Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1209 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 18/01/2017, (ud. 16/11/2016, dep.18/01/2017),  n. 1209

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14575/2013 proposto da:

T.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARIA

MONACO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE GIAMBANCO;

– ricorrente –

contro

F.C., F.S., T.M.,

F.R.M., F.A., F.F.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’Avv. EMANUELE RANDAZZO;

– controricorrenti –

e contro

T.F., T.R.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1172/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 07/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2016 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con atto di citazione notificato il 27 settembre 1991, T.M., T.R., T.F. e T.G. convenivano in giudizio, avanti al Tribunale di Palermo, T.A., premettevano di essere proprietari di diversi fondi siti in (OMISSIS), loro pervenuti in forza di diversi atti di donazione dai propri genitori T.S. e B.T.F., limitrofi ad altro fondo di proprietà del convenuto, con accesso dalla stradella larga m. 3 che aveva inizio dalla Via pubblica denominata (OMISSIS); che nei predetti atti di donazione era stato espressamente previsto che i donatari avevano accesso dalla stradella che giungeva alla vasca di raccolta e al pozzo; che gli stessi donatari avevano, altresì, diritto ad attingere l’acqua dal predetto pozzo, disponendo anche di una striscia larga un metro attorno ad esso; che malgrado quanto previsto nei menzionati atti, il convenuto aveva ampliato il proprio fabbricato rurale restringendo la stradella di accesso, aveva costruito tre pozzi neri dai quali fuoriuscivano liquami e aveva realizzato una copertura della vasca, rendendola impraticabile; che lo stesso convenuto aveva anche costruito un manufatto intorno al pozzo, rendendo difficoltoso l’accesso, scavando, inoltre, un altro pozzo, vicino al primo, e provocandone l’impoverimento; che aveva, altresì, illegittimamente utilizzato la conduttura comune per concedere il passaggio dell’acqua in favore dei vicini. Tanto premesso, le attrici chiedevano la condanna del convenuto a rimuovere le opere realizzate che risultavano pregiudizievoli per l’esercizio del loro diritto di servitù.

Si costituiva in giudizio T.A. contestando le domande avverse.

Nel corso del giudizio intervenivano volontariamente, in luogo dell’attrice T.R., F.C. e R.M., alla quale erano succedute a titolo particolare, con conseguente richiesta di estromissione dal giudizio della loro dante causa.

Espletata c.t.u. e assunti i mezzi di prova ammessi, con sentenza del 5 febbraio 2004, il tribunale, dichiarata preliminarmente l’estromissione dal giudizio di T.R., prendeva atto della rinuncia alle domande proposte da T.F.; condannava il convenuto a mantenere le strutture di scarico in modo efficiente, sì da eliminare l’inconveniente dell’allagamento della stradella con liquami; a eliminare il manufatto in muratura esistente attorno al pozzo e a lasciare la libera disponibilità dello spazio di un metro attorno allo stesso; a consentire la libera diponibilità della canaletta di afflusso dell’acqua dal “pozzo (OMISSIS)” e della canaletta di erogazione dell’acqua per l’irrigazione; a non utilizzare la canaletta comune per porla a servizio di terzi e a non fare accedere terzi estranei alla stradella comune. Condannava, infine, il convenuto al pagamento delle spese del giudizio in favore delle attrici e delle intervenute nella misura di due terzi.

2. – Avverso detta sentenza proponeva appello T.A., chiedendone l’integrale riforma.

Si costituivano T.M. e F.C. eccependo l’infondatezza del gravame e proponendo appello incidentale.

Il giudizio veniva dichiarato interrotto per la morte di T.G..

Riassunto il giudizio nei confronti degli eredi, si costituivano T.M., F.C. e F.R. riportandosi alla comparsa depositata in atti.

Si costituivano altresì F.F.A., F.S. e F.A., eccependo preliminarmente la nullità del ricorso in riassunzione per la sua estrema genericità.

Con sentenza depositata il 7 agosto 2012, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia del tribunale, in accoglimento dell’appello principale, rigettava la domanda proposta dalle attrici in primo grado al fine di ottenere la condanna a costruire ogni opera necessaria a evitare il transito a terzi estranei lungo la stradella comune e, per l’effetto, riformava la sentenza appellata nella parte in cui aveva condannato il T. a non far accedere terzi estranei alla medesima stradella. In parziale accoglimento dell’appello incidentale, proposto da T.M., F.C. e F.R.M., la corte condannava T.A. a demolire la terrazza costruita sulla vasca di raccolta dell’acqua irrigua.

3. – Per la cassazione della sentenza della corte d’appello ha proposto ricorso T.A. sulla base di cinque motivi.

T.M., F.C., F.R., F.F.A., F.A. e F.S. resistono con controricorso.

Diritto

1. – Con il primo motivo di ricorso, T.A. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1065 c.c. e art. 1067 c.c., comma 2 e l’omessa motivazione su un punto decisivo. La Corte d’appello di Palermo avrebbe errato, secondo il ricorrente, nell’aver ritenuto corretta la sentenza di primo grado che lo ha condannato a demolire le opere esistenti intorno al pozzo, sul presupposto che tali opere limiterebbero l’esercizio della servitù di eduzione dell’acqua in conformità all’art. 1067 c.c., comma 2. Si evidenzia, al riguardo, che per costante indirizzo della Corte di cassazione, le opere vietate al proprietario del fondo servente dalla norma richiamata sono soltanto quelle che si riflettono, alterandolo, sul contenuto essenziale dell’altrui diritto di servitù, qual è determinato dal titolo, sì da incidere sulla natura e sull’estensione dell’utilitas oggetto di quello stesso diritto. La norma, pertanto, non tutela l’utilitas che di fatto il proprietario del fondo dominante ritenga di trarre dalla servitù, ma quella assicurata, nel suo contenuto essenziale dal titolo. La corte d’appello, nel confermare la pronuncia di prime cure, non ha valutato se i manufatti in questione abbiano determinato un’obiettiva diminuzione dell’utilità dei fondi dominanti, come prevista dal titolo costitutivo, ovvero abbiano concretamente inciso sulle modalità di esercizio, rendendolo più difficoltoso. La motivazione impugnata sarebbe inoltre insufficiente e contraddittoria, non avendo la corte considerato l’ulteriore criterio previsto dall’art. 1065 c.c., del contemperamento delle esigenze del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente.

2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1063, 1065 c.c. e art. 1067 c.c., comma 2, nonchè la motivazione insufficiente su un punto decisivo. La Corte d’appello di Palermo avrebbe errato laddove ha ritenuto di accogliere l’appello incidentale proposto dalle convenute, condannando l’odierno ricorrente a demolire la terrazza costruita sulla vasca di raccolta dell’acqua irrigua. Al riguardo, parte ricorrente osserva che l’art. 1063 c.c., stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, nonchè in via sussidiaria i precetti dettati dai successivi artt. 1064 e 1065 c.c.. Il titolo costitutivo della servitù per cui è causa ha previsto in capo al proprietario del fondo servente l’espressa facoltà di procedere alla copertura della vasca, con l’unico ed esclusivo limite che tale predetta copertura, qualunque essa sia, non pregiudichi, restringa e/o renda più disagevole il diritto di approvvigionamento dell’acqua. Si deduce al riguardo che la consulenza d’ufficio ha accertato che malgrado la sussistenza di una terrazza a copertura della predetta vasca, la stessa è – e continua ad essere – perfettamente accessibile attraverso una botola munita di autoclave che consente l’estrazione dell’acqua così come previsto dal titolo costitutivo.

3. – Il terzo motivo di ricorso attiene all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La corte d’appello, in tal senso, avrebbe errato nel confermare il capo della sentenza di primo grado che ha condannato il ricorrente a lasciare libero l’accesso alla vasca di raccolta, nonchè il suo utilizzo e a consentire la libera disponibilità della canaletta di afflusso dell’acqua dal pozzo “(OMISSIS)” e della canaletta di erogazione dell’acqua per l’irrigazione, sull’erroneo presupposto che l’odierno ricorrente avrebbe allegato tale circostanza solo nell’atto di appello, mentre in primo grado si sarebbe limitato a controdedurre alle doglianza delle attrici relativamente alla costruzione di altro pozzo a esclusivo uso e godimento dello stesso ricorrente. La corte ha così ignorato che tale fatto ha costituito un punto controverso del giudizio di primo grado, sul quale il ricorrente ha fornito piena prova sulla base delle risultanze testimoniali.

4. – Nel quarto motivo si eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo, non avendo la corte d’appello tenuto in debito conto le risultanze della c.t.u., espletata nel corso del primo grado, che aveva accertato che nel fondo servente non insistevano pozzi neri, atteso che T.A. aveva provveduto a realizzare una regolare fossa settica del tipo Imhoff.

5. – Il quinto motivo di ricorso, infine, attiene alla violazione e falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c., in ordine alla mancata estromissione dal giudizio delle intervenienti F.M.R. e F.C. per rinuncia all’azione formulata dalla loro avente causa a titolo particolare, T.R.. La corte ha rigettato tale motivo di gravame sull’erroneo presupposto che non si sarebbe dovuto pronunciare l’estromissione dal giudizio di T.R., in quanto alla dedotta estromissione non avevano prestato il loro consenso tutte le parti.

Ciò premesso, si osserva:

Sul primo motivo la sentenza a pagina cinque ha statuito, richiamando la ctu, che il pozzo è stato circondato da due lati da murature di ml 2,40 di altezza, costruzioni che non impediscono di attingere l’acqua ma rendono l’operazione meno agevole rispetto alla previsione dell’atto di donazione secondo il quale attorno al pozzo doveva essere lasciata un’area pari a m. 1.

Sul secondo motivo la sentenza, alle pagine dieci, undici e dodici ha riferito della terrazza pavimentata contornata da parapetto in muratura con copertura in legno, della sottostante vasca accessibile da una botola e della sentenza di primo grado sulla condanna generica a rendere fruibile la vasca, senza indicazione delle opere necessarie.

Ha ordinato la demolizione sul presupposto che le opere realizzate pregiudicano l’esercizio del diritto di attingere l’acqua, accertamento in fatto che si sottrae alle critiche in questa sede.

Il terzo e quarto motivo denunziano genericamente l’omesso esame di fatto decisivo senza superare la motivazione della sentenza.

In particolare il terzo motivo appare nuovo e sul quarto già la sentenza riferisce di un motivo di gravame generico.

Il quinto motivo non dimostra l’interesse alla censura nell’economia del giudizio e non supera la motivazione addotta.

PQM

La Corte rigetta il ricorso con condanna alle spese, liquidate in Euro 3200 di cui Euro 3000 per compensi, oltre accessori, dando atto della sussistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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