Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12097 del 13/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 13/06/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 13/06/2016), n.12097

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9650-2013 proposto da:

T.V., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 42, presso lo studio

degli avvocati ANTONIO DE PAOLIS, PAOLO ERMINI, che lo

rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), – Società con socio unico,

soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Ferrovie

dello Stato S.p.A. – in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR 19, presso

lo studio dell’Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO (STUDIO TOFFOLETTO –

DE LUCA TAMAJO e Soci), che la rappresenta e difende, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 310/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/04/2012 R.G.N. 10152/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato GAROFALO BENEDETTA per delega verbale Avvocato DE

LUCA TAMAJO RAFFAELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza depositata il 3.4.2012, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della statuizione di primo grado, rigettava la domanda proposta da T.V. per rivendicare il proprio diritto all’inquadramento nell’Area 5, liv. 8, del CCNL per il personale dipendente di Trenitalia s.p.a., in ragione delle mansioni svolte dal 1998 in poi.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso il lavoratore, cm) un unico motivo di ricorso, articolato in più profili di censura. Resiste Trenitalia s.p.a. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., degli artt. 1362, 1363, 1366 c.c. e art. 1368 c.c. e ss. in relazione al CCNL per i dipendenti della società controricorrente stipulato per il periodo 1990-1992, nonchè “omessa… o comunque insufficiente motivazione su alcuni punti decisivi della controversia” (individuati con riferimento a “svolgimento di poteri di rappresentanza, autonomia decisionale, funzioni di tipo intellettuale, gestione delle risorse, attività di controllo, responsabilità diretta, rapporti con il dirigente”) e “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in merito alla valutazione delle prove raccolte”, per avere la Corte territoriale ritenuto che le mansioni da lui svolte potessero essere sussumibili entro la declaratoria contrattuale propria del livello d’inquadramento anche successivamente al gennaio 1998, ossia dopo che la sua attività di collaudo non era più svolta nell’ambito dell’officina e in genere degli impianti della società controricorrente.

Le censure sono inammissibili.

Quanto alle doglianze di violazione dell’art. 2103 c.c. e dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss., è opportuno ricordare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione della norma recata da una disposizione di legge da parte del provvedimento impugnato, riconducibile o ad un’erronea interpretazione della medesima ovvero nell’erronea sussunzione del fatto così come accertato entro di essa, e non va confuso con l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 15499 del 2004, 18782 del 2005, 5076 e 22348 del 2007, 7394 del 2010, 8315 del 2013).

Ciò posto, è agevole rilevare che le censure di violazione di legge formulate da parte ricorrente nel motivo di ricorso incorrono precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulate con riferimento a presunte violazioni o false applicazioni delle norme indicate in rubrica, hanno in realtà di mira il giudizio (di fatto) compiuto dalla Corte territoriale in ordine all’attività da lui svolta dopo il gennaio 1998: il ricorrente, infatti, non critica l’interpretazione che delle norme legislative o contrattuali ha dato la Corte di merito, nè censura in alcun modo il procedimento di sussunzione dei fatti così come accertati dalla Corte nell’ambito della norma legale e contrattuale, ma sostiene piuttosto che, dopo l’esternalizzazione delle attività di ristrutturazione delle carrozze ferroviarie (avvenuta appunto dopo il gennaio 1998), il suo lavoro sarebbe consistito in un’attività differente da quella svolta fino a quel momento, e precisamente in un’attività di studio, di rappresentanza, di sovrintendenza, di responsabilità e di controllo e gestione di ingenti risorse. E poichè l’erronea sussunzione del vizio nell’una o nell’altra fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c. costituisce causa di inammissibilità del motivo di ricorso tutte le volte in cui, indipendentemente dalla corretta individuazione della norma di riferimento, la censura non sia debitamente formulata in relazione al tenore della pronuncia caducatoria richiesta (cfr. in tal senso Cass. S.U. n. 17931 del 2013), il motivo di ricorso va ritenuto in parte qua inammissibile.

Parimenti inammissibili sono le censure di difetto di motivazione, con le quali peraltro parte ricorrente ripropone le medesime questioni circa il giudizio (di fatto) compiuto dalla Corte territoriale in ordine alle mansioni svolte successivamente all’esternalizzazione dei lavori di ristrutturazione delle carrozze ferroviarie.

Premesso al riguardo che la vicenda per cui è causa ricade nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo previgente alla modifica apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv. con L. n. 134 del 2012), e ricordato che la censura che investe la valutazione della prova (ossia l’attività regolata dagli artt. 115 e 116 c.p.c.) può essere fatta valere solo ai sensi e nei limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 cit. (Cass. n. 15107 del 2013), è agevole rilevare che le doglianze sollevate in ricorso si sostanziano nel richiedere al giudice di legittimità la rinnovazione del giudizio di fatto: il ricorrente, infatti, non imputa alla Corte territoriale di aver omesso o reso insufficiente motivazione in ordine a specifici fatti che, ove presi in considerazione, avrebbero potuto condurre ad una diversa soluzione, ma rimprovera alla Corte il contenuto del giudizio di merito reso in ordine a quei fatti. E poichè questa Corte di legittimità non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (così, tra le più recenti, Cass. n. 25332 del 2014), anche tali profili di censura devono ritenersi inammissibili.

Il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono inoltre i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 4.100,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016

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