Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12093 del 13/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 13/06/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 13/06/2016), n.12093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5317-2013 proposto da:

M.E., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO BAIAMONTI 10, presso lo studio

dell’avvocato GABRIELE MASOCCO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONELLA CARBONE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A.M.P. S.P.A., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

C.A.M.P. S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GAVINANA 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PECORA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI COLOMBO,

giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.E. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA ANTONIO BAIAMONTI 10, presso lo studio dell’avvocato

GABRIELE MASOCCO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA

CARBONE, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1070/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/09/2011 R.G.N. 119/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato PECORA FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo del ricorso principale, rigetto degli altri, rigetto del

ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza del 16 febbraio 2012 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare del 1 dicembre 2004 intimato senza preavviso dalla Camp Spa nei confronti di M. E., con condanna della società “a reintegrare il dipendente ed a corrispondergli un’indennità commisurata alle retribuzioni globali di fatto maturate per la durata di tre anni dal giorno del licenziamento, nella misura mensile lorda di Euro 2.395,73”, oltre accessori.

La Corte territoriale, esaminato il materiale istruttorio, ha ritenuto la mancanza di una “prova inequivocabile” sugli addebiti mossi al M., tale da configurare una giusta causa di licenziamento nel senso precisato dalla giurisprudenza di legittimità; quanto alla limitazione temporale del risarcimento al triennio successivo alla data del recesso, la Corte ha affermato che doveva “presuntivamente ritenersi, dato il lungo intervallo temporale intercorso da tale data ad oggi, che l’appellante abbia provveduto a sostenersi mediante altre occupazioni, produttive di reddito”.

Quanto al dedotto demansionamento, i giudici d’appello, confermando il giudizio di prime cure, hanno ritenuto che, “analizzando le risultanze istruttorie sul punto,…, si riscontra solo la pressochè generale conferma delle difficoltà relazionali tra M. e i signori C., con conseguente difficoltà di individuare i tempi e i modi di atti di erosione della professionalità del ricorrente anche alla luce della considerazione che in merito agli episodi asseritamente lesivi molti testi hanno detto di non sapere nulla, altri ne hanno ridimensionato la rilevanza accreditata dal M. o li hanno giustificati come modalità rientranti nell’ambito della normale dialettica del rapporto di lavoro”; “anche a prescindere da tale considerazione – ha aggiunto la Corte – si tratta di un lasso di tempo tanto ristretto che non è possibile ascrivere alle vicende di cui è causa una perdita di professionalità acquista nei precedenti anni di attività e in contesti di maggiore dimensione”.

2.- Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M. con quattro motivi. La CAMP Spa ha resistito con controricorso, contenente un ricorso incidentale affidato a due motivi. Ad esso ha resistito con controricorso il lavoratore. La società ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- I motivi del ricorso principale possono essere come di seguito sintetizzati:

violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 in relazione agli artt. 1223 e 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata limitato la liquidazione dell’indennità spettante al M. a titolo risarcitorio per l’illegittimità del licenziamento commisurandola alle retribuzioni non percepite per la durata di tre anni dal giorno del recesso, erroneamente presumendo, “dato il lungo intervallo temporale intercorso da tale data ad oggi, che l’appellante abbia provveduto a sostenersi mediante altre occupazioni, produttive di reddito” (primo motivo);

violazione e/o falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, in relazione all’art. 1223 c.c., per avere la sentenza impugnata quantificato la misura mensile delle retribuzioni globali di fatto da corrispondere cristallizzandola a quanto percepito dal lavoratore all’atto del licenziamento, senza tenere conto degli aumenti contrattuali di cui al CCNL di categoria nonchè degli scatti retributivi dovuti all’anzianità di servizio (secondo motivo);

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, lamentando che “la Corte di Appello di Milano non ha nè ammesso l’integrazione probatoria richiesta dal Dott. M., nè considerato i fatti sopravvenuti introdotti in appello dal Dott. M., impedendo la prova della sussistenza del danno da demansionamento, perdita di chances, biologico” (terzo motivo);

omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento danni da licenziamento ingiurioso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto, nonostante nelle conclusioni dell’atto di appello si fosse chiesto di dichiarare il carattere ingiurioso del recesso del 1 dicembre 2004, la Corte territoriale avrebbe “totalmente omesso di pronunciarsi in merito, con conseguente vizio di motivazione” (quarto motivo).

I motivi del ricorso incidentale sono invece i seguenti:

contraddittoria motivazione a proposito della insussistenza della giusta causa di licenziamento, quale fatto controverso e decisivo per il giudizio, in quanto pur essendosi riconosciuta la “pesantezza” dei comportamenti addebitati al M. non se ne sarebbe tratta l’inevitabile conseguenza della lesione del vincolo fiduciario (primo motivo);

omessa motivazione sulla domanda gradata di legittimità del licenziamento per sussistenza del giustificato motivo soggettivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (secondo motivo).

4.- Per ragioni di carattere logico occorre esaminare prioritariamente il ricorso incidentale, in quanto entrambi i motivi appena esposti attengono alla illegittimità del licenziamento così come ritenuta dalla Corte milanese.

Posto che detto ricorso incidentale, come eccepito dalla difesa del M., omette completamente la “esposizione sommaria dei fatti di causa”, obbligata ai sensi del combinato disposto dell’art. 371 c.p.c., comma 3, e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, rendendo l’impugnazione inammissibile, non essendo sufficiente l’esposizione contenuta nel ricorso principale in ragione della sua autonomia rispetto ad esso (tra le altre v. Cass. n. 18483 del 2015 e n. 76 del 2010), i motivi che sostengono il gravame risultano altresì palesemente infondati.

4.1.- Con il primo mezzo si denuncia una inesistente contraddittorietà della motivazione a proposito della giusta causa di licenziamento di cui la Corte territoriale, complessivamente valutando il materiale istruttorio, non ha ravvisato che fosse stata raggiunta prova sufficiente, gravante su parte datoriale.

Come noto la ricostruzione della vicenda storica e la sua valutazione in fatto costituisce indagine che è monopolio del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità nei ristretti ambiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, pur anche nella formulazione ante novella ex L. n. 134 del 2012.

Per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa, contraddittoria o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (per tutte v. Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).

Invero la Corte di cassazione non ha il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonchè scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra numerose altre: Cass. SS.UU. n. 5802 del 1998 nonchè Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del 2004, n. 1014 del 2006;

n. 18119 del 2008).

Nella specie parte ricorrente non individua un “fatto controverso e decisivo” che sarebbe stato trascurato dalla Corte territoriale, in rapporto di causalità tale con la soluzione giuridica della controversia da far ritenere, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, che la sua corretta considerazione avrebbe comportato una decisione diversa: certo non possono considerarsi fatti decisivi nel senso illustrato taluni comportamenti del M. descritti in alcune testimonianze, pure tenute in conto dai giudici d’appello ma considerati non tali da comprovare la complessiva sussistenza dell’addebito.

Sicchè il motivo in esame si traduce nell’invocata revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perchè estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.

4.2.- Una volta esclusa la sussistenza dell’addebito disciplinare ne deriva l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso incidentale; con esso si lamenta omessa motivazione della sentenza impugnata sulla richiesta conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo con preavviso; infatti per la conversione, anche d’ufficio, è necessario che sussistano i presupposti del licenziamento per giustificato motivo, mentre nella specie la Corte territoriale ha escluso, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, la prova della sussistenza dell’infrazione disciplinare contestata.

5.- Il ricorso principale è, invece, parzialmente fondato nei limiti di seguito indicati.

5.1.- Merita accoglimento il primo motivo nella parte in cui critica la sentenza impugnata, per violazione e/o falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, in relazione agli artt. 1223 e 2697 c.c., per avere limitato la liquidazione dell’indennità spettante al M. a titolo risarcitorio per l’illegittimità del licenziamento commisurandola alle retribuzioni non percepite per la durata di tre anni dal giorno del recesso.

Infatti la disposizione statutaria, nel testo all’epoca vigente ed applicabile alla fattispecie per le ipotesi di licenziamento invalido in regime di tutela reale, prevedeva la condanna al pagamento di una indennità, commisurata alla retribuzione globale di fatto, per l’intero periodo intercorrente dal licenziamento fino alla effettiva reintegrazione, con finalità risarcitorie e compulsive dello specifico adempimento.

La Corte territoriale ha dunque falsamente applicato detta norma di legge limitando la condanna al pagamento dell’indennità allo scadere del triennio dal recesso e prima della effettiva reintegrazione, sulla base dell’assunto secondo il quale dovrebbe “ritenersi, dato il lungo intervallo temporale intercorso da tale data ad oggi, che l’appellante abbia provveduto a sostenersi mediante altre occupazioni, produttive di reddito”.

Trattasi di una presunzione, legata al mero decorso del tempo, assolutamente priva dei necessari caratteri della gravità, della precisione e della concordanza, idonei a sostanziare l’inferenza di un fatto noto, che nella specie avrebbe dovuto comprovare un aliunde perceptum, e cioè che il M. avesse trovato una nuova occupazione ed il reddito che avesse percepito da essa, il cui onere probatorio tuttavia gravava sul datore di lavoro (per l’inammissibilità di una riduzione del risarcimento del danno per aliunde perceptum sulla base del mero decorso del tempo cfr. Cass. n. 17368 del 2015; Cass. n. 5676 del 2012).

Pertanto, per tale profilo la sentenza deve essere cassata nella parte in cui condanna la società a corrispondere al dipendente l’indennità solo “per la durata di tre anni dal giorno del licenziamento”.

5.2- Non può, invece, essere accolto il secondo mezzo di gravame con cui si denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, in relazione all’art. 1223 c.c., per avere la sentenza impugnata quantificato la misura mensile delle retribuzioni globali di fatto da corrispondere cristallizzandola a quanto percepito dal lavoratore all’atto del licenziamento, senza tenere conto degli aumenti contrattuali di cui al CCNL di categoria nonchè degli scatti retributivi dovuti all’anzianità di servizio.

Invero la determinazione dell’importo della retribuzione globale cui commisurare l’indennità risarcitoria di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 costituisce un accertamento di fatto del giudice di merito che non può essere certo inficiato in questa sede da deduzioni circa aumenti contrattuali e scatti di anzianità, prospettati in modo del tutto eventuale, senza alcun specifico riferimento al quando si sarebbero verificati ed alle specifiche discipline pro tempore vigenti che ne costituirebbero il fondamento, al fine di apprezzarne la necessaria decisività.

5.3.- Parimenti infondato il terzo motivo del ricorso principale con cui si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamentando che “la Corte di Appello di Milano non ha nè ammesso l’integrazione probatoria richiesta dal Dott. M., nè considerato i fatti sopravvenuti introdotti in appello dal Dott. M., impedendo la prova della sussistenza del danno da demansionamento, perdita di chances, biologico”.

In proposito è sufficiente richiamare quanto innanzi detto al paragrafo 4.1. sui limiti del sindacato di questa Corte sulle questioni di fatto che non consentono rivalutazioni di giudizi di competenza dei gradi di merito.

Opportuno solo aggiungere che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale, così come di qualsiasi altra prova o di richiesta di consulenza tecnica, può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; Cass. n. 4369 del 2009;

Cass. n. 5377 del 2011).

Nella specie, al di là del manifesto difetto di autosufficienza del motivo nel corpo del quale non vengono riportati i contenuti specifici delle circostanze di prova non ammesse, non viene enucleato alcun fatto realmente decisivo che sarebbe stato trascurato dalla Corte di Appello, considerato che il ricorrente per cassazione non può limitarsi a prospettare una spiegazione dei fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poichè è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (da ultimo, Cass. n. 25927 del 2015).

5.4- Infine deve essere accolta l’ultima doglianza con cui si evidenzia l’omessa pronuncia della Corte di Appello sulla richiesta di risarcimento danni da licenziamento ingiurioso proposta dal M..

Invero nelle conclusioni formulate in grado di appello dal lavoratore, così come riportate espressamente dalla stessa sentenza gravata, viene chiesto alla Corte milanese di “accertare e dichiarare che il recesso del 1/12/2004 per le modalità attraverso le quali è stato comminato è ingiurioso e, conseguentemente, condannare l’appellata a risarcire l’appellante per tale voce di danno nella misura indicata in ricorso o nella diversa ritenuta di giustizia”.

Nella decisione impugnata vi è omissione di pronuncia sul punto, in violazione dell’art. 112 c.p.c., con conseguente nullità processuale che impone la cassazione con rinvio della sentenza in relazione a tale motivo accolto, affinchè la Corte di Appello si pronunci su detta conclusione articolata nell’atto di appello dal M..

6.- Conclusivamente meritano accoglimento il primo e quarto motivo del ricorso principale, respinti gli altri, compresi quelli del ricorso incidentale, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche per la regolazione delle spese, alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito nella presente decisione.

Poichè il ricorso incidentale della Camp Spa risulta nella specie proposto in data 19 marzo 2013 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte accoglie il primo e quarto motivo di ricorso principale, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione; rigetta il ricorso incidentale.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016

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