Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12098 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/05/2017, (ud. 31/01/2017, dep.16/05/2017),  n. 12098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16797-2012 proposto da:

IMMOBILIARE FERRETTI S.R.L., (già FERRETTI S.P.A.) C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio

dell’avvocato FEDERICA PATERNO’, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANDREA MORONE, MARIA TERESA SALIMBENI,

FRANCO TOFFOLETTO, RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

– I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati GIANDOMENICO

CATALANO e LORELLA FRASCONA’, che lo rappresentano e difendono

giusta delega in atti;

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 138/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/03/2012 r.g.n. 441/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega verbale Avvocato

FEDERICA PATERNO’;

udito l’Avvocato CARLA D ALOISIO;

udito l’Avvocato GIANDOMENICO CATALANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 138/2012 la Corte d’appello di Brescia, pronunciando in seno al giudizio di accertamento negativo proposto da Ferretti s.p.a., in riforma della sentenza di primo grado, ha parzialmente respinto la domanda della Società tesa a negare il diritto dell’INPS e dell’INAIL alle differenze contributive rivendicate a seguito di accertamento ispettivo del 9.10.2008 dal quale era emerso che era stata corrisposta l’indennità di malattia a due lavoratori risultati presenti nello stabilimento nei giorni indennizzati e che, sempre presso lo stabilimento della s.p.a. Dalmine, l’orario di lavoro effettuato era inferiore a quello denunciato. La Corte territoriale ha sottratto dal monte orario accertato, per tutti i dipendenti, solo un’ ora di pausa per il pranzo.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Immobiliare Ferretti s.p.a. (già Ferretti s.p.a) fondato su cinque motivi ed illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Inail ha risposto con controricorso ed ha depositato memoria L’Inps resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in quanto la Corte territoriale avrebbe violato la regola di riparto dell’onere della prova nell’ipotesi di accertamento negativo, non onerando gli Istituti della prova dell’orario effettivo di lavoro per ciascun singolo lavoratore posto che la Società aveva contestato le circostanze riferite dagli ispettori in ordine alla registrazione dell’orario di lavoro mediante timbratura effettuata dalla s.p.a. Dalmine.

2. Il secondo motivo censura la sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio nonchè per violazione o falsa applicazione dell’art. 2700 c.c. con riferimento alla motivazione addotta a sostegno delle risultanze del verbale ispettivo congiunto posto a base delle pretese dei due Istituti, senza considerare quanto emerso dalle testimonianze rese nel corso del giudizio.

3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione e o falsa applicazione di norme di diritto (Direttiva u.e. n. 104/1999, D.Lgs. n. 66 del 2003, artt. 1 e 8) per aver posto a base della decisione una nozione errata di orario di lavoro non caratterizzata dall’etorodirezione con riguardo alla qualificazione del tempo che i lavoratori trascorrevano all’interno dello stabilimento senza svolgere attività.

4. Con il quarto motivo Ferretti s.p.a. lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 416 cod. proc. civ. nonchè dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3 e 4.

5. Il quinto motivo lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento alla corretta individuazione della parte onerata di provare la circostanza che i dipendenti G. e P., durante la malattia si trovassero in realtà sul posto di lavoro.

In sostanza, i motivi – nel loro insieme- denunciano che la sentenza impugnata sarebbe errata in diritto in quanto avrebbe qualificato come orario di lavoro sia il tempo trascorso dai dipendenti Ferretti s.p.a. per giungere presso il proprio posto di lavoro all’interno della estesa acciaieria che quello ivi speso per ragioni di mero intrattenimento. Avrebbe, altresì, motivato in modo incongruo il proprio convincimento sulla prova delle ore effettivamente prestate dai lavoratori della Ferretti s.p.a., desumendo tale prova dalle risultanze ispettive limitate all’esame dei cartellini marcatempo dei lavoratori della Ferretti s.p.a., registrati dalla Dalmine s.p.a. La sentenza impugnata, poi, sarebbe caduta in errore in punto di riparto dell’onere della prova affermando che gravasse sulla società l’onere di provare che la permanenza all’interno dell’acciaieria dei dipendenti non fosse giustificata da attività lavorativa e che i lavoratori in malattia ( P.P. e G.A.) fossero in realtà presenti nei giorni indennizzati.

6. I motivi fondati sui vizi di violazione e o falsa applicazione di legge vanno trattati unitariamente in quanto la critica involge cumulativamente, senza che possa separarsi un piano dall’altro, sia la ricognizione sul piano normativo della definizione di orario di lavoro operata dalla sentenza che il riparto dell’ onere della prova sulle concrete circostanze che integrano la nozione di orario di lavoro nell’ipotesi di accertamento negativo dell’obbligo assicurativo. Segue, poi, in ordine logico, la disamina della censura di incoerenza ed inidoneità del processo logico della motivazione della sentenza impugnata che attiene, invece, alla valutazione del materiale probatorio comunque acquisito.

7.Le doglianze sono infondate. Quanto alla delimitazione dell’arco temporale definibile orario di lavoro rilevante ai fini retributivi e contributivi, con riguardo al tempo che precede e segue la prestazione lavorativa, questa Corte di legittimità (da ultimo si vedano Cass. n. 20694 del 3 giugno 2015; 20714/2013; 1697/2012; Cass. 3763/1998; 15734/2003; 19273/2006), ha affermato che:

– il R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art. 3 (vigente in parte all’epoca dei fatti controversi), a norma del quale “è considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e continuativa”, non preclude che il tempo necessario a porre in essere attività strettamente prodromiche a tale occupazione sia da considerarsi lavoro effettivo e che esso debba essere pertanto retribuito ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere stretta mente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa;

– ai fini della misurazione dell’orario di lavoro, il D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1, comma 2, lett. a) attribuisce un espresso e alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro;

– la materia dell’orario di lavoro rientra nell’ambito del diritto dell’Unione limitatamente ai profili incidenti sulla salute e la sicurezza dei lavoratori, quindi, limitatamente alla previsione di limiti massimi alla durata della prestazione mentre il profilo retributivo, e, conseguentemente, anche quello dell’imponibile contributivo, dell’orario di lavoro rientrano nella competenza esclusiva del legislatore nazionale.

– Le disposizioni del diritto italiano che incidono sulla materia, relativamente all’ oggetto della presente controversia che investe per intero gli anni 2001, 2002 e 2003 sono, sino al 28 aprile 2003, quelle dettate dal R.D.L. n. 692 del 1923 e dai suoi regolamenti di attuazione, e, per la seconda parte, quelle contenute nel D.Lgs. n. 66 del 2003. La normativa del 1923 considerava lavoro effettivo quello che richiede un’applicazione assidua e continuativa ed escludeva da tale ambito occupazioni discontinue o di semplice attesa o custodia, stabilendo che queste ultime occupazioni potevano pertanto superare i limiti massimi temporali fissati dalla legge.

8. Il regolamento di attuazione per le imprese industriali, emanato con R.D. n. 1955 del medesimo anno, precisava (art. 3) che non si considerano come lavoro effettivo: 1) i riposi intermedi che siano presi sia all’interno che all’esterno dell’azienda; 2) il tempo impiegato per recarsi sul posto di lavoro; 3) le soste di lavoro di durata non inferiore a dieci minuti e complessivamente non superiore a due ore, comprese tra l’inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia richiesta alcuna prestazione all’operaio o all’impiegato. Anche questa normativa non è finalizzata a stabilire qual è il tempo di lavoro retribuibile, bensì a fissare i limiti massimi della durata del lavoro, tanto che in taluni casi riposi e pause sono retribuiti. Comunque, nel considerare le fasi prodromiche, si limita ad escludere il tempo impiegato per recarsi sul posto di lavoro.

9.La normativa del 2003 riprende dal diritto Europeo la definizione di orario di lavoro ed introduce una disciplina che va al di là dei limiti tematici del diritto dell’Unione. La definizione è così formulata: “Agli effetti delle disposizioni del presente decreto si intende per a) orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. La formula, come è stato evidenziato da Cass. n. 1839/2012 e n. 1703/2012, è volutamente ampia e tale da includere nella nozione non solo l’attività lavorativa in senso stretto, ma anche le operazioni strettamente funzionali alla prestazione. A questo fine è necessario che il lavoratore sia “a disposizione” del datore di lavoro, cioè soggetto al suo potere direttivo e disciplinare.

10. Quanto alla regola di riparto dell’onere probatorio, va osservato che la giurisprudenza di questa Corte Suprema (per superare la quale il ricorso non fornisce idonee argomentazioni) ha affermato che, in tema di determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi, l’ente previdenziale deve provare che il lavoratore ha ricevuto dal datore di lavoro somme a qualunque titolo, purchè in dipendenza del rapporto lavorativo, mentre è onere del datore di lavoro provare una delle cause di esclusione dell’obbligo contributivo previste dalla L. n. 153 del 1969, art. 12, comma 2 (cfr. Cass. n. 461/11; Cass. n. 1077/99; v. altresì Cass. n. 16639/14). In particolare, Cass. n. 4284 del 22 aprile 1992 ha affermato che, poichè il diritto alla retribuzione sorge per il solo fatto della messa a disposizione delle energie lavorative, la semplice presenza del dipendente in azienda determina la presunzione della sussistenza nel datore di lavoro del potere di disporre della prestazione lavorativa. Talchè è orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso all’interno dell’azienda, a meno che il datore di lavoro non provi che il prestatore d’opera sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico. E ciò alla stregua del criterio secondo cui l’onere probatorio del fatto impeditivo, modificativo o estintivo grava su chi eccepisce l’insussistenza dell’obbligazione.

11.Nel giudizio promosso dal contribuente per l’accertamento negativo del credito previdenziale, incombe all’Istituto previdenziale l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva, che l’Istituto medesimo fondi su rapporto ispettivo. A tal fine, il rapporto ispettivo dei funzionari dell’ente previdenziale, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria quando esprime gli elementi da cui trae origine (in particolare, mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi), restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori (Cass. 14695 del 6 settembre 2012).

12.Ciò premesso, la Corte d’appello di Brescia si è attenuta ai principi appena ricordati ed ha correttamente interpretato le disposizioni relative all’orario di lavoro. Infatti, la Corte territoriale, dopo aver descritto le circostanze fattuali che caratterizzano l’espletamento dell’attività dei dipendenti della Ferretti s.p.a. all’interno dell’area dell’acciaieria della Dalmine s.p.a., ha individuato nel D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1, comma 2, lett. a) e nella centralità del dato della “disponibilità” del lavoratore, una volta varcato il cancello dell’acciaieria, il dato normativo essenziale di riferimento. Peraltro, la Corte ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte di legittimità che in fattispecie regolate dalla disciplina previgente per quanto si è detto in parte rilevante ratione temporis – ha fatto applicazione del principio – perdurante anche nel vigore del D.Lgs. n. 66 del 2003- secondo cui il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell’attività lavorativa vera e propria (e va, quindi, sommato al normale orario di lavoro come straordinario) allorchè lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione. Tale carattere funzionale dello spostamento rispetto alla prestazione in sè considerata è, naturalmente, questione di fatto che va accertata dal giudice di merito come è avvenuto nel caso di specie.

13.La Corte territoriale ha constatato come i fatti indicati nei verbali ispettivi fossero stati vanamente contestati dalla società appellata. Infatti, la modalità di lettura dei tabulati delle registrazioni dei dispositivi marcatempo era stata efficacemente riferita dalla teste ispettore R.. La Corte poi ha, sul piano logico, avvalorato le risultanze dei tabulati rilasciati dalla Dalmine s.p.a. evidenziando che la natura dell’attività produttiva e la sua intrinseca pericolosità imponevano la necessità di marcare l’entrata e l’uscita dallo stabilimento da parte di tutti i lavoratori della Ferretti- nominativamente individuati- in ogni caso in cui ciò avvenisse anche nell’arco della stessa giornata. Quindi, essendo accertati tali limiti temporali, la Corte ha rilevato che la contestazione riguardava, allora, non tanto il tempo di presenza in azienda dei dipendenti quanto la durata delle loro prestazioni o meglio la questione di stretto diritto relativa alla corrispondenza di quella presenza ad esercizio d’attività lavorativa.

14.La Corte territoriale ha correttamente accertato che ciascun lavoratore aveva così messo a disposizione del datore di lavoro le proprie energie ossia aveva adempiuto, in tal modo, all’obbligazione assunta ed è pervenuta alla conclusione della retribuibilità stante la presunzione di onerosità, tipica del lavoro subordinato del tempo impiegato non solo allo svolgimento in senso stretto delle mansioni affidate ma anche all’espletamento di attività prodromiche ed accessorie a quello svolgimento. Dunque correttamente è stato definito orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso all’interno dell’azienda, a meno che il datore di lavoro non provi che il prestatore d’opera sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico.

15. Ciò alla stregua, del criterio secondo cui l’onere probatorio del fatto impeditivo, modificativo o estintivo grava su chi eccepisce l’insussistenza dell’obbligazione. Il che significa che la pretesa creditoria è risultata fondata per essere stato ritenuto pacifico il fatto costitutivo – circostanza, questa, idonea a dispensare l’Istituto, attore in senso sostanziale, dell’onere probatorio a suo carico – e per non avere la controparte provato l’eccezione e cioè che, ancorchè in azienda nel corso dell’intero intervallo di tempo registrato con il cartellino marcatempo, i dipendenti fossero nel correlativo arco di tempo liberi di disporre a loro piacimento.

16. I giudici di appello hanno esaminato il materiale probatorio acquisito in causa e valutato la piena concordanza dei molteplici elementi valorizzati dall’INPS nel verbale di accertamento congiunto – INPS ed INAIL- dell’otto ottobre 2008 a sostegno del lavoro straordinario effettuato dagli operai della s.p.a. Ferretti nel periodo ivi indicato e della presenza nel luogo di lavoro dei due dipendenti in malattia nei giorni indicati nel verbale ispettivo.

17. Deve, quindi, rilevarsi l’inammissibilità del motivo relativo alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 416 c.p.c. che la ricorrente fonda sulla mancata considerazione da parte della sentenza impugnata, nella valutazione del materiale istruttorio, delle circostanze allegate dalla parte in ordine alle concrete modalità di spostamento dei dipendenti all’interno dello stabilimento, ovvero alla timbratura dei cartellini e che l’Inail non avrebbe specificamente contestato. Questa Corte (da ultimo v. Cass. 27000/2016) ha infatti affermato che in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

18. Neanche il vizio di motivazione, sollevato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 quale articolazione del secondo e del terzo motivo, è fondato. I giudici di appello hanno posto in luce (v. pag. 4 e 8 e s.) gli elementi tratti dal verbale ispettivo e dagli allegati allo stesso che riepilogavano analiticamente le inadempienze contestate – cioè l’effettuazione del lavoro straordinario da parte dei dipendenti Ferretti s.p.a.- indicando il codice fiscale ed il nominativo di ciascun lavoratore, la qualifica, il periodo dell’inadempienza, gli imponibili calcolati e gli elementi di riferimento della base imponibile. In particolare, la Corte d’appello ha specificato che la discrepanza degli orari registrati sui cartellini con quelli sulle cui basi sono stati pagati i contributi è pacifica.

19. La Corte territoriale ha, inoltre, verificato la concreta idoneità probatoria di tali risultanze mediante confronto delle stesse con le dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso del primo grado. In particolare, la Corte ha valorizzato la ricostruzione delle modalità di accesso ed uscita dei lavoratori dallo stabilimento Dalmine s.p.a., mediante timbratura a mezzo degli appositi sistemi in uso presso tale società. E’ stato specificato che un lettore del cartellino era presente pure presso i locali della mensa, come riferito dai testi R.L. e Gu.Va..

Dalla testimonianza di quest’ultimo, dirigente del personale della Dalmine, poi, la Corte ha tratto il convincimento che il sistema di rilevazione dell’orario presso Dalmine s.p.a. non presentasse alcuna criticità, in quanto la rilevazione di orari corrispondenti a cifre orarie superiori alle 24,00 era voluta e derivava dalla circostanza che, superato tale orario, l’orologio incrementava il numero delle ore senza partire dallo zero.

Tali dati hanno rafforzato, nel ragionamento della Corte di merito, il valore presuntivo generale della durata della prestazione lavorativa per un tempo corrispondente a quello registrato sul cartellino marcatempo. Valore presuntivo che avrebbe potuto essere vinto solo dalla specifica allegazione e dalla prova che per ragioni particolari i lavoratori si trattenevano all’interno dello stabilimento senza lavorare e senza l’obbligo di rimanere a disposizione del datore di lavoro.

20. Analogo discorso va fatto riguardo alla motivazione che sorregge l’accertamento dell’effettiva presenza sul posto di lavoro dei due operai durante il periodo di assenza per malattia. La Corte di merito ha spiegato in modo logico e concludente che l’ingresso in acciaieria era presidiato e controllato da Dalmine s.p.a. in modo attento ed affidabile, come risultato dalle esaurienti dichiarazioni rese dai testi. Peraltro, anche uno dei lavoratori interessati ( P.P.) a fronte delle risultanze dei cartellini marcatempo non aveva trovato difficoltà ad ammettere che poteva capitare di essere chiamati a terminare un lavoro durante la malattia.

A giudizio della Corte d’appello, dunque, a fronte degli elementi tratti dai verbali ispettivi e dalle dichiarazioni testimoniali, sono risultate del tutto infondate le censure mosse dalla ricorrente in precedenza esposte. La Corte del merito ha fornito ampia e dettagliata motivazione della valutazione delle risultanze istruttorie ad essa affidata. Quanto, poi, ai contenuti delle deposizioni rese dai testi e riportate in stralcio in ricorso va osservato che quelli relativi agli ispettori Gh. e R. ed al teste Gu. in nulla contraddicono il ragionamento della Corte di merito. Le dichiarazioni dei testi N. e P., poi, limitandosi a riferire di una mera possibilità che qualcuno dei dipendenti potesse anche essersi trattenuto – talvolta all’interno dell’acciaieria un pò più a lungo, non possono certo ritenersi idonee ad individuare fatti controversi e decisivi e cioè idonei, ove riconosciuti, a determinare senz’altro una diversa ricostruzione del fatto, intesa cioè non come idoneità a determinare la mera possibilità o probabilità di una ricostruzione diversa (in questo senso, v. tra le altre Cass. n. 22979 del 2004 e n. 3668 del 2013).

A tale ultimo proposito è da evidenziare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione della norma applicabile ratione temporis- risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 essendo la sentenza pubblicata il 23 marzo 2012 prevede “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” non più “circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio” bensì circa un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Questa Corte con sentenza n. 21152 del 24 ottobre 2014 ha affermato che i “fatti” in ordine ai quali assume rilievo il vizio di motivazione sono i “fatti principali”, ossia i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto controverso come individuati dall’art. 2697 c.c., anche se in giurisprudenza vi sono alcune pronunce per le quali assumono rilievo in concreto anche i “fatti secondari”, ossia i fatti affermati dalle parti in funzione di prova dei fatti principali: in ogni caso giammai in dottrina e giurisprudenza si è ritenuto che il termine “fatto” possa, dopo la citata riforma, considerarsi equivalente a “questione” o “argomentazione”, dovendo per fatto intendersi un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico.

Infondata è, pertanto, la censura della ricorrente, non solo in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie da parte dei giudici del merito, avendo questi ampiamente valutato tutte le risultanze processuali attribuendo rilevanza, come nei loro poteri, alle risultanze motivatamente ritenute più attendibili, ma anche in ordine alla illogicità delle deduzioni e delle illazioni della Corte territoriale, che si è invece strettamente attenuta alla formulazione di un giudizio complessivo, che consente l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Pertanto, il ricorso va rigettato.

21. Stante la soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese nei confronti dell’INAIL e dell’INPS con liquidazione come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida, quanto all’INAIL, in Euro 3200,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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