Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12099 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/05/2017, (ud. 01/02/2017, dep.16/05/2017),  n. 12099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26757-2014 proposto da:

R.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO D’ITALIA 97 presso lo studio dell’avvocato PIETRO ADAMI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ARMANDO

SORRENTINO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1454/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/05/2014 R.G.N. 5508/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BARBARA FERRETTI per delega verbale Avvocato ARMANDO

SORRENTINO;

udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda proposta da R.S. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane volta a conseguite la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 14/1/2009.

All’esito dello scrutinio del materiale probatorio acquisito, la Corte distrettuale, in estrema sintesi, riteneva accertata la fondatezza della condotta addebitata all’appellato, consistita nell’abbandono tra i rifiuti della corrispondenza a lui assegnata.

Questa era stata infatti rinvenuta in un cassonetto ubicato nella zona di recapito di sua competenza, nel cui ambito rientrava altresì tutto il materiale rinvenuto.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione il R. affidato a due motivi.

Resiste con controricorso la società intimata.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 115 – 116 c.p.c., degli artt. 2104, 2106, 2119, 2697, 1175 e 1375 c.c., dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, degli artt. 54 e 56, comma 6 c.c.n.l. dipendenti Poste Italiane del 2007, nonchè dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si nega la fondatezza degli accertamenti espletati in sede istruttoria sul rilievo che solo parte della corrispondenza indicata nella lettera di contestazione fosse riconducibile alla zona di sua competenza (presidio decentrato di distribuzione di (OMISSIS) al quale il ricorrente era stato applicato temporaneamente).

Si deduce, quindi, che la condotta addebitata poteva ben esser posta in essere da altro dipendente addetto al recapito, considerata “la sequenza storica del ritrovamento del sacco, della sua peregrinazione attraverso vari luoghi”, da cui discendeva la possibilità di manipolazione da parte di una molteplicità di soggetti.

Si stigmatizza altresì l’argomentare della Corte di merito sul rilievo della inverosimiglianza delle risultanze istruttorie connesse al ritrovamento, non riconducibili agli standards valutativi parametrati sull’id quod plerumque accidit, la cui valutazione non era stata condotta secondo criteri di prudente apprezzamento.

2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si lamenta che la Corte distrettuale abbia trascurato il rilievo che la società aveva trattenuto la gran parte del materiale probatorio, precludendo ogni congrua difesa al ricorrente.

3. I motivi, che possono trattarsi congiuntamente, siccome connessi, si palesano inammissibili.

Occorre premettere che, secondo il costante orientamento espresso da questa Corte (vedi ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 16/7/2010 n. 16698), da ribadirsi in questa sede; il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Nello specifico, non può tralasciarsi di considerare che i motivi tendono a conseguire – per il tramite della violazione dell’art. 116 c.p.c. – una rivisitazione degli approdi ermeneutici ai quali è pervenuta la Corte, che si palesa inammissibile in questa sede di legittimità anche alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella versione di testo applicabile ratione temporis, di cui alla novella del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n.8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull’esistenza (sotto il prófilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5 concerne, dunque, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra, poi, l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

4. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un’inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a sè più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

Lungi dal denunciare una manifesta illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, si limita a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, sia pure anche per il tramite del vizio di violazione di legge. Tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi rilevanti ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5. Va al riguardo rimarcato che lo specifico iter motivazionale seguito dai giudici dell’impugnazione non risponde ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità.

La fattispecie concreta è stata, infatti, oggetto di approfondita disamina da parte della Corte territoriale che ha attentamente scrutinato il quadro probatorio acquisito rimarcando che la corrispondenza non recapitata era risultata giacente all’interno del cassonetto della nettezza urbana e rinvenuta per due martedì consecutivi (il 21 ed il 28 ottobre), nel periodo di assegnazione al ricorrente a quella specifica zona di recapito (13-31 ottobre 2008). Il giudice dell’impugnazione ha altresì rilevato che dal verbale della Polizia Postale era emerso il rinvenimento di lettera spedita per posta prioritaria ad indirizzo corrispondente alla zona di recapito assegnata al R. come desumibile dalla documentazione versata in atti e confermata dai testimoni escussi. Ha infine osservato che dal medesimo verbale risultava il rinvenimento di stampe varie riportanti indirizzi riferibili tutti alla zona di recapito assegnata al ricorrente.

La struttura argomentativa che sorregge l’impugnata sentenza, non risponde, dunque, ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità. Si tratta di apprezzamento, congruo e completo, che non resta scalfito dalle doglianze formulate.

6. Alla stregua delle superiori argomentazioni va quindi dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio si pongono a carico della ricorrente nella misura in dispositivo liquidata. Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente il pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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