.

Con riguardo a questa pronuncia vanno chiariti innanzitutto due aspetti, l’uno formale e l’altro sostanziale.

Il primo è che la decisione di quel ricorso da parte delle Sezioni Unite non fu determinata dalla necessità di risolvere, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, un contrasto di giurisprudenza o una questione di massima di particolare importanza; il ricorso fu rimesso all’esame delle Sezioni Unite perchè uno dei motivi poneva una questione di giurisdizione, ai sensi dell’art. 374, comma 1, cit., che richiama l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1). Ne consegue che il pronunciamento delle Sezioni Unite sulla questione dell’intervento non è dotato della forza particolare e specifica che segue alla decisione di un contrasto o di una questione di particolare importanza, anche se, provenendo da detto consesso, non ne può essere svalutata l’efficacia persuasiva quanto ai principi affermati.

Il secondo elemento, di natura sostanziale, riguarda invece il contenuto della domanda proposta in quel giudizio nel quale, com’è noto, si discuteva di danni alla persona derivanti dal consumo di sigarette con l’utilizzo della dicitura light; nella causa, inizialmente proposta da un solo soggetto, vi fu poi l’intervento di un secondo soggetto che lamentava il medesimo tipo di danno, intervento che il giudice di merito aveva ammesso e che questa Corte, invece, considerò inammissibile in accoglimento del secondo motivo di ricorso. La sentenza n. 10274 ritenne che l’autonomia della domanda proposta dalla parte interveniente fosse dimostrata “dalla diversità delle circostanze storiche e materiali” sulle quali essa si fondava rispetto alla domanda dell’originario attore. Si trattava, quindi, di una causa di risarcimento danni da fatto illecito, il che consente di marcare una prima significativa differenza rispetto al caso odierno, avente ad oggetto una fattispecie di responsabilità contrattuale. Per giurisprudenza ormai consolidata, infatti, la responsabilità dello Stato italiano nei confronti dei medici specializzandi conseguente al mancato o ritardato adempimento delle note direttive Europee va inquadrata nella figura della responsabilità contrattuale, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente (così già le Sezioni Unite nella sentenza 17 aprile 2009, n. 9147, poi ulteriormente chiarita e completata dalla sentenza 17 maggio 2011, n. 10813, entrambe costantemente ribadite in seguito).

1.3. Tanto premesso, giova richiamare il contenuto delle norme del codice di rito che devono essere tenute presenti ai fini della risoluzione della questione in esame. Prima disposizione è quella dell’art. 33 c.p.c. (cumulo soggettivo), a norma del quale le cause “contro più persone che a norma degli artt. 18 e 19 dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, se sono connesse per l’oggetto o per il titolo possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse, per essere decise nello stesso processo”. Strettamente collegato con l’art. 33 è l’art. 103 c.p.c., che, regolando il litisconsorzio facoltativo, stabilisce che più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo “quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni”. Segue l’art. 105 c.p.c., comma 1, il quale, disciplinando l’intervento volontario, prevede che ciascuno “può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo”. Leggendo queste norme in collegamento tra loro, emerge che gli artt. 33 e 103 utilizzano la medesima espressione di connessione “per l’oggetto o per il titolo”, mentre l’art. 105, comma 1, parla di “diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo”. L’espressione usata da quest’ultima norma, peraltro, si riferisce ad entrambe le ipotesi che essa disciplina, cioè sia a quella in cui il diritto fatto valere dall’interveniente lo è contro tutte le partì del processo originario (c.d. intervento principale), sia a quella in cui lo è solo nei confronti di alcune di esse (c.d. intervento litisconsortile o, detto altrimenti, adesivo autonomo, per distinguerlo da quello identificato dell’art. 105, comma 2, cioè dal c.d. intervento adesivo dipendente). In entrambe le ipotesi il nesso con il processo originario, cioè la relazione giuridica con il diritto oggetto del processo originario in cui l’intervento avviene, è sempre quello della relatività al suo oggetto o della dipendenza dal titolo che in esso risulta dedotto.

La Corte d’appello, come si è detto, ha rilevato che nel caso in esame le domande avanzate dalle parti intervenienti avevano in comune con quelle degli attori soltanto “l’identità delle questioni giuridiche, ma non anche dell’oggetto e del titolo”, ed ha per questo dichiarato inammissibile l’intervento, trattandosi a suo dire di connessione impropria. Ha dunque escluso che il diritto fatto valere dai medici intervenienti fosse relativo all’oggetto o dipendente dal titolo introdotto nel processo originario ed invece, evocando il concetto della identità di questioni giuridiche, ha mostrato di intendere la relazione fra le domande dei medici originari attori e quelle dei medici intervenuti come riconducibile alla fattispecie di cumulo di domande che il Codice individua dell’art. 103, comma 1, u.p., come ipotesi di litisconsorzio facoltativo iniziale.

Ipotesi che la dottrina concorda essere estranea all’art. 105 c.p.c., e tale da non consentire l’intervento volontario.

1.4. Ritiene questo Collegio, al contrario, che il corretto inquadramento giuridico della fattispecie conduca ad una conclusione opposta.

Il caso odierno riguarda un’ipotesi di intervento da inquadrare nella figura dell’intervento litisconsortile o adesivo autonomo, perchè i terzi intervenuti hanno proposto una domanda nei confronti di una delle parti, assumendo una posizione del tutto compatibile con quella degli attori originari. Ciò che occorre chiarire è se si tratti di un intervento giustificato dalla ricorrenza di una relatività all’oggetto del processo originario oppure dalla ricorrenza di una dipendenza dal titolo in esso dedotto.

E’ pacifico che le domande proposte dai singoli medici oggi ricorrenti non abbiano identità di oggetto: una volta considerato che quello che l’art. 105, comma 1, cit. indica come “oggetto” (così come dell’art. 103), comma 1, si identifica col “bene della vita” di cui si chiede tutela con la domanda, si rileva che nella specie la domanda di condanna al risarcimento dei danni proposta dai medici intervenuti nel giudizio, rispetto a quelle proposte dai medici originari attori, riguarda per ciascuno di essi, come del resto per ciascuno degli originari attori, un “bene della vita” diverso: per ognuno dei medici originari attori e per ognuno dei medici intervenuti, detto bene è il proprio credito risarcitorio, la pretesa alla somma di danaro che, come tale, è diversa per ciascuno di loro, in quanto ad ognuno spettante in via esclusiva.

La diversità dell’oggetto, però, non toglie che il giudizio promosso da ciascuna dalle parti intervenienti si caratterizzi, rispetto a quello promosso dai medici attori originari, secondo una relazione di dipendenza dallo stesso titolo e ciò per la connessione derivante dalla parziale coincidenza della causa petendi, appunto del “titolo”, di ciascuna delle domande dei medici, attori originari e interventori.

In particolare, ognuna delle domande dei medici interventori dipende dal titolo già dedotto a fondamento di ciascuna delle domande dei medici originari attori con la causa principale. Infatti, la fattispecie costitutiva del diritto fatto valere sia dai medici originari attori sia dai medici interventori presenta un fatto costitutivo identico e comune, rappresentato dall’inadempimento dello Stato italiano alle note direttive Europee (n. 75/362, n. 75/363, n. 82/76 e n. 93/16 CEE), che ha determinato effetti lesivi generalizzati nei confronti dell’intera platea dei medici con riguardo ai quali quelle direttive avrebbero dovuto essere adempiute (illecito plurioffensivo, come risultante dalla citata sentenza delle Sezioni Unite e dalla successiva sentenza n. 10813 del 2011).

Ne consegue che, essendo quell’inadempimento immediatamente lesivo della posizione di ogni medico rimasto escluso dal regime del D.Lgs. n. 257 del 1991, tutti i medici, fra i quali gli odierni ricorrenti, senza necessità del verificarsi di altri fatti, divennero soggetti lesi da detto comportamento; per cui le domande avanzate da ciascuno di loro presentano il presupposto della dipendenza del diritto dallo stesso titolo, come richiesto dall’art. 105 c.p.c.; si è determinata, cioè, una situazione di connessione per dipendenza dal titolo.

Questa particolare connotazione fa sì che le domande singolarmente proposte da tutti i medici sarebbero state da inquadrare nella connessione per il titolo, ai sensi dell’art. 103 cit., se proposte congiuntamente fin dall’inizio; la realizzazione del cumulo attraverso lo strumento dell’intervento consente di inquadrarle nell’ambito della dipendenza dal medesimo titolo, ai sensi dell’art. 105, comma 1, più volte citato.

D’altra parte, quest’ultima disposizione non impone la identità del titolo, cioè che la fattispecie costitutiva del diritto sia identica, ma parla per quanto qui interessa – di diritto… dipendente dal titolo: l’identità del titolo di ciascun diritto è negata dallo stesso fatto che l’interventore fa valere un proprio diritto, cioè un diritto che risulta individuato rispetto a lui da specifici altri fatti, non comuni agli altri medici; e, dunque, proprio per questo la fattispecie costitutiva del suo diritto non coincide completamente con quella del diritto originariamente introdotto nel processo.

Calando questo rilievo nella fattispecie delle domande risarcitorie dei medici originari attori e dei medici intervenuti, la parte della fattispecie costitutiva del diritto fatto valere da ognuno, da cui ognuno di essi dipende, è il comportamento statale, che, come si è detto, è riferibile in via immediata nella sua efficacia lesiva, da quando si è verificato, a ciascuno dei medici. La concreta frequenza del corso di specializzazione da parte di ognuno dei medici con le caratteristiche che imponevano di beneficiare dell’adempimento statuale rappresenta certamente un fatto costitutivo ulteriore, riferibile solo a ciascun medico. Ma ciò non elide che per tutti i medici sussista la dipendenza del diritto fatto valere dal comportamento statuale che, come si è detto, è immediatamente plurioffensivo verso ognuno dei medici.

Così correttamente inquadrati i termini giuridici del problema, si vede che la soluzione oggi accolta non è in contrasto col principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza suindicata. In quell’occasione, infatti, non vi era alcuna parziale identità della causa petendi, ma solo identità di questioni; porre in vendita sigarette con la dicitura light – che poi si sono rivelate ugualmente dannose per la salute – rappresentava un fatto che accomunava la domanda dell’attore originario a quella del successivo interventore, ma la fattispecie generatrice del danno era diversa per ciascuno e si perfezionava solo con l’acquisto delle sigarette, ovviamente verificatosi in circostanze diverse.

Nella fattispecie decisa dalle Sezioni Unite il comportamento dello Stato, consistito nel mettere in vendita le sigarette con quella dicitura, non essendo identificati gli acquirenti, per non essersi ancora verificato l’acquisito, non appare un comportamento plurioffensivo, cioè lesivo delle posizioni di ciascun acquirente; perciò il fatto costitutivo della messa in vendita non rappresenta il “titolo” da cui dipende la pretesa risarcitoria di ognuno, ma solo un fatto storico che assume rilevanza quando ognuno dei consumatori acquista e che, dunque, diventa riferibile a ciascuno solo al momento dell’acquisto, mentre, quando viene tenuto, non è riferibile a ciascuno.

Poichè, alla luce di quanto detto, il comportamento dello Stato diventa offensivo per ognuno degli acquirenti solo al momento dell’acquisto, perchè la fattispecie costitutiva del diritto di ognuno si completa solo con l’acquisto, il comportamento di messa in vendita diventa offensivo solo in questo momento e, dunque, rileva come tale per ciascun acquisto ed individua il soggetto leso solo in dipendenza dello stesso. Le domande di ciascun acquirente giustificate dall’acquisito del singolo non possono risultare dipendenti dallo stesso “titolo”, ma ineriscono a rapporti giuridici distinti la cui disciplina suppone solo la risoluzione della identica questione rappresentata dall’apprezzamento giuridico della messa in vendita delle sigarette.

La fattispecie decisa dalle Sezioni Unite era riconducibile, dunque, alla figura del litisconsorzio facoltativo improprio.

1.5. Si impongono, infine, alcune ulteriori precisazioni.

Se è vero che ammettere la possibilità dell’intervento in cause come quella odierna risponde, tra l’altro, anche ad un obiettivo di concentrazione delle risorse in modo da evitare il moltiplicarsi dei processi ed il conseguente rischio di decisioni contraddittorie, è altrettanto vero che bisogna tenere presenti anche i rischi derivanti dalla gestione di cause con un numero esagerato di parti. Viene in aiuto in questo senso, però, la disposizione dell’art. 103 c.p.c., comma 2, a norma del quale il giudice può disporre la separazione delle cause “quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo”. Se, infatti, il giudice dispone di un simile potere quando le domande sono state proposte cumulativamente fin dall’inizio, il medesimo potere deve ritenersi esistente anche in un’ipotesi come quella odierna nella quale il processo diventa cumulativo a seguito dell’esplicarsi dell’intervento, pur ammissibile. Piuttosto che pervenire alla conclusione raggiunta dalla Corte di merito nel giudizio odierno – che ha chiuso ogni margine all’intervento dei medici, con una pronuncia di mero rito che imporrebbe di ricominciare da capo l’intero giudizio – appare preferibile la soluzione di ammettere l’intervento e di riconoscere al giudice di merito la facoltà, in caso di bisogno, di disporre la separazione allo scopo di evitare cause congestionate dal numero eccessivo delle parti.

p. 2. Secondo motivo: violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., art. 101 c.p.c., comma 2 e art. 183 c.p.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostengono i ricorrenti – B.C., C.S., D.P., G.F. ed R.A. – che la Presidenza della Consiglio dei Ministri non aveva espressamente contestato il “riconoscimento” comunitario dei diplomi di specializzazione in possesso dei medici, se non tardivamente (soltanto con la comparsa di costituzione in grado di appello e poi ancora con la comparsa conclusionale), e dunque sulla questione doveva ritenersi formato il giudicato interno, e pertanto il Giudice di appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile per novità la eccezione formulata per la prima volta in quel grado di giudizio.

2.1 Il motivo è inammissibile.

La pretesa formulata dai ricorrenti include – nell’onere di allegazione e prova – dei fatti costitutivi anche l’inserimento del diploma di specializzazione conseguito, nell’elenco allegato alla direttiva o tra quelli per i quali opera la disciplina del riconoscimento intracomunitario.

Tale condizione è stata definitivamente affermata dalla Corte di Giustizia della Unione Europea nella sentenza 24 gennaio 2018, resa su rinvio di questione pregiudiziale, in cause riunite C-616/16 e C-617/16, Presidenza del Consiglio dei Ministri e altri c/ Gianni Pantuso e altri: “Occorre poi ricordare che l’obbligo, per gli Stati membri, di garantire una remunerazione adeguata si applica soltanto in riferimento alle specializzazioni mediche comuni a tutti gli Stati membri ovvero a due o più di essi e menzionate negli artt. 5 o 7 della direttiva 75/362/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (GU 1975, L 167, pag. 1) (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2000, Gozza e altri, C-371/97, EU:C:2000:526, punto 35 nonchè la giurisprudenza ivi citata).”.

Ne segue che l’accertamento dei fatti costitutivi della pretesa è compito rimesso al Giudice di merito, la cui mancanza bene può essere rilevata ex officio, indipendentemente dalla espressa eccezione di parte, che, se proposta, si configura quale mera difesa (o eccezione semplice) e dunque non è assoggettata alle decadenze concernenti le sole eccezioni in senso stretto ed al divieto dei “nova” in grado di appello.

2.2 Rimangono, invece, esclusi dal “thema probandum”, e dal relativo onere probatorio a carico della parte, soltanto quei fatti storici che siano statui ritualmente allegati e che – qualora non contraddetti dalle altre risultanze probatorie acquisite – siano stati esplicitamente ammessi dalla controparte ovvero non risultino essere stati da questa specificamente contestati ex art. 115 c.p.c..

La parte che intenda investire, con il ricorso per cassazione, la sentenza impugnata, per non avere il Giudice di merito tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, al fine di osservare i requisiti di ammissibilità del ricorso previsti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, deve indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15961 del 18/07/2007; id. Sez. 6- 1, Ordinanza n. 24062 del 12/10/2017). Con l’ulteriore precisazione che l’onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto deve coordinarsi con il modo di allegazione dei medesimi e che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, di modo che l’onere di contribuire alla fissazione del “thema decidendum” opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa, sicchè, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21847 del 15/10/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 3023 del 17/02/2016; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 21075 del 19/10/2016; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11252 del 10/05/2018).

2.3 Nella specie i ricorrenti non hanno assolto compiutamente alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, essendosi limitati soltanto ad individuare gli atti difensivi di controparte nei quali, in grado di appello, era stata – asseritamente – tardivamente formulata la espressa “eccezione” volta a disconoscere la corrispondenza comunitaria dei diplomi di specializzazione, omettendo tuttavia di indicare, da un lato, se e come nell’atto introduttivo del giudizio o in altra successiva memoria difensiva ex art. 183 c.p.c., fosse stata specificamente allegata tale corrispondenza (e cioè se fosse stato puntualmente allegato che il diploma di specializzazione era o doveva ritenersi ricompreso tra le denominazioni dei titoli di cui agli elenchi dell’art. 5 e dell’art. 7 della direttiva 75/362/CEE o della direttiva di coordinamento 93/16/CEE); dall’altro, non avendo riportato il contenuto degli atti difensivi in primo grado delle Amministrazioni Pubbliche convenute, tal modo impedendo a questa Corte di verificare se, a fronte di una specifica allegazione di tale fatto costitutivo, fosse insorto per l’altra parte il dovere di prendere posizione e se le PP.AA. convenute avessero svolto un’altrettanto puntuale contestazione.

2.4 Tale carente esposizione delle premesse in fatto a supporto della censura rende il motivo in esame inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.

p. 3. Terzo motivo: violazione e falsa applicazione delle direttive 362/75 CEE, 363/75/CEE e 82/76 CEE in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostengono i ricorrenti – B.C., C.S., D.P., G.F. ed R.A. – che è errata la statuizione della Corte d’appello nella parte in cui nega il ristoro del danno ai medici in possesso dei diplomi di specializzazione in “medicina dello sport” ( B. e G.) in “medicina del lavoro” ( C.), in “igiene e medicina preventiva” ( R.) ed in “malattie dell’apparato cardiovascolare” ( D.), atteso che:

le specializzazioni trovavano corrispondenza nei titoli “community medicine” e “occupational medicine” e “cardio vascular-disease” o “cardiologie et medecine des affections vasculaires” rilasciati da taluni Stati membri ed inclusi nell’elenco di cui all’art. 7 paragrafo 2 della direttiva 75/362/CEE

in ogni caso, secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità, la mancata espressa inclusione della denominazione di un tiolo specialistico non impediva che lo stesso potesse essere considerato equipollente ove corrispondente per insegnamenti e materie tratte nel corso a quello similare indicato nell’elenco non poteva richiedersi ai medici che avevano iniziato i corsi di specializzazione anteriormente alla attuazione della disciplina comunitaria della nuova formazione professionale, di fornire prova di un titolo che non era ricompreso in quelli dell’elenco a causa dell’inadempimento colpevole dello Stato membro nell’attuare la direttiva comunitaria.

3.1 Osserva il Collegio che l’ultimo rilievo è fondato.

La Corte d’appello ha rigettato le domande sostenendo che la specializzazione invocata da ciascuno dei medici “non era ricompresa nella direttiva CEE 75/362 applicabile ratione temporis”.

La Corte di Giustizia ha definitivamente riconosciuto il diritto a percepire la adeguata remunerazione e, conseguentemente, il diritto al risarcimento dei danni per la perdita della remunerazione, imputabile all’inadempimento dello Stato membro che non aveva tempestivamente recepito la direttiva, esclusivamente a coloro che risultavano in possesso di un titolo di specializzazione “riconosciuto”, in quanto comune a tutti gli Stati membri ovvero rilasciato in due o più Stati membri (da ultimo CGUE sentenza 24 gennaio 2018, in cause riunite C-616/16 e C-617/16 cit.).

Ne segue che la mera comparazione effettuata su base meramente nominale dei titoli conseguiti dai medici e di quelli inseriti nell’elenco allegato alla direttiva, non è sufficiente ad escludere il “riconoscimento” del primo.

3.2 Questa Corte ha, infatti, da tempo statuito che “In tema di trattamento economico dei medici specializzandi, il mancato inserimento di una scuola di specializzazione in medicina e chirurgia, attivata presso un’Università, nell’elenco delle specializzazioni di tipologia e durata conformi alle norme comunitarie, previsto dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 1, comma 2, non è di ostacolo al riconoscimento in favore dello specializzando del diritto alla borsa di studio prevista nello stesso D.Lgs. n. 257, art. 6, quando si tratti di specializzazione del tutto analoga a quelle istituite in almeno altri due Stati membri.” (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 29345 del 16/12/2008; id. Sez. U., Sentenza n. 13909 del 24/06/2011). Onde verificare se sussista effettivamente tale corrispondenza, il Giudice di merito dovrà ricorrere alla valutazione di plurimi elementi di indagine – ove ritualmente allegati e provati dalle parti – sia di carattere formale che di natura sostanziale: sicchè se detta ricerca può arrestarsi nel momento in cui venga constata la perfetta coincidenza dei titoli sotto il profilo della denominazione, la assenza di tale coincidenza formale non è sufficiente a concludere per la insussistenza della corrispondenza con i titoli specialistici riconosciuti a livello comunitario, dovendo pertanto il Giudice di merito valutare se vi sia o meno coincidenza, sotto il profilo sostanziale, degli insegnamenti e degli obiettivi formativi dei rispettivi corsi accademici (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21798 del 28/10/2016 – che ha ritenuto equipollente il titolo in “Igiene e medicina preventiva”, osservando che essa esiste in numerosi Paesi dell’Unione, in quelli anglosassoni con la denominazione “Community medicine”, specializzazione già menzionata dalla direttiva CEE n. 363 del 1975, in Francia corrispondendo, invece, alla specializzazione in “Santè publique et mèdicine sociale”, espressamente prevista dalla direttiva CEE n. 16 del 1993; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 13760 del 31/05/2018; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 20376 del 01/08/2018; id. Sez. 3, Ordinanza n. 19730 del 23/07/2019 che ha riconosciuto la equipollenza del titolo rilasciato dalla scuola di specializzazione in “Igiene mentale” sul rilievo della sostanziale equivalenza dei corsi a quelli della scuola in psichiatria).

3.3 Tale confronto, operato sul piano sostanziale, tra i corsi svolti dai medici in possesso dei titoli specialistici allegati e quelli inseriti nell’elenco della direttiva o comuni a due o più Stati membri, non risulta essere stato svolto dalla Corte territoriale che si è limitata ad un mero confronto formale di tipo nominalistico.

Il motivo di ricorso è dunque fondato e la sentenza impugnata va cassata sul punto da esso interessato.

p. 4. In conclusione va accolto il ricorso in relazione al primo ed al terzo motivo, inammissibile il secondo. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà esaminare le domande proposte dagli intervenuti A.L., Au.Ga., F.A., D.N.A., Ro.An. e P.G. e le domande proposte da B.C., C.S., D.P., G.F. ed R.A., all’esito liquidando anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo e terzo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio riconvocata, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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