Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1209 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1209

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11300/2014 R.G. proposto da:

B.B., elettivamente domiciliata in Roma, p.zza di Priscilla,

n. 4, presso lo studio dell’avv. Coen Stefano, del Foro di Roma, che

la rappresenta e difende, unitamente con l’Avv. Druda Davide, del

Foro di Padova (fax 06.203899; stefanocoen.ordineavvocatiroma.org);

(fax 049.8077249; davide.druda.ordineavvocatipadova.it);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto

n. 39/05/2013, pronunciata il 19.11.2012 e depositata l’11.3.2013.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21 ottobre 2020 dal consigliere Saieva Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza n. 39/05/2013, pronunciata il 19.11.2012 e depositata l’11.3.2013, la Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello proposto dall’avv. B.B. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Rovigo che in primo grado aveva rigettato i ricorsi proposti avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva determinato, con metodo sintetico, ai fini IRPEF e relative addizionali, per gli anni 2002 e 2003, maggiori redditi imponibili rispetto a quelli dichiarati.

Avverso tale sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo la contribuente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, e dell’art. 53 Cost. per non avere la C.T.R. valutato l’incidenza del reddito del nucleo familiare sull’accertamento eseguito nei suoi confronti, e in particolare le disponibilità finanziarie del padre tutte puntualmente documentate.

Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.

Questa Corte ha già chiarito (Cass. Sez. 5, 26/11/2014, 25104) che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, prevede (al primo periodo) che gli uffici finanziari, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, possano “determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”. In sostanza, il dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, prevede che il controllo della congruità dei redditi dichiarati venga effettuato partendo da dati certi ed utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa, per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (c.d. redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla. Quando il reddito determinato in tal modo si discosta da quello dichiarato per almeno due annualità, l’ufficio può procedere all’accertamento con metodo sintetico, determinando il reddito induttivamente e quindi utilizzando i parametri indicati, a condizione che il reddito così determinato sia superiore di almeno un quarto a quello dichiarato.

Con recente pronuncia, questa Corte (Cass. Sez. 5, 18/04/2014, n. 8995) ha chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 197, 3ex art. 38, affermando che “a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità ditali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente”.

Nel caso in esame il giudice di appello ha correttamente impostato il proprio giudizio di merito sulla base dei principi di diritto evocati dalla ricorrente, con specifico riguardo agli oneri probatori rispettivamente gravanti sulle parti, giungendo a conclusioni a lei sfavorevoli sulla base di analitiche considerazioni di merito che certamente non possono essere sindacate in questa sede.

La C.T.R. infatti ha – con puntualità e congrua considerazione analizzato in fatto gli argomenti su cui si fondava l’atto impositivo, avuto riguardo, in particolare, all’incidenza del reddito del nucleo familiare sull’accertamento eseguito nei suoi confronti, disattendendo la pretesa dell’odierna ricorrente di giustificare incrementi e mantenimenti avvalendosi del capitale a lei pervenuto e delle disponibilità finanziarie paterne, in quanto non sufficientemente documentate, secondo l’apprezzamento di merito non sindacabile dinanzi a questa Corte. (Cass. Sez. 5, 24/11/2016, n. 24012).

Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, in relazione all’art. 53 Cost. ed in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 come modificato dal D.L. n. 78 del 2001 per omessa applicazione della nuova normativa più favorevole di accertamento sintetico.

Anche detto motivo è privo di fondamento essendo nella specie pacificamente inapplicabile ratione temporis la nuova (e novativa) disciplina dell’accertamento sintetico introdotta per i redditi successivi all’anno d’imposta 2009, invero non suscettibile di applicazione retroattiva, avendo lo stesso legislatore precisato l’ambito temporale di applicazione del “nuovo redditometro”.

Il D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, (convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122), stabilisce, infatti, che le modifiche apportate al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Inoltre, nel sistema attualmente vigente, come delineato dal D.M. 24 dicembre 2012, non si riscontra una disposizione analoga a quella prevista – sempre in tema di accertamento sintetico – dal D.M. 10 settembre 1992, art. 5, comma 3, u.p., il quale nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente D.M. 21 luglio 1983 – aveva previsto che il contribuente potesse chiedere, qualora l’accertamento non fosse divenuto definitivo, la rideterminazione del reddito sulla base dei criteri indicati nell’art. 3 del medesimo decreto. Peraltro anche il D.M. 24 dicembre 2012 emanato in attuazione delle nuove norme in materia di accertamento sintetico – ha ribadito l’applicabilità delle disposizioni in esso contenute alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009, talchè sia il limite temporale individuato dal D.L. n. 78 che l’assenza di una previsione analoga a quella contenuta nel D.M. del 1992 consentono di escludere un’applicazione retroattiva del “nuovo redditometro”.

Nè l’impossibilità di applicare il “nuovo redditometro” agli accertamenti riferiti a periodi di imposta precedenti il 2009, appare in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che, ai fini della determinazione sintetica del reddito, ha ammesso la retroattività delle disposizioni di cui al citato D.M. 10 settembre 1992 nella parte in cui offrono una “valutazione dei beni posseduti dal contribuente” diversa rispetto a quella del precedente D.M. 21 luglio 1983, atteso che i dd.mm., vigenti prima dell’approvazione del D.M. 24 dicembre 2012, erano strutturati, invero, allo stesso modo, essendo essi costruiti sulla valutazione di determinati beni nella disponibilità del contribuente e non, come è prerogativa del “nuovo redditometro”, sulla ricognizione delle singole manifestazioni di spesa (Cass. Sez. 5, 07/07/2017, n. 16912).

Ne consegue l’impossibilità di richiamare tale giurisprudenza che afferma la retroattività di nuove “valutazioni” dello stesso indicatore di capacità contributiva senza modificare la struttura metodologica e la base di riferimento del redditometro, laddove tra “vecchio” e “nuovo” redditometro emerge una sostanziale disomogeneità, sia nell’approccio metodologico alla determinazione del reddito complessivo, sia nella base dati di riferimento, ossia negli indicatori sintetici di reddito, che, conseguentemente, giustifica l’espressa affermazione del legislatore di non poter attribuire valenza retroattiva al “nuovo redditometro”.

Sulla base delle argomentazioni esposte, pertanto, si ritiene che i Giudici di secondo grado abbiano correttamente applicato le disposizioni normative poste alla base dell’accertamento sintetico.

Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso della contribuente che condanna al rimborso delle spese sostenute dall’Agenzia delle Entrate che liquida in 2.300,00 Euro oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

 

 

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