Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12101 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. III, 22/06/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 22/06/2020), n.12101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28058/2016 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente in

carica p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

R.L., P.S., PA.AL., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DOMENICO CHELINI 5, presso lo studio

dell’avvocato MARCO TORTORELLA, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, (OMISSIS), MINISTERO DELLA

SALUTE 96047640584, MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da

L.M., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DOMENICO CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato MARCO

TORTORELLA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

ricorso sul quale sono rimasti intimati i ricorrenti principali;

avverso la sentenza n. 5329/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 10.9.2016 n. 7065 n. 5329, pubblicata in modo incompleto (difettando una “consecutio” tra lo svolgimento del paragrafo 3, pag. 11 e la prosecuzione a pag. 12 dell’ultima parte del paragrafo 5), dopo aver premesso che lo Stato italiano era responsabile delle conseguenze pregiudizievoli derivate dall’inadempimento dell’obbligo ex lege di attuazione delle direttive comunitarie n. 82/76/CEE e n. 75/362/CEE, e che doveva essere riconosciuto il diritto alla remunerazione anche ai medici iscritti ai corsi di specializzazione indetti nel periodo accademico 1993-1984 fino al 1991-1992, e dopo aver ancora rilevato che tale indennizzo poteva essere riconosciuto – indipendentemente dalla modalità di svolgimento del corso a tempo pieno o parziale – a condizione che la formazione accademica riguardasse una specializzazione medica comune a tutti gli Stati membri ovvero a due o più di essi, e menzionata negli artt. 5 o 7 della direttiva 75/362/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975 (concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi), accoglieva, in parziale riforma della sentenza di prime cure, la domanda di attribuzione di una adeguata remunerazione, proposta dai medici che avevano fornito prova della corrispondenza tra gli Stati comunitari del titolo di specializzazione conseguito, liquidando l’importo di Euro 6.713,95 per ogni anno di corso, oltre interessi legali decorrenti dalla domanda, senza procedere alla attualizzazione dell’importo complessivo così liquidato, trattandosi di debito di valuta ed in difetto di prova di tale maggior danno. Rigettava inoltre le domande proposte dai medici i cui titoli di specializzazione non figuravano ricompresi nell’elenco allegato alle direttive, ovvero che avevano iniziato i corsi prima dell’anno accademico 1983/84, e dunque in epoca anteriore alla scadenza del termine previsto per la attuazione delle direttive comunitarie.

Avverso la sentenza di appello, non notificata, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, notificato in data 30.11.2016 soltanto ai medici Pa.Al., P.S. e R.L., i quali hanno resistito con un unico controricorso, ed alle intimate Amministrazioni statali (Ministero della Istruzione Università e Ricerca Scientifica; Ministero della Salute; Ministero dell’Economia e delle Finanze).

Successivamente, avverso la medesima sentenza di appello, è stato proposto autonomo ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi ed illustrato anche da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., da L.M. ed altri 162 medici specializzandi, notificato in data 9.10.2017 soltanto alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero della Salute, al Ministero della Economia e delle Finanze ed al Ministero della Istruzione, Università e Ricerca Scientifica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Avverso la medesima sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5329/2016 sono stati proposti separati ricorsi per cassazione: il primo proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri notificato in data 30.11.2016 ai medici Pa.Al., P.S. e R.L., che assume carattere principale; il secondo proposto da L.M. ed altri e notificato in data 23.5.2016 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero della Istruzione Università e Ricerca Scientifica, al Ministero della Salute ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze che, in quanto proposto successivamente al primo, assume carattere oggettivamente incidentale.

I due distinti ricorsi per cassazione, principale ed incidentale, debbono pertanto essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

A) ricorso principale proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Con il ricorso principale la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha svolto le seguenti censure:

con il primo motivo deduce violazione delle direttive comunitarie n. 75/362, 75/363, 86/76 e della L. n. 370 del 1999, art. 11, art. 2043 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che la Corte territoriale, dopo la enunciazione di corrette premesse in ordine all’indispensabile inserimento del titolo di specializzazione, fatto valere dai medici, nell’elenco di cui all’art. 5 n. 2 e 7 n. 2 della direttiva 75/362/CEE, solo in tal modo potendo realizzarsi il risultato del reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri tioli di medico specialista volto a garantire il medesimo trattamento all’interno della Comunità dei professionisti, aveva poi erroneamente riconosciuto il diritto alla remunerazione anche ai dottori Pa.Al., P.S. e R.L., sebbene dagli stessi non fosse stata fornita alcuna prova che i diplomi di specializzazione conseguiti (rispettivamente in Medicina Fisica e Riabilitazione il primo ed in Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva i secondi) fossero stati inclusi nel predetto elenco con il secondo motivo viene dedotta la nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per carenza materiale della motivazione, non essendo dato comprendere dal testo della sentenza, contenente un evidente salto logico nella stesura delle ragioni in diritto (omissione della scrittura dei paragrafi 4 e 5), gli argomenti posti a sostegno della decisione.

L’esame del secondo motivo riveste priorità logica ed assume carattere dirimente, in quanto da ritenere fondato, ed il suo accoglimento determina l’assorbimento del primo motivo.

Deve ravvisarsi il vizio di nullità della sentenza per carenza assoluta del requisito di validità della motivazione, qualora dalla lettura della stessa non risulti comprensibile la “relatio logica” che il Giudice di merito pone tra le premesse in diritto e gli accertamenti in fatto, da un lato, e la “regula juris” applicata al rapporto controverso, dall’altro.

Il vizio di invalidità assoluta ricorre nel caso in cui il Giudice omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, mentre resta escluso nel caso di valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 26825 del 21/12/2009; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; id. Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020). Ed infatti, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).

Nella specie, la evidenziata lacunosità del testo motivazionale (difetta la “consecutio” tra lo svolgimento del paragrafo 3, pag. 11 e la prosecuzione a pag. 12 dell’ultima parte del paragrafo 5), impedisce di enucleare le premesse in fatto e gli enunciati in diritto alla stregua dei quali è stata definita la controversia (incentrata sul criterio che avrebbe portato alla inclusione, nell’elenco allegato alle direttive, anche dei titoli di specializzazione posseduti dai tre medici, ovvero ad individuare la corrispondenza almeno tra due Stati membri dei titoli di specializzazione). La sentenza risulta redatta in modo affrettato, recando accanto a ciascun nominativo del medico parte in causa l’annotazione “a mano” della somma ritenuta spettante o invece della annotazione “rigetto, non in elenco” o ancora “rigetto ante 1983-1984”. Manca poi del tutto lo sviluppo argomentativo a supporto della statuizione atteso che il testo materiale della motivazione termina bruscamente con il paragrafo 3 nel quale vengono soltanto enunciate le premesse in diritto fondate sui principi giurisprudenziali che regolano la materia – riprendendo poi il testo della motivazione con una proposizione spezzata (“gennaio 1982 n. 82/76/CEE riassuntiva delle direttive 16 giugno 1975 n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, non spetta a coloro che abbiano iniziato i corsi anteriormente al 1 gennaio 1983”) che prosegue con il paragrafo 6, concernente la inammissibilità della domanda di arricchimento senza causa, e quindi con il paragrafo 7 relativo alla condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento a ciascuno degli aventi diritto della somma di Euro 6.713,94 per ogni anno di frequenza del corso, oltre interessi dalla domanda.

Risulta pertanto impossibile individuare le ragioni poste a fondamento della decisione di condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri alla corresponsione in favore degli attuali resistenti dell’importo liquidato a titolo di adeguata remunerazione, atteso che, incontroverso il possesso del diploma di specializzazione conseguito dai tre medici, le parti disputavano proprio sulla inclusione anche di tali titoli di specializzazione nella tabella allegata alla direttiva comunitaria ovvero sulla corrispondenza di tali titoli di specializzazione con i titoli riconosciuti da altri Stati membri, assumendo la ricorrente Presidenza del Consiglio dei Ministri l’assenza di tale prova, ed invece controdeducendo i resistenti che il titolo di Gastroenterologia era condiviso anche da numerosi Stati membri, mentre la specializzazione in Riabilitazione doveva ritenersi semplicemente una denominazione diversa della medesima specializzazione in fisioterapia inclusa nella tabella.

Orbene le materiali lacune che presenta la motivazione della sentenza impugnata non consentono di ravvisare in base a quali elementi istruttori la Corte territoriale ha tratto il convincimento della corrispondenza dei diplomi di specializzazione con i titoli e diplomi previsti dalle norme comunitarie ovvero condivisi tra due o più Stati membri, secondo la elencazione delle “denominazioni” delle specializzazioni di cui all’art. 7 paragrafo 2 della direttiva 362/75/CEE (riprodotta all’art. 7 paragrafo 2 della direttiva 93/16 CEE del 5 aprile 1993, intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli).

Pertanto la sentenza impugnata risulta affetta dal vizio di invalidità denunciato e deve essere cassata. Il Giudice del rinvio dovrà pertanto emendare la carenza riscontrata rappresentando le ragioni per le quali, nella materia della gastroenterologia, il titolo di specializzazione rilasciato dallo Stato italiano, comune anche ad altri Stati membri e da questi riconosciuto, indicato con la denominazione “malattie dell’apparato digerente, della nutrizione e del ricambio”, debba ritenersi inclusivo o meno anche del titolo in “gastroenterologia ed endoscopia digestiva” conseguito dai medici P.S. e R.L., ovvero se quest’ultimo titolo risulti condiviso anche da altri Stati membri; ed analogamente dovrà procedere nell’esaminare la inclusione o corrispondenza del titolo di specializzazione conseguito dal medico Pa.Al. in “medicina fisica e riabilitazione” rispetto a quello denominato, in Italia, come diploma di specializzazione in “fisioterapia” ovvero rispetto ad altro titolo eventualmente condiviso da altri Stati membri.

Questa Corte ha, infatti, affermato in proposito che in materia di responsabilità dello Stato italiano per mancata tempestiva attuazione di direttive comunitarie, a fronte della pretesa risarcitoria azionata deducendo l’inadempimento statuale alle direttive nn. 75/362, 75/363 e 82/76, per avere un medico frequentato un corso di specializzazione non indicato nell’art. 5 della direttiva 75/363 fra quelli comuni a tutti gli stati membri dell’Unione Europea, ma assunto come equivalente ad un corso comune solo a due (o più) Stati, e come tale indicato nell’art. 7 della direttiva, il Giudice di merito è tenuto a verificare in concreto se quella equivalenza si configuri o meno, implicando tale accertamento anche riscontri fattuali in ordine ai quali, non evidenziandosi una mera “quaestio juris”, bene può darsi un’eventuale applicazione del principio di non contestazione delle circostanze allegate dalle parti (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 23199 del 15/11/2016). Il Giudice del rinvio, pertanto, nel compiere il richiesto accertamento, verrà a conformarsi al principio di diritto secondo cui “in tema di trattamento economico dei medici specializzandi, il mancato inserimento di una scuola di specializzazione in medicina e chirurgia, attivata presso un’Università, nell’elenco delle specializzazioni di tipologia e durata conformi alle norme comunitarie, previsto dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 1, comma 2, non è di ostacolo al riconoscimento in favore dello specializzando del diritto alla borsa di studio prevista dello stesso D.Lgs. n. 257, art. 6, quando si tratti di specializzazione del tutto analoga a quelle istituite in almeno altri due Stati membri.” (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 29345 del 16/12/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 21798 del 28/10/2016).

B) ricorso “incidentale” proposto da L.M. ed altri.

Primo motivo: violazione dei principi in materia di risarcimento danno da omesso e tardivo recepimento delle direttive comunitarie; violazione degli artt. 5 e 189 Trattato CE, delle direttive CEE 82/6, 75/363, 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia 25.2.1999 e 3.10.2000; artt. 2,3 e 10 Cost.; D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257; violazione degli artt. 61,62,115,116,184 c.p.c., vecchia e nuova formulazione; omessa ed insufficiente e contraddittoria motivazione; violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Il motivo riguarda soltanto i seguenti ricorrenti: Li.Fr.An.; + ALTRI OMESSI.

I ricorrenti criticano la statuizione della sentenza di appello che ha rigettato le domande risarcitorie sul presupposto della mancata dimostrazione della inclusione del loro titolo di specializzazione negli elenchi allegati alle direttive comunitarie, sostenendo, da un lato, che la motivazione della sentenza non consente di discernere le ragioni della decisione e, dall’altro, che, nella comparsa in primo grado, le Amministrazioni pubbliche non avevano formulato nelle loro difese alcuna specifica contestazione su tale circostanza che doveva, pertanto, essere considerata ormai al di fuori del “thema probandum”.

Il motivo è fondato nei limiti in cui dalla esposizione delle ragioni poste a sostegno dello stesso è dato evincere che la critica rivolta alla sentenza impugnata si incentra nel vizio di carenza assoluta di motivazione, integrante la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. La doglianza formulata dai ricorrenti in ordine alla mancata esplicitazione nella sentenza di appello delle ragioni che hanno portato la Corte territoriale ad escludere i titoli di specializzazione conseguiti dai medici da quelli inseriti negli elenchi allegati alla direttiva viene, infatti, supportata dall’argomento critico per cui “su tale questione la sentenza appare malamente redatta” riportando una “cesura” nella sequenza del testo della motivazione “che rende non consequenziale il ragionamento logico giuridico adottato” (cfr. ricorso pag. 23-24), tanto consentendo a questa Corte – pure in mancanza di esplicita indicazione della norma processuale violata – di qualificare correttamente, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 art. e 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il vizio di nullità processuale denunciato dai ricorrenti (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).

Venendo all’esame del fondo del motivo, la critica coglie nel segno dovendo richiamarsi al riguardo le medesime considerazioni già esposte in relazione all’esame del secondo motivo del primo ricorso per cassazione (proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri). La lacuna materiale contenuta nel testo della motivazione della sentenza di appello non consente, come si è visto, di ricostruire in alcun modo il percorso logico posto a fondamento del “decisum”, non essendo dato comprendere in base a quali elementi circostanziali ed in base a quale valutazione di merito comparativa dei diversi titoli di specializzazione, i diplomi specialistici conseguiti dai medici appellanti non potessero essere ricompresi tra quelli inseriti negli elenchi allegati alla direttiva comunitaria ovvero tra quelli ritenuti comuni a più Stati membri.

Pertanto, accertata la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, il Giudice del rinvio, attenendosi ai principi di diritto precedentemente richiamati, è chiamato ad effettuare il relativo accertamento valutativo di merito esternando chiaramente le ragioni della decisione.

All’accoglimento del primo motivo di ricorso “incidentale” consegue l’assorbimento del secondo motivo (violazione dei principi in materia di risarcimento danno da omesso e tardivo recepimento delle direttive comunitarie; violazione degli artt. 5 e 189 Trattato CE, delle direttive CEE 82/6, 75/363, 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia 25.2.1999 e 3.10.2000; degli artt. 2,3 e 10 Cost.; D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257; violazione degli artt. 61,62,115,116,184 c.p.c., vecchia e nuova formulazione; omessa ed insufficiente e contraddittoria motivazione; violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5) con il quale gli stessi ricorrenti che hanno proposto il primo motivo hanno impugnato la statuizione della sentenza di appello nella parte in cui ha disconosciuto l’indennizzo risarcitorio a quei medici che avevano conseguito un titolo di specializzazione espressamente considerato tra quelli conformi, ma che risultava essere stato formalmente incluso nell’elenco previsto dalla direttiva comunitaria soltanto in tempo successivo alla conclusione, anteriormente all’anno 1991, del corso di specializzazione. I ricorrenti assumono che i decreti del MIUR, adottati di concerto con il Ministero della Salute, in data 30.10.1993, 25.11.1994, 11.2.1999 e 9.3.2000, che inserivano formalmente i titoli specialistici nell’elenco allegato alla direttiva, integravano anch’essi attuazione delle direttive comunitarie venendo sostanzialmente a riconoscere una corrispondenza già preesistente. Orbene appare evidente come la questione prospettata nel motivo, inerente il riconoscimento ai predetti medici dell’indennizzo risarcitorio per inserimento – asseritamente – tardivo del titolo di specializzazione nell’elenco allegato alla direttiva, assume carattere derivato – rimanendo pertanto assorbito – rispetto all’accertamento imposto al Giudice del rinvio dall’accoglimento del primo motivo, atteso che la evidenziata lacuna materiale nella esposizione della motivazione della sentenza preclude la individuazione delle ragioni per le quali il Giudice di appello aveva ritenuto, in base alla valutazione comparativa di merito, che i titoli posseduti dai medici attuali ricorrenti – non erano rapportabili ad alcuno di quelli già inseriti nell’elenco o comunque non erano riconoscibili tra quelli comuni a più Stati membri.

Terzo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 189 Trattato CE, delle direttive CEE 82/6, 75/363, 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia 25.2.1999 e 3.10.2000; artt. 2,3,10 e 97 Cost.; D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6; L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11; violazione dei regolamenti CE n. 974/98 del 3.5.1998 e n. 2866/98 del 31.12.1998; artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c., nonchè vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Quarto motivo: violazione degli artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c., D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6; L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, nonchè vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

I motivi sono proposti da quei ricorrenti risultati parzialmente vittoriosi nel grado di appello (elenco da ” L.M.” fino a ” Z.R.” contenuto alle pag. 19-20 del ricorso per cassazione proposto da L.M. ed altri).

inammissibili le censure formulate in relazione al “vizio di motivazione”, avendo indicato i ricorrenti un parametro estraneo al paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile “ratione temporis”, osserva il Collegio che i motivi sono incentrati sulle seguenti censure:

a) la Corte d’appello avrebbe omesso di liquidare il danno da perdita di chance in quanto era stata espressamente richiesta anche la liquidazione del danno da “omesso riconoscimento dei titoli comunitari e degli specifici maggiori punteggi” (terzo motivo).

b) il ricorso al criterio di liquidazione del danno, parametrato agli importi della L. n. 370 del 1999, era da ritenere incongruo in quanto il Giudice di appello avrebbe dovuto assumere come riferimento lo stesso importo della “adeguata remunerazione” attribuito dal D.Lgs. n. 257 del 1991, a coloro che avevano potuto svolgere i corsi di specializzazione in conformità alla attuazione della disciplina normativa comunitaria, a far data dall’anno accademico 1991-1992 (terzo motivo).

c) la Corte territoriale avrebbe errato nel non considerare l’importo risarcitorio dovuto dallo Stato come debito di valore, omettendo di liquidare oltre all’importo capitale anche gli interessi “compensativi” ed omettendo altresì di attualizzare le somme.

I motivi sviluppano censure in parte inammissibili e comunque infondate.

Quanto alla censura sub lett. a), la stessa deve ritenersi inammissibile: dalla scarna descrizione dell’atto introduttivo del giudizio di merito – riportata in riassunto a pag. 17 del ricorso per cassazione – risulta che i medici avevano richiesto la liquidazione del danno conseguente al mancato riconoscimento del titolo ed alla mancata attribuzione di maggiori punteggi: dunque si chiedeva il ristoro di pregiudizi asseritamente verificatisi, e non anche della semplice perdita di “mere opportunità” di poter fruire di possibili vantaggi – nel che consiste la cd. perdita di chance -, con la conseguenza che la introduzione, per la prima volta in sede di legittimità, della domanda di risarcimento da “perdita di chance” ne preclude l’accesso al sindacato della Corte per novità, dovendo ribadirsi il principio per cui la domanda di determinazione, in via equitativa, del danno da perdita di chance non può essere proposta per la prima volta in cassazione, trattandosi di danno potenziale, non assimilabile ad un danno futuro, e, dunque, non ricompreso, neppure per implicito, in una domanda genericamente formulata – di risarcimento del danno (Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21245 del 29/11/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 13491 del 13/06/2014).

La censura si palesa, peraltro, del tutto sfornita di supporto allegatorio, in quanto, al fine di ottenere il risarcimento per la perdita di una chance, è necessario provare la effettiva realizzazione in concreto – almeno – di alcuni dei presupposti fattuali richiesti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita. Nella specie i ricorrenti: 1) neppure hanno allegato di aver presentato domande e di dovere partecipare a concorsi pubblici o procedure comparative per titoli; b) neppure hanno indicato se e quali “maggiori punteggi” (ed in relazione a quali impieghi o concorsi od altre attività professionali) avrebbero potuto conseguire in base ad un determinato bando di gara o regolamento di concorso.

Come è stato bene puntualizzato, infatti, da questa Corte, una eventuale inadeguatezza della funzione compensativa-omnicomprensiva del danno da ritardata attuazione delle direttive, riconosciuta alla L. n. 370 del 1999, si potrebbe ipotizzare soltanto in quei casi “nei quali il medico, dopo avere conseguito di diploma di specializzazione seguendo un corso in situazione di inattuazione delle direttive, non avesse perduto la generica chance che avrebbe avuto se il diploma fosse stato conforme alle direttive Europee e, quindi, quella ricollegata alla mera idoneità del diploma, o meglio alle mere potenzialità del diploma, bensì avesse subito un vero e proprio danno emergente per non avere potuto effettivamente ed in concreto utilizzare il diploma per conseguire un beneficio, che, invece, sarebbe stato certamente acquisitole se il diploma fosse stato raggiunto all’esito di un corso rispettoso delle direttive (si pensi alla dimostrazione di avere perso un’occasione di lavoro in altro paese comunitario, per la non conformità del diploma alle direttive, che, com’è noto, prevedevano taluni standards proprio per garantire il riconoscimento del diploma in tutti i paesi comunitari)…” (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5533 del 05/04/2012).

Relativamente alla censura sopra individuata sub lett. b), la stessa appare inammissibile e comunque infondata, come infondata deve ritenersi anche la censura mossa con il quarto motivo.

Il potere discrezionale conferito al Giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. (“se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”), costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dando luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, e pertanto presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili, e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8615 del 12/04/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 9244 del 18/04/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 20990 del 12/10/2011; id. Sez. 6-L, Ordinanza n. 27447 del 19/12/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 127 del 08/01/2016), non essendo possibile, invece, attraverso l’esercizio di tale potere discrezionale surrogare la mancanza della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza fenomenica (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10607 del 30/04/2010). Consegue che la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, soltanto nel caso in cui la scelta del parametro equitativo utilizzato per la liquidazione dell’ammontare del danno evidenzi un assoluto arbitrio in quanto del tutto priva di un logico collegamento con il tipo di danno da risarcire, ovvero si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza, o appaia del tutto contraddittoria rispetto all’obiettivo di attribuire l’effettivo ristoro del pregiudizio subito dal danneggiato (Vedi: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1529 del 26/01/2010; id. Sez. L, Sentenza n. 12318 del 19/05/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 3582 del 13/02/2013; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 13153 del 25/05/2017).

Nella specie, la scelta del criterio quantificativo del danno, individuato dalla L. n. 370 del 1999, non è da ritenere affatto abnorme od incoerente rispetto alla funzione risarcitoria del pregiudizio arrecata dalla ritardata ed incompleta trasposizione delle direttive comunitarie, come affermato nei precedenti di questa Corte, cui si è adeguata la Corte d’appello, volta che la disciplina legislativa in questione è stata specificamente introdotta nell’ordinamento interno proprio allo scopo di risarcire l’identico pregiudizio sofferto da medici che – al pari degli attuali ricorrenti – avevano svolto i corsi di formazione specialistica concludendoli tuttavia in data anteriore alla disciplina normativa a regime dei corsi comunitari, applicabile a decorrere soltanto dall’anno accademico 1991-1992 come espressamente disposto dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 8, comma 2, di attuazione della direttiva n. 82/76/CEE. Al proposito le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che “In tema di risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, deve ritenersi che il legislatore, con l'”aestimatio” del danno effettuata dalla L. n. 370 del 1999, art. 11, abbia proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo valevole anche nei confronti di coloro non ricompresi nel citato art. 11, a cui non può applicarsi il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, in quanto tale decreto, nel trasporre nell’ordinamento interno le direttive in questione, ha regolato le situazioni future con la previsione, a partire dall’anno accademico 1991/1992, di condizioni di frequenza dei corsi diverse e più impegnative rispetto a quelle del periodo precedente” (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 30649 del 27/11/2018).

Pertanto la Corte di merito ha correttamente liquidato il danno in favore degli attuali ricorrenti sulla base del parametro costituito dall’importo riconosciuto dalla L. n. 370 del 1999, art. 11 ai medici specializzandi, in favore dei quali si era determinato il giudicato in conseguenza delle pronunzie del giudice amministrativo, facendo applicazione del principio di diritto ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “in tema di risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82176/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, deve ritenersi che il legislatore – dettando della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, con la quale ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo delle citate direttive – abbia palesato una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato, valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato art. 11; a seguito di tale esatta determinazione monetaria, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione avente natura di debito di valuta, rispetto alla quale – secondo le regole generali di cui agli artt. 1219 e 1224 c.c. – gli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall’eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale” (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1917 del 09/02/2012, Rv. 621205; conformi, tra le tante: Sez. 3, Sentenza n. 17682 del 29/08/2011, Rv. 619541; Sez. 3, Sentenza n. 21498 del 18/10/2011, Rv. 620244; Sez. 6-3, Sentenza n. 1157 del 17/01/2013, Rv. 625215; Sez. 6-3, Ordinanza n. 23635 del 06/11/2014, Rv. 633541; Sez. 1, Sentenza n. 2538 del 10/02/2015, Rv. 634216; Sez. 6-3, Ordinanza n. 14376 del 09/07/2015, Rv. 636004).

Quinto motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 189 Trattato CE, delle direttive CEE 82/6, 75/363, 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia 25.2.1999 e 3.10.2000; artt. 2,3,10 e 97 Cost.; D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6; L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per ultrapetizione; vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il motivo viene dedotto dai ricorrenti Lo.Mi., + ALTRI OMESSI.

Deducono i ricorrenti l’erroneità della sentenza impugnata là dove ha escluso che prima del 31.12.1982 (termine fissato agli Stati membri per il recepimento della direttiva) potesse configurarsi alcun inadempimento dello Stato. Sostengono, pertanto, che il risarcimento del danno spetta anche a coloro che alla data predetta non avevano ancora terminato di frequentare il corso di specializzazione.

Il motivo è fondato.

La Corte d’appello ha, infatti, richiamato a sostegno della statuizione volta a riconoscere il diritto alla remunerazione (ed il conseguente ristoro del danno derivato dalla ritardata attuazione delle direttive) esclusivamente ai medici iscritti ai corsi di specializzazione dall’anno accademico 1983-1984, un orientamento giurisprudenziale definitivamente abbandonato dopo l’intervento sulla specifica questione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Con interpretazione vincolante per gli Stati membri, trattandosi di fonte di diritto applicabile direttamente nell’ordinamento interno, la Corte di Giustizia della Unione Europea, con sentenza 24 gennaio 2018, in cause riunite C616/16 e C-617/16, Presidenza del Consiglio dei Ministri e altri c/ Gianni Pantuso ed altri, ha statuito infatti che ” L’art. 2, paragrafo 1, lettera c), l’art. 3, paragrafi 1 e 2, nonchè l’allegato della direttiva 75/363/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per le attività di medico, come modificata dalla direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982, devono essere interpretati nel senso che qualsiasi formazione a tempo pieno o a tempo ridotto come medico specialista iniziata nel corso dell’anno 1982 e proseguita fino all’anno 1990 deve essere oggetto di una remunerazione adeguata, ai sensi dell’allegato suddetto, a condizione che tale formazione riguardi una specializzazione medica comune a tutti gli Stati membri ovvero a due o più di essi e menzionata negli artt. 5 o 7 della direttiva 75/362/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.”

Questa Corte, recependo le indicazioni fornite dalla interpretazione vincolante della Corte di Giustizia, ha quindi statuito che “Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, sorto, conformemente ai principi più volte affermati dalla CGUE (sentenze 25 febbraio 1999 in C-131/97 e 3 ottobre 2000 in C-371/97), in favore di soggetti iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1983 ed il 1991, spetta anche per l’anno accademico 1982-1983, ma solo a partire dal 1 gennaio 1983 e fino alla conclusione della formazione stessa, in conformità con quanto affermato dalla CGUE nella sentenza del 24 gennaio 2018 (cause riunite C-616/16 e C-617/16); ne consegue che occorre commisurare il risarcimento per la mancata percezione di una retribuzione adeguata, non all’intero periodo di durata del primo anno accademico di corso, bensì alla frazione temporale di esso successiva alla scadenza del termine di trasposizione della direttiva (31 dicembre 1982), a partire dalla quale si è verificato l’inadempimento” (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 20348 del 31/07/2018. Al dictum delle Sezioni Unite si sono conformate successivamente le Sezioni semplici: Corte Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5509 del 26/02/2019; id. Sez. 3 Ordinanza n. 19742 del 23/07/2019).

Pertanto non essendosi conformato il Giudice di appello ai principi di diritto richiamati, la sentenza impugnata deve essere cassata in parte qua con rinvio al Giudice del merito che dovrà provvedere ad accertare il diritto alla remunerazione dei ricorrenti per il periodo di corso svolto successivamente all’1.1.1983 e fino alla conclusione dello stesso.

Rileva il Collegio che tra i ricorrenti che hanno impugnato la sentenza di appello con il motivo in esame Lo.Mi. è l’unico medico che risulta “immatricolato” nell’anno 1981 (cfr. sentenza di appello, in motivazione; ricorso per cassazione, pag. 10), ma non è dato verificare se abbia o meno iniziato la frequenza del corso di specializzazione nello stesso anno o, invece, nel successivo 1982, dovendo anch’egli beneficiare in quest’ultimo caso della pronuncia cassatoria.

L’accertamento di merito demandato al Giudice di rinvio diretto a verificare la sussistenza dei presupposti fattuali di erogazione della remunerazione, giustifica pertanto la cassazione della sentenza impugnata anche in relazione alla posizione del Lo.: dovrà tuttavia il Giudice del rinvio, effettuando il predetto accertamento, applicare la soluzione che verrà adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte, presso le quali è attualmente pendente la questione, rimessa con ordinanza 16.1.2020 n. 821 della Sezione Lavoro, volta a definire se debba essere remunerato il periodo di corso successivo all’1.1.1983 anche ai medici che abbiano iniziato a frequentare i corsi anteriormente al 29 gennaio 1982, data di entrata in vigore della direttiva coordinamento n. 82/767CEE.

In conclusione il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri deve essere accolto quanto al secondo motivo, assorbito il primo; il ricorso incidentale va accolto quanto al primo ed al quinto motivo, assorbito il secondo, inammissibile il terzo, infondato il quarto; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà ad emendare i vizi di legittimità riscontrati, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dispone, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi.

accoglie il secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il primo motivo; accoglie il primo e il quinto motivo del ricorso incidentale e rigetta tale ricorso per il resto; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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