Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12098 del 13/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 13/06/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 13/06/2016), n.12098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15272-2013 proposto da:

COMPAGNIA TRASPORTI LAZIALI SOCIETA’ PER AZIONI (COTRAL S.P.A.),

C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo

studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 45, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI PELLETTIERI, che lo rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5081/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/06/2012 r.g.n. 3682/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato EMILIANI SIMONE per delega verbale Avvocato PROIA

GIAMPIERO;

udito l’Avvocato TRONCELLITI ROSA per delega Avvocato PELLETTIERI

GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso e

rigetto dell’istanza di riunione.

Fatto

Con sentenza depositata 1’8.6.2012, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da COTRAL s.p.a. avverso la sentenza con cui il locale Tribunale aveva dichiarato l’illegittimità della destituzione adottata in danno di M.M. e condannato l’azienda a reintegrare questi nel posto di lavoro occupato precedentemente al trasferimento disposto nel corso del procedimento disciplinare.

La Corte, per quel che qui rileva, riteneva il recesso datoriale illegittimo in ragione della genericità delle condotte contestate al dipendente e dichiarava altresì carente di specifico motivo di gravame l’appello proposto nei confronti del capo di sentenza concernente l’illegittimità del trasferimento.

Per la cassazione di tali statuizioni ricorre COTRAL s.p.a. con due motivi di ricorso. Resiste M.M. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 St. lav., R.D. n. 148 del 1931, artt. 45 e 53, e artt. 1362, 1363, 1364, 1366 e 1368 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito ritenuto la genericità della contestazione disciplinare sia sotto il profilo degli estremi oggettivi della condotta contestata che con riguardo alla sua natura intrinsecamente dolosa.

Il motivo è infondato. I giudici di merito hanno infatti compiutamente spiegato i motivi per i quali la condotta addebitata all’odierno controricorrente era stata contestata in modo lacunoso sia con riguardo ai suoi connotati oggettivi che con riferimento ai suoi aspetti soggettivi, valorizzando peraltro al riguardo la circostanza che degli elementi subiettivi e obiettivi della condotta asseritamente illecita la ricorrente era pienamente a conoscenza per essere essi emersi nel corso delle indagini interne, al punto che ne era stata fatta denuncia all’autorità giudiziaria penale ancor prima che essi venissero contestati disciplinarmente. Ed è proprio tale ultima circostanza che consente di meglio apprezzare l’infondatezza del motivo di ricorso, che parte ricorrente pretende invece di argomentare richiamandosi a Cass. n. 8853 del 2002: vero è che con tale pronuncia si è statuito che l’esigenza di specificità della contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale nè si ispira ad uno schema precostituito e ad una regola assoluta e astratta, essendo funzionalmente e teleologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa, onde ben potrebbe una contestazione descrittivamente circoscritta non essere d’ostacolo all’attività difensiva del lavoratore, ma non è meno vero che tale principio è stato affermato sul presupposto che nell’esigenza di specificità della contestazione si concretano pur sempre i principi di correttezza e buona fede che informano il rapporto esistente tra le parti, i quali impongono a ciascuna parte di adottare tutti i comportamenti che siano idonei a salvaguardare l’interesse dell’altra parte nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (Cass. nn. 10182 del 2009, 22819 del 2010), come ad es. quello, pur non canonizzato dall’art. 7 St. lav., di offrire in consultazione i documenti aziendali all’incolpato che ne faccia richiesta, laddove l’esame degli stessi sia necessario per predisporre un’adeguata difesa (Cass. n. 6337 del 2013), ovvero appunto quello – rilevante nel caso di specie – di non imporre al lavoratore un inutile sforzo difensivo per individuare da sè la portata oggettiva e soggettiva di una condotta i cui estremi sono invece perfettamente noti al datore di lavoro. E poichè l’accertamento relativo alla sussistenza del requisito di specificità della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, censurabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale ovvero nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c.p., n. 5 (cfr. Cass. nn. 3407 del 1982, 1562 del 2003 e 12526 del 2004), il motivo va ritenuto infondato, non potendosi ovviamente in questa sede di legittimità procedere ad una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice di merito. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 434 c.p.c. e degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito ritenuto carente di specifico motivo di gravame l’appello proposto da essa ricorrente avverso la statuizione di primo grado, che aveva giudicato illegittimo il trasferimento dell’odierno controricorrente disposto nel corso del procedimento disciplinare.

Il motivo è inammissibile. La Corte territoriale ha infatti osservato che il giudice di prime cure aveva collegato la disponibilità al trasferimento offerta dall’odierno controricorrente nel corso del procedimento disciplinare alla stipulazione di una transazione (poi non conclusa) che mettesse capo alla rinuncia della ricorrente ad avvalersi dell’esercizio del potere di recesso per i fatti oggetto della contestazione, ed ha ritenuto che, su tale specifico punto, la ricorrente medesima non avesse formulato alcun motivo di appello, pretendendo invece che l’acquiescenza preventivamente manifestata al trasferimento venisse riportata alla consapevolezza da parte del lavoratore della illegittimità del proprio comportamento ovvero all’incompatibilità ambientale creatasi a causa della sua manchevole condotta, ossia a fatti nuovi che non erano stati dedotti in primo grado. E poichè la parte che pretenda di censurare un error in procedendo (quale va considerato quello in esame: cfr. in tal senso le esaustive argomentazioni di Cass. n. 16164 del 2015) ha l’onere di riportare, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale lamentato, onde consentire a questa Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale, deve ritenersi che parte ricorrente avesse l’onere di indicare in quale momento ed in quale atto del giudizio di primo grado fossero state sollevate le questioni valutate come nuove dal giudice d’appello, per modo che, non avendolo fatto, la doglianza si appalesa inammissibile.

Il ricorso, conclusivamente, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, disponendosene la distrazione in favore dell’Avv. Giovanni Pellettieri, dichiaratosi antistatario. Sussistono inoltre i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 4.100,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, distratte.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016

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