Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12096 del 13/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 13/06/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 13/06/2016), n.12096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3527-2015 proposto da:

FCF TRASPORTI E SPEDIZIONI A R.L. IN LIQUIDAZIONE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

ISONZO MULTISERVICE SOCIETA’ COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso

lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MATTINA ALBERTO, giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

R.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE MAZZINI 55, presso lo studio dell’avvocato VALORI

ANTONIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

RODINI LUIGI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1242/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/01/2015 r.g.n. 962/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2016 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO;

udito l’Avvocato CIPROTTI ALESSIA per delega Avvocato PAFUNDI

GABRIELE;

udito l’Avvocato VALORI ROSALBA per delega Avvocato RODINI LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo del ricorso ISONZO, assorbito il secondo, rigetto del

ricorso FCF.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il Tribunale di Novara, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, regolata L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 47 e ss., riformò l’ordinanza pronunciata all’esito della prima fase che aveva respinto il ricorso proposto da R.S. nei confronti della datrice di lavoro Isonzo Multiservice Soc. Coop. in liquidazione nonchè della FCF Trasporti e Spedizioni Soc. Cons. a r.l. in liquidazione.

In seguito all’opposizione del lavoratore il Tribunale, accertata “l’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro tra le società convenute” nonchè “la violazione, da parte delle società convenute, dell’obbligo di repechage”, dichiarò risolto il rapporto di lavoro e condannò la Isonzo e la FCF, in solido tra loro, al pagamento, in favore di R.S., “di un’indennità onnicomprensiva pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto”, oltre accessori e spese della doppia fase.

Interposto reclamo dalle due società, la Corte di Appello di Torino, con sentenza del 12 gennaio 2015, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di accertamento dell’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, assolvendo la FCF “da ogni responsabilità in merito all’impugnato licenziamento” e compensando le spese di lite con il lavoratore, “stante la particolare condizione di quest’ultimo”.

La Corte territoriale ha invece respinto il motivo di gravame della cooperativa Isonzo nella parte in cui “ci si duole dell’avvenuta violazione da parte della datrice di lavoro Isonzo Multiservice dell’obbligo di repechage”. Ha in premessa rilevato che il Tribunale di Novara aveva “espressamente escluso che nel caso di specie la datrice di lavoro avesse violato l’obbligo da cui era gravata”, tuttavia – ad avviso del Collegio torinese – “la necessità di esaminare la sussistenza della specifica ragione di illegittimità del licenziamento comporta la rivisitazione critica di tali affermazioni che naturalmente dalle reclamanti non sono state specificamente censurate, ma che sono state formulate dalla decidente a fronte delle specifiche deduzioni del ricorrente”. La Corte ha dunque ritenuto “che in causa è stata positivamente provata l’insussistenza del motivo addotto a giustificazione del licenziamento” e che, a fronte di un complesso aziendale ricco ed articolato, il lavoratore, dotato di una professionalità del tutto generica e conforme all’oggetto sociale, era “riutilizzabile su qualsiasi postazione”.

La Corte di Appello ha altresì respinto il motivo di impugnazione con cui si lamentava che, avendo il lavoratore richiesto la reintegrazione, costituiva violazione dell’art. 112 c.p.c., la decisione consistente nella liquidazione dell’indennità pari a 12 mensilità, previa declaratoria dell’intervenuta risoluzione del contratto di lavoro. Ha argomentato che “la conseguenza sanzionatoria discende dalla qualificazione giuridica della fattispecie operata dal giudice, sulla scorta della domanda concernente l’illegittimità del licenziamento. Avendo riscontrato il tribunale il ricorrere dell’ipotesi di cui alla seconda parte del secondo periodo della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, sulla base di quel presupposto ha doverosamente e correttamente applicato le conseguenze che la legge impone”.

2. – Per la cassazione di tale sentenza, con unico atto, hanno proposto ricorso per cassazione sia la Isonzo Multiservice Soc. Coop. in liquidazione con due motivi sia la FCF Trasporti e Spedizioni Soc. Cons. a r.l. con un motivo. R.S. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. – Con il primo motivo di ricorso la Isonzo Multiservice Soc. Coop. in liquidazione denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 333, 346, 324 e 112 c.p.c. e art. 2909 c.c..

Si evidenzia che il Tribunale in primo grado aveva accolto solo uno dei motivi proposti dal lavoratore a sostegno dell’impugnazione del licenziamento, consistente nella unicità del centro di imputazione di interessi cui dover riferire il rapporto di lavoro e con conseguente violazione del repechage riferibile all’intero gruppo aziendale. Invece il primo giudice aveva espressamente escluso sia la tesi secondo cui nel caso di specie non sussisteva il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, “sia quella secondo cui l’obbligo di repechage doveva ritenersi violato da parte di Isonzo Multiservice in relazione alla sua propria ed esclusiva struttura aziendale”. Secondo parte ricorrente, “poichè tali valutazioni…

non sono state impugnate dal Sig. R.S. neppure in via di reclamo incidentale… occorre ritenere che su tali questioni, ciascuna integrante autonoma domanda poichè rispondente a specifica e distinta causa petendi, sia intervenuto giudicato interno”, con la violazione da parte della sentenza impugnata anche dell’art. 112 c.p.c., atteso che “nessuna parte del processo ha chiesto alla Corte di Appello di rivedere la sentenza di primo grado in relazione ai suddetti temi e/o causae petendi”.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Occorre evidenziare che il lavoratore con la sentenza del tribunale aveva visto accolta l’impugnativa di licenziamento nei confronti di entrambe le società convenute; non aveva dunque interesse ad impugnare in appello non sussistendo soccombenza in senso tecnico rispetto a talune ragioni della decisione.

Infatti vi è difetto d’interesse dell’impugnazione incidentale ove proposta dalla parte totalmente vittoriosa ed eventualmente incidente solo sulla motivazione della sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass. n. 658 del 2015; Cass. n. 7057 del 2010; Cass. n. 6519 del 2007; Cass. n. 3654 del 2006; Cass. n. 2067 del 1996; Cass. n. 11773 del 1990). Invero, secondo la dottrina classica vi è soccombenza c.d. formale (che legittima all’impugnazione) solo nel caso di rigetto della domanda o di parte di essa e non in ipotesi di sfavorevole soluzione di una questione. Ed anche ove voglia ritenersi con la più moderna dottrina che soccombenza ed interesse all’impugnazione siano oggi espressioni che denotano distinti fenomeni, e che quindi anche la sfavorevole soluzione di questioni dia origine ad una vera e propria soccombenza (per quanto teorica), va osservato che manca l’interesse ad impugnare per la parte che abbia egualmente conseguito il successo sulla domanda (cfr. Cass. SS.UU. n. 5456 del 2009).

Non essendovi necessità di un reclamo incidentale da parte del lavoratore non vi è neanche possibilità che si sia formato un giudicato interno per mancanza di una impugnazione non dovuta, per cui correttamente la Corte territoriale, investita dal reclamo delle società, ha ritenuto interamente devoluta in grado d’appello la questione della legittimità del licenziamento.

Del resto l’effetto devolutivo che si realizza proponendo ex art. 342 c.p.c., comma 1, specifici motivi di gravame va coordinato con l’art. 329 cpv. c.p.c., in virtù del quale l’impugnazione parziale importa acquiescenza (e, quindi, formazione del giudicato interno) delle parti della sentenza non impugnate, per esse intendendosi non qualsiasi portato assertivo contenuto nella sentenza, ma soltanto quelli idonei a passare – appunto – in cosa giudicata.

A tal fine questa Corte ha adoperato, proprio al fine di selezionare le questioni (di fatto e/o di diritto) devolvibili e, per converso, suscettibili di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione di “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno”, che consiste nella sequenza logica “fatto –

norma – effetto giuridico”, cioè nella statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (v. Cass. n. 10832 del 1998;

Cass. n. 6769 del 1998).

Benchè ciascun elemento di tale sequenza possa essere singolarmente investito di censura in appello, nondimeno l’impugnazione motivata in ordine anche ad uno solo di essi – come nella specie – riapre per intero l’esame di tale minima statuizione, consentendo al giudice dell’impugnazione di riconsiderarla tanto in punto di diritto (individuando una diversa norma sotto cui sussumere il fatto o fornendone una differente esegesi) quanto in punto di fatto, attraverso una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti (da ultimo Cass. n. 2217 del 2016).

4. – Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c, comma 1, n. 4, nonchè motivazione insufficiente, in quanto il lavoratore non aveva chiesto la risoluzione del rapporto di lavoro ed il pagamento dell’indennità di cui al L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, ma si era limitato a chiedere senz’altro e solo la reintegra ed il risarcimento del danno, di tal che il Tribunale avrebbe dovuto respingere tale richiesta e non rendere, in difetto di relativa istanza, un diverso provvedimento.

Anche questa doglianza è infondata.

Secondo pronunce di questa Corte non viola il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciatola sentenza con la quale il giudice, ritenendo carenti le condizioni per l’operatività dell’invocata tutela reale, condanni il datore di lavoro alla riassunzione del lavoratore o, in alternativa, a corrispondergli l’indennità di cui al citato art. 8, trattandosi di domande in rapporto di “continenza” (Cass. n. 9460 del 1991). In analogo senso si è affermato, in tema di inefficacia del licenziamento, che, se il dipendente illegittimamente licenziato aveva chiesto l’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e quindi anche il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal giorno in cui il licenziamento ha trovato attuazione, il giudice, accertato che non sussistono i requisiti dimensionali per l’applicazione dell’art. 18, deve accordare, sussistendo i relativi presupposti, la tutela in tal caso applicabile (dichiarazione di inefficacia del licenziamento e risarcimento del danno), essendo tale tutela omogenea e di ampiezza minore rispetto a quella prevista dall’art. 18 (Cass. n. 13375 del 2003).

Ovvero che non è ravvisabile mutamento della causa petendi nell’ipotesi in cui il dipendente che aveva impugnato il licenziamento, deducendone la illegittimità per mancanza di giustificato motivo, proponeva con ricorso introduttivo domanda di tutela reale, mentre, in sede di precisazione delle conclusioni, richiedeva quella obbligatoria, in quanto, in detta ipotesi, il mutamento riguarda solo gli effetti ricollegabili alla tutela richiesta da ultimo, che sono compresi in quelli cui dà luogo la tutela originariamente invocata (Cass. n. 12579 del 2003; Cass. n. 14486 del 2001); così come deve ritenersi ammissibile la domanda, proposta per la prima volta in appello dal lavoratore illegittimamente licenziato, diretta ad ottenere la L. n. 604 del 1966, riassunzione ex art. 8, ove in primo grado il lavoratore medesimo abbia proposto la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18, atteso che la prima deve ritenersi compresa, come minus, in quest’ultima (Cass. n. 8906 del 1997).

Il principio ricordato in base al quale una pretesa più ampia contiene in sè una pretesa di minore portata ha trovato di recente conferma e applicazione proprio con riferimento al nuovo testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, che “nel prevedere una gradualità di tutele collegate al tipo di licenziamento accertato, attribuisce al giudice il potere-dovere di qualificare i fatti allegati in ricorso e di ricondurli alle ipotesi ivi previste, anche ai fini di determinare il regime sanzionatorio applicabile… Ne consegue che, nelle più ampie pretese connesse all’annullamento del licenziamento e consistenti nella tutela reintegratoria piena, ovvero nella richiesta di reintegrazione e risarcimento del danno commisurato a tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione, deve ritenersi compresa anche quella attenuata, come quella prevista dall’art. 18 cit., comma 4, derivante da un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo di cui sia accertata l’insussistenza del fatto, per il principio secondo cui una pretesa più ampia contiene in sè una pretesa di minore portata, sempre che i fatti allegati con la domanda rimangano immutati” (in termini Cass. n. 23073 del 2015).

Il Collegio intende dare continuità a tale principio, che condivide, per cui la censura in esame deve essere respinta.

5. – Con l’unico mezzo di gravame la FCF Trasporti e Spedizioni Soc. Cons. a r.l. denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1, art. 92 c.p.c. e art. 132 c.p.c., commi 1 e 4, nonchè difetto di motivazione per avere la sentenza impugnata compensato le spese di lite con il soccombente “stante la particolare condizione personale di quest’ultimo”.

Il motivo è fondato.

L’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione che regola la fattispecie in esame ratione temporis, ha previsto che “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese fra le parti”.

Nelle fattispecie sinora esaminate dalla Corte, mediante sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avente ad oggetto l’operazione di sussunzione operata dal giudice di merito (cfr. Cass. SS.UU. n. 2572 del 2012), è stato negato che possano essere ricondotte nella clausola generale delle “gravi ed eccezionali ragioni”: l’oggettiva “opinabilità della soluzione accolta”, in quanto la precisa individuazione del significato di un testo normativo in relazione alla fattispecie concreta a cui deve essere applicato costituisce il nucleo della funzione giudiziaria, sicchè l’ordinario esercizio nell’esegesi del testo normativo non può essere valutato come evento inusuale, almeno finchè non siano specificamente identificate le ragioni per le quali la soluzione assegnata al dubbio interpretativo assurga (per la sua contrarietà alla consolidata prassi applicativa, ovvero per la del tutto insolita connotazione lessicale e sintattica del tessuto letterale della norma) a livello di eccezionale gravità (Cass. n. 319 del 2014); il mero riferimento alla “natura processuale della pronuncia”, che, in quanto tale, può trovare applicazione in qualunque lite che venga risolta sul piano delle regole del procedimento (Cass. n. 16037 del 2014); la mera “peculiare natura” della declaratoria di improcedibilità dell’appello (Cass. n. 24634 del 2014); il “carattere ufficioso del rilievo dell’interruzione della prescrizione”, poichè esso integra un normale esito dell’attività valutativa del giudice (Cass. n. 11301 del 2015); “l’esiguità della pretesa creditoria”, specialmente ove l’importo delle spese sia tale da superare quello del pregiudizio economico che la parte intende evitare agendo in giudizio per fare valere il proprio diritto, atteso che in tale ipotesi la statuizione si tradurrebbe in una sostanziale soccombenza di fatto della parte vittoriosa, con lesione del principio costituzionale di cui all’art. 24 Cost., nonchè della regola generale dell’art. 91 c.p.c., (Cass. n. 11301 del 2015); il riferimento a “motivi di opportunità e giustizia sostanziale” o al “diverso esito del giudizio di primo grado” (Cass. n. 14546 del 2015); la “sussistenza di decisioni giurisprudenziali di merito di vario segno”, non potendo attribuirsi alla semplice esistenza di un contrasto interpretativo su di una determinata questione, tanto più se non ancora passata al vaglio dei giudici di legittimità, il carattere della eccezionalità e della gravità (Cass. n. 1521 del 2016).

Tale ultima pronuncia ha puntualizzato che, mentre la precedente formulazione della norma consentiva, nell’apprezzamento dei “giusti motivi”, di dare ingresso, ai fini della compensazione delle spese in caso di soccombenza, a soluzioni anche di tipo equitativo, l’attuale definizione tende a valorizzare solo quegli eventi o quelle situazioni che abbiano un’efficacia causale diretta sull’esito del giudizio e che, sul fronte soggettivo, si presentino normalmente idonee, secondo l’id quod plerumque accidit, ad accreditare il convincimento nella parte che agisce (o resiste) in giudizio della probabile fondatezza delle proprie tesi.

Nel caso in esame la Corte territoriale, nel compensare integralmente le spese tra la società FCF ed il soccombente, ha fatto riferimento ad una non meglio precisata “condizione personale di quest’ultimo”. In tali termini la ragione addotta non corrisponde ai requisiti prescritti, poichè la genericità del riferimento porta a ricondurre la soluzione nell’alveo delle ragioni di ordine equitativo in precedenza consentite nella vigenza della precedente definizione dei “giusti motivi”, ossia ad ipotesi che questa Corte – con i precedenti sopra citati – ha già escluso potere essere ricondotte nella clausola generale di cui alla formulazione dell’art. 92 c.p.c., secondo la modifica introdotta della L. 18 giugno 2009, n. 69. art. 45, comma 11.

6. – Conclusivamente il ricorso della Isonzo Multiservice Soc. Coop. in liquidazione deve essere respinto, con condanna di detta società alla rifusione delle spese sostenute dal controricorrente liquidate come da dispositivo.

Poichè detto ricorso per cassazione risulta nella specie proposto in data 27 gennaio 2015 occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui, D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Invece deve essere accolto il ricorso della FCF Trasporti e Spedizioni Soc. Cons. a r.l. in liquidazione, con cassazione della sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto qui statuito, pronunciandosi sulle spese e regolando anche quelle del giudizio di legittimità tra R.S. e la società FCF.

PQM

La Corte rigetta il ricorso proposto da Isonzo Multiservice Soc. Coop. in liquidazione e la condanna al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%. Accoglie il ricorso della FCF Trasporti e Spedizioni Soc. Cons. a r.l. in liquidazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese tra le parti.

Ai sensi, del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente Isonzo Multiservice Soc. Coop. in liquidazione, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016

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