Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12089 del 13/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 13/06/2016, (ud. 23/02/2016, dep. 13/06/2016), n.12089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25590/2011 proposto da:

FGA INVESTIMENTI S.P.A., C.F. (OMISSIS) (società incorporante

di I.T.C.A. PRODUZIONE S.P.A.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR 19, presso lo STUDIO TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO,

rappresentata e difesa dagli avvocati DE LUCA TAMAJO RAFFAELE,

PERLINI ITALICO, che la rappresentano e difendono, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

B.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA ALBA N. 12/A, presso lo studio dell’avvocato CARLO

ALESSANDRINI, rappresentato e difeso dall’avvocato LOREDANA DI

FOLCO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8189/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/10/2010 R.G.N. 7350/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2016 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito l’Avvocato PERLINI MATTEO MARIA per delega PERLINI ITALICO;

udito l’Avvocato DI FOLCO LOREDANA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 8189/2010, pubblicata il 29.10.2010, la Corte d’Appello di Roma confermava la statuizione del Tribunale di Cassino che aveva dichiarato illegittimo il collocamento in CIGS di B. L. condannando la ITCA PRODUZIONE SPA al pagamento in suo favore della somma pari alla differenza tra retribuzione ordinaria ed il trattamento di integrazione salariale percepito.

Contro la prima sentenza ITCA PRODUZIONE SPA aveva presentato appello asserendo l’erroneità del giudizio che aveva ritenuto illegittima la procedura di CIGS per genericità ed astrattezza dei criteri di scelta e della modalità di rotazione, in quanto la decisione non aveva colto che vi era stata la paritaria ed informata partecipazione del sindacato che aveva sottoscritto l’accordo e pubblicizzato il contenuto del medesimo dimostrando di essere stato informato.

La Corte d’Appello, nel condividere le conclusioni del tribunale, aveva evidenziato che il verbale di accordo del 23.7.2002 contenesse indicazioni del tutto carenti per quanto riguarda i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere alternativi alla rotazione (per il primo trimestre successivo all’1.9.2002) e totalmente generiche per quanto riguarda le modalità applicative della stessa rotazione; indicazioni che nella sostanza consistevano in una rimessione alla mera discrezionalità datoriale. Negava perciò al contempo che quest’ultimo accordo potesse avere efficacia sanante alla luce della giurisprudenza di legittimità, atteso che un tale effetto potrebbe essere riconosciuto solo nell’ipotesi in cui sia effettivamente intervenuto un accordo sindacale avente ad oggetto criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere con un contenuto sia pur minimo di specificità. Privo di rilievo doveva ritenersi, secondo la Corte d’Appello, l’assunto secondo cui il D.P.R. n. 218 del 2000, avrebbe delegificato la legislazione sulla Cassa integrazione guadagni atteso che tale normativa era volta soltanto a regolamentare in modo diverso il procedimento di rilevanza pubblica di concessione dell’integrazione salariale.

Avverso questa sentenza, ha proposto ricorso F.G.A. S.P.A. (società incorporante I.T.C.A. PRODUZIONE SPA) contenente tre motivi di impugnazione allo scopo di ottenere la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione. Il lavoratore B. L. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo d’impugnazione lamenta violazione o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8, in relazione all’accordo sindacale del 23.7.2002. Secondo la ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, tale accordo soddisfaceva le esigenze dettate dalla legge in quanto il riferimento alle esigenze tecniche produttive – così come avviene in altri istituti in cui costituisce per legge limite interno del potere imprenditoriale – è ben lungi dal delineare un mero criterio datoriale, in quanto esso vincola l’applicazione dei criteri a precisi referenti logico-organizzativi, svolgendo così una puntuale funzione garantista in favore dei lavoratori esposti al rischio di sospensione.

2.- Col secondo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8 e degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); omessa insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) in relazione al mancato riconoscimento dell’effetto sanante dell’accordo per carenza di specificità; laddove la valutazione in proposito, oltre che in base al contenuto dell’accordo, doveva essere effettuata alla luce del comportamento successivo tenuto dalle parti stipulanti, nonchè sulla base della interpretazione complessiva di esso, di una interpretazione secondo buona fede e del principio di conservazione dello stesso. Occorreva in particolare tenere conto del comunicato sindacale sottoscritto da tutte le sigle sindacali stipulanti che, analizzato alla luce della giurisprudenza in materia di procedura di mobilità, doveva portare a ritenere che l’accordo sindacale abbia sempre effetto sanante degli eventuali vizi della procedura di CIGS, perchè con la sua sottoscrizione le OO.SS. convalidano il rispetto da parte del datore di lavoro del principio di trasparenza e di leale contrattazione.

2.1- I primi due motivi di ricorso possono esaminarsi unitariamente, in quanto entrambi diretti a sindacare la valutazione riservata dalla sentenza impugnata all’accordo sindacale del 23.7.2002. Essi sono infondati.

Va ricordato che secondo della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8, nella procedura di CIGS, costituiscono oggetto dell’esame congiunto con le organizzazioni sindacali il programma che l’impresa intende attuare (comprendente la durata e il numero dei lavoratori interessati alla sospensione e le misure previste per la gestione di eventuali eccedenze di personale), i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione ovvero le ragioni tecnico – organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione. Dunque, a differenza della comunicazione di apertura della mobilità in cui la individuazione dei lavoratori interessati segue il confronto sindacale, nella comunicazione di apertura della CIGS occorre anzitutto specificare i criteri che consentono di individuare i singoli lavoratori da sospendere e la cui mancata indicazione porta all’illegittimità della sospensione. La comunicazione di apertura è finalizzata infatti a consentire una seria verifica dell’effettiva necessità di sospendere i medesimi lavoratori; e questa finalità non può dirsi rispettata da una comunicazione generica o da una motivazione apparente o stereotipata, o mancante di taluno dei suoi requisiti essenziali.

La Cass. S.U. con sentenza 11 maggio 2000, n. 302 ha osservato che in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7 e della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5. Il suddetto principio si è, infatti, del tutto consolidato del tempo, trovando continue e molteplici conferme nella giurisprudenza di legittimità (vedi, per tutte: Cass. 23 aprile 2004, n. 7720; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

Inoltre, in applicazione del suddetto principio, è stato altresì precisato che: a) per l’attuazione della finalità perseguita dal legislatore, la specificità dei criteri di scelta, che si possono definire generali in quanto rivolti ad una collettività di lavoratori, consiste nella idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 23 aprile 2004, n. 7720); b) il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere (Cass. 28 novembre 2008, n. 28464); c) ai fini della legittimità della sospensione della retribuzione per i lavoratori collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria, l’azienda è tenuta a comunicare la individuazione dei lavoratori da sospendere e i motivi per i quali non vengono adottati i meccanismi di rotazione; la sussistenza di vizi procedimentali e la conseguente inefficacia dei provvedimenti aziendali può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 19 agosto 2003, n. 12137; Cass. 18 maggio 2006, n. 11660); d) in tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s., la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all’individuazione dei dipendenti interessati alla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7 (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240); e) tale ultima violazione non può ritenersi sanata dall’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

2.2. Rispetto alla suindicata giurisprudenza non si pongono perciò in contraddizione – come chiarito da Cass. 28 novembre 2008, n. 28464 le sentenze nelle quali è stato precisato che gli accordi sindacali possono porre rimedio alla mancata ottemperanza degli oneri di comunicazioni previsti all’inizio della procedura di messa in cassa integrazione. In tali sentenze, infatti, l’indicata affermazione è sempre stata effettuata sull’esplicito presupposto secondo cui –

diversamente da quanto si è verificato nella fattispecie in esame –

detti accordi, per il loro contenuto, facciano ritenere raggiunti i fini sottesi alle iniziali comunicazioni sia per quanto attiene la specificazione dei criteri di scelta da adottare sia per le modalità della loro concreta applicazione (vedi, in tal senso: Cass. 2 agosto 2004 n. 14721; Cass. 5 maggio 2004 n. 8353; Cass. 21 agosto 2003, n. 12307; Cass. 29 maggio 2006, n. 12719; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25892; Cass. 21 dicembre 2010, n. 25851).

2.3- Nel caso in esame occorre considerare che, mentre è del tutto pacifica l’omissione di una comunicazione iniziale rispettosa dei requisiti di legge, la Corte territoriale ha accertato che il verbale di accordo del 23.7.2002 contenesse indicazioni del tutto carenti per quanto riguarda i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere alternativi alla rotazione (per il primo trimestre successivo all’1.9.2002) e totalmente generiche per quanto riguarda le modalità applicative della stessa rotazione; indicazioni che nella sostanza consistevano in una rimessione alla mera discrezionalità datoriale. Il giudice d’appello negava perciò al contempo che quest’ultimo accordo potesse avere efficacia sanante, atteso che un tale effetto potrebbe essere riconosciuto solo nell’ipotesi in cui sia effettivamente intervenuto un accordo sindacale avente ad oggetto criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere aventi un contenuto sia pur minimo di specificità.

2.4 Si tratta di una valutazione che deve essere condivisa essendo conforme all’orientamento consolidato di questa Corte, posto che l’efficacia sanante dell’accordo, per raggiungimento dello scopo, necessariamente postula, oltre all’effettività del confronto sindacale, un consenso che rifletta i requisiti essenziali della comunicazione di apertura della CIGS (che si caratterizza per l’ampiezza dei contenuti) e che perciò superi tutte le omissioni e/o i vizi della comunicazione iniziale; posto che, come risulta della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8, la stessa procedura è finalizzata all’esame congiunto con le organizzazioni sindacali ed alla conclusione di un accordo sui criteri di scelta. Solo in tal modo viene rispettata l’esigenza di trasparenza scandita dalla giurisprudenza, secondo cui al fine di decidere se l’accordo sani le irregolarità della procedura (Sez. L, Sentenza n. 8353 del 03/05/2004), non basta nè il confronto sindacale, nè il raggiungimento dell’accordo ma occorre esaminare i contenuti dell’accordo; posto che se l’accordo sindacale è generico e si limita a porre solo alcuni paletti alla scelta discrezionale del datore di lavoro, che rimane tuttavia espressione del suo unilaterale potere direttivo, è necessario non di meno, per la piena realizzazione dell’esigenza informativa ad essa sottesa, che il datore di lavoro effettui la comunicazione prescritta dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7. Quelle in discussione sono infatti posizioni soggettive proprie dei lavoratori che non possono essere lese con l’acquiescenza del sindacato.

2.5.- Occorre altresì richiamare in proposito il recente indirizzo (Cass. 11.3.2015 n. 4886) secondo cui con riferimento “alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Nè può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate (v., funditus, Cass. n. 26587 del 2011; in generale, sull’esclusione del carattere sanante dell’accordo cfr., ex multis, Cass. nn. 13240 e 15393 del 2009).

2.6.- Inoltre sul tema è stato pure chiarito che la valutazione di adeguatezza, nell’accordo sindacale, della specificazione dei criteri di individuazione da porre in cassa integrazione e delle modalità di rotazione di risolve nella formulazione di un giudizio di merito, al pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spettante in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità (Cass. 29/5/2014, n. 12096); nel caso in esame travalicati, in riferimento ad una decisione immune da incoerenze o contraddizioni logiche; ed al contrario rispettosa dei principi regolatori della materia che questa Corte ha avuto modo di ribadire anche con riferimento alla medesima procedura di sospensione dell’attività lavorativa presso la ITCA produzione s.p.a., a partire dalla sentenza n. 7459 del 2012.

2.7. Del resto, la lettura dell’accordo riportato in ricorso non consente di desumere – in applicazione del principale canone (Cass. 25 ottobre 2005, n. 20660; Cass. 8 novembre 2007, n. 23273) di stretta interpretazione letterale – che la società avesse assunto il preciso impegno di rispettare, in via principale, il criterio della rotazione, a meno che ciò non fosse stato consentito dalle esigenze tecniche, produttive e organizzative; evincendo tale precisazione dalla avvenuta indicazione del termine di decorrenza della rotazione e della sua cadenza differenziata, nonchè da un generico ricorso alla “interpretazione sistematica” dell’accordo stesso. E’, infatti, evidente che il significato reso palese dalle parole usate è soltanto quello della adozione del criterio della rotazione come semplice eventualità, da attuare in funzione delle esigenze dell’impresa e oltretutto sulla base di parametri scarsamente determinati, certamente non quello della assunzione di tale criterio come regola certa, seppure derogabile.

2.8 Nè la richiamata “interpretazione sistematica” può portare ad una diversa conclusione, visto che nell’accordo non sono presenti ulteriori precisazioni nè con riguardo all’assunzione dell’impegno della rotazione nè in riferimento all’indicazione di adeguati criteri di scelta dei lavoratori da sospendere. D’altra parte, i suddetti criteri – in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, nonchè secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1994 devono essere tali da consentire al giudice di verificare che non vi siano state violazioni del principio di non discriminazione (di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 15 e successive modificazioni) e del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) tra i lavoratori e quindi che tutta la procedura sia stata gestita in modo trasparente e affidabile (vedi, per tutte: Cass. 1 maggio 1999, n. 4666; Cass. 24 aprile 2007, n. 9866; Cass. 22 marzo 2010, n. 6841, Cass. 9 giugno 2011, n. 12544).

Ed è pacifico che siano da considerare generici – e, quindi, lesivi dell’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7 – i criteri di scelta dei dipendenti interessati alla sospensione derivante dalla procedura della c.i.g.s.

determinati, come nella specie, facendo esclusivo riferimento alle “esigenze tecnico-organizzative” (riferite, nello specifico, a un non meglio precisato “andamento della ristrutturazione e riorganizzazione” nonchè ad altrettanto vaghe “richieste dei volumi produttivi attuali e necessari al mercato di riferimento”), senza ulteriori indicazioni precise delle posizioni lavorative sulle quali la scelta verrà poi concretamente operata in base alla formazione di una graduatoria rigida alla quale il datore di lavoro deve fare esclusivo riferimento, senza alcun margine di discrezionalità, onde consentire anche al singolo lavoratore di operare la prescritta valutazione della coerenza tra il criterio indicato e la selezione effettuata dei lavoratori da sospendere (arg. ex Cass. 26 giugno 2006, n. 14728; Cass. 10 maggio 2002, n. 6765; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1938).

2.9- E’ vero che, come si sostiene in ricorso, il riferimento all’esigenze tecniche produttive costituisce clausola generale attributiva di poteri e limite interno del potere datoriale esercitato in varie situazioni previste dalla legge. E tuttavia tale riferimento deve essere sempre valutato in relazione al concreto potere esercitato nella singola situazione. Nel caso di specie la legge richiede criteri tali da consentire ex ante l’individuazione dei lavoratori da sospendere e consentire la verifica della corrispondenza della scelta al criterio posto. Non può certamente sostenersi che il riferimento a non specificate “esigenze tecniche organizzative” possa costituire un criterio che consenta ex ante la specifica e trasparente individuazione dei lavoratori da sospendere e di individuare i motivi del mancato ricorso al criterio legale della rotazione. Si tratta piuttosto di un criterio talmente generico da consentire qualunque valutazione coerente con la selezione dei lavoratori da sospendere; rendendo così giustificabile ex post qualsiasi selezione effettuata dal datore tra i tanti lavoratori.

2.10 La violazione delle indicate disposizioni sulla indicazione e sulla comunicazione alle organizzazioni sindacali di adeguati criteri di scelta del personale da sospendere e di adozione di meccanismi di rotazione nella sospensione – in assenza di comprovate ragioni di ordine tecnico e organizzativo giustificative dell’adozione di precisi meccanismi alternativi alla rotazione determinati ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 8 – comporta – in base a consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte – l’illegittimità del provvedimento concessorio dell’intervento di integrazione salariale e quindi l’illegittimità della sospensione operata dal datore di lavoro dei lavoratori stessi, i quali, vantando una posizione di diritto soggettivo, possono chiedere al giudice ordinario l’accertamento, previa disapplicazione incidenter tantum del provvedimento amministrativo di concessione della c.i.g.s., dell’inadempimento del datore di lavoro in ordine all’obbligazione retributiva alla stregua dell’ordinario regime previsto dall’art. 1218 c.c., essendo venuta meno, quale ragione d’esonero dalle conseguenze dell’inadempimento, l’elevazione al livello dell’impossibilità della prestazione delle situazioni di ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione industriale (vedi, per tutte: Cass. 20 settembre 2011, n. 19618; Cass. 9 novembre 1998, n. 11263).

3.- Col terzo motivo il ricorso deduce l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere la Corte territoriale liquidato la questione della portata innovativa del D.P.R. n. 218 del 2000, senza spiegare perchè non abbia avuto effetti sul procedimento di concessione della CIGS richiesta ed ottenuta dalla società ricorrente.

Sulla questione, pur prescindendo dal duplice rilievo che la censura svolta pur deducendo un vizio della motivazione si colloca nel paradigma della violazione della regolamentazione giuridica della fattispecie, e premesso che la Corte di merito ha dato atto, per sintesi, del principio affermato da Cass. 28464/2008, vale la pena di richiamare il predetto arresto del 2008 al quale è seguito un orientamento consolidato di questa Corte, espresso in una lunga teoria di sentenze, che affermò il seguente principio: la disciplina del D.P.R. n. 218 del 2000, non ha alcuna efficacia abrogativa della L. n. 223 del 1991 e, quindi, degli oneri di comunicazione di cui all’art. 1. Più specificamente non incide in alcun modo sulle disposizioni di cui al combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, riguardante l’obbligo datoriale di comunicare in avvio della procedura per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonchè le modalità di rotazione. Il D.P.R. tende a semplificare la fase propriamente amministrativa, di rilevanza pubblica, del procedimento di concessione della integrazione salariale, senza in alcun punto ridurre i diritti dei lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali ad essi funzionali (v., Cass. 28464/2008 e successive conformi). Tale ricostruzione è stata costantemente ribadita dalla giurisprudenza successiva (cfr., tra le tante, Cass. 4053/2011) e costituisce ormai un principio consolidato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come ha rilevato la Sesta sezione civile in una serie di ordinanze emesse in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c. (cfr. per tutte, Cass. 6^ civile-lavoro, 26587/2011: “In tema di procedimento per la concessione della CIGS devono escludersi incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, e le disposizioni della L. 23 luglio 1991, n. 223: la disciplina regolamentare, che si limita a imporre all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali, attiene unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione stessa, e nulla dice sul contenuto concreto della comunicazione, nè detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta e, pertanto, non ha in alcun modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di cui alla citata L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8. Nè la normativa regolamentare ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto, atteso che, così opinando, il contenuto della norma di cui al citato D.P.R. n. 218, art. 2, risulterebbe del tutto estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato, delineando un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato rispetto alla finalità perseguita (Principio affermato ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1)”.

4.- Per tutte le considerazioni fin qui espresse, il ricorso proposto dalla società deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, devono essere poste a carico della parte soccombente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali ed Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016

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