Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12098 del 31/05/2011
Cassazione civile sez. trib., 31/05/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 31/05/2011), n.12098
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore legale
rappresentante in carica, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
COGECO SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 108/2008 della COMMSSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
di PALERMO, SEZIONE DISTACCATA di CATANIA del 21/02/08, depositata il
22/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 05/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI
IASI;
è presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO
IANNELLI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
1. L’ Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della Cogeco s.p.a. (che non ha resistito) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Irpeg e Ilor riguardante l’anno 1992, la C.T.R. Sicilia confermava la sentenza di primo grado, rilevando che l’Agenzia delle Entrate non poteva operare un rinvio per relationem ad atti che non erano a conoscenza della società e che, a norma della L. n. 241 del 1990, art. 3 è nullo l’avviso cui non siano allegati gli atti procedimentali che hanno condotto all’applicazione dell’imposta, essendo tale allegazione finalizzata alla tutela della difesa del contribuente.
2. Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce illogicità della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5) è inammissibile sia perchè manca, ai sensi della seconda parte dell’art. 366 bis, applicabile ratione temporis, l’indicazione, prevista nel caso in cui sia dedotto vizio di motivazione, del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, onere che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, deve essere assolto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando una indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. cass. n. 8897 del 2008), sia perchè la censura non è autosufficiente, non essendo stato riportato in ricorso il testo dell’avviso opposto e del p.v.c. nel quale, secondo la ricorrente, sarebbero state trasfuse le segnalazioni della G.d.F. nei confronti della ditta individuale C.G.; infine perchè tali atti (sui quali la censura è fondata) non risultano “indicati” ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 con precisazione della sede processuale in cui sono stato prodotti (v. in proposito S.U. n. 7161 del 2010).
Il secondo motivo (col quale si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39) è inammissibile per difetto di interesse, posto che con esso non si censura una corrispondente statuizione della sentenza impugnata, che non è entrata nel merito della pretesa tributaria nè ha pertanto statuito sulla legittimità o meno dell’accertamento induttivo fondato sugli studi di settore, essendosi i giudici d’appello limitati a rilevare il rinvio ad atti non a conoscenza della parte e la mancata allegazione di tali atti all’avviso opposto.
Il terzo motivo (col quale si deduce violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 chiedendo testualmente a questa Corte di dire se “violi la L. n. 241, art. 3 quella sentenza della C.T.R. come nella fattispecie ove la C.T.R. abbia avuto modo di manifestare perplessità circa le legittimità dell’operato dell’Ufficio in riferimento agli elementi trasfusi dalla P.T.I. di Catania nel p.v.c. consegnato alla parte ricorrente e derivanti dalle indagini effettuate nei confronti della ditta individuale C.G. dalla G.d.F. di Modena, elementi che non si pongono in contrasto con l’art. 3 citato, come invece avvenuto nella fattispecie in esame”) è inammissibile innanzitutto per assoluta inadeguatezza del quesito di diritto che lo conclude a svolgere la funzione che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, gli è propria, ossia quella di far comprendere alla Corte, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, essendo nella specie il quesito assolutamente generico e confuso ai limiti dell’incomprensibilità nonchè inidoneo non solo a far comprendere la ratio decidendi della sentenza impugnata, ma anche ad esprimere la rilevanza della risposta al quesito ai fini della decisione del motivo, oltre che privo di tutte le informazioni necessarie a consentire alla Corte una risposta utile ai fini della definizione della controversia e suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sub iudice.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. In assenza di attività difensiva nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011