Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12088 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/05/2017, (ud. 19/01/2017, dep.16/05/2017),  n. 12088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5686/2016 proposto da:

A.M., C.F. (OMISSIS), S.M. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 171, presso lo

studio dell’avvocato DANIELE MARRA, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CRISTIANA FABBRIZI, RAFFAELE SPERATI,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS) in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso

dagli avvocati SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI,

LIDIA CARCAVALLO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 18517/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 21/09/2015, R.G.N. 8655/14;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

di ricorso, inammissibile il secondo motivo;

udito l’Avvocato CRISTIANA FABRIZI;

udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 9919/2013 depositata il 2.12.2013, riformava la sentenza di primo grado e dichiarava il diritto di A.M. e di S.M. alla maggiorazione contributiva per esposizione ad amianto prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, condannando l’INPS al ricalcolo dell’anzianità contributiva loro spettante. Per la cassazione di tale sentenza propose ricorso l’INPS, affidata ad un motivo; A.M. e di S.M. depositarono procura.

Questa Corte, sez. 6, con sentenza n. 18517 del 2015 accoglieva il ricorso dell’INPS, cassava la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiarava inammissibili le originarie domande compensando le spese dell’intero processo.

A fondamento della decisione considerava questa Corte che, non essendo state contestate le date di deposito delle istanze amministrative all’INPS (6.7.2005 per l’ A. e 25.9.2005 per il S.), nè quelle di deposito dei ricorsi di primo grado (9 aprile 2011), dovesse convenirsi con l’INPS in ordine al fatto che le domande giudiziali fossero inammissibili, essendo state proposte oltre il termine di tre anni e trecento giorni di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47.

Avverso questa pronuncia propongono ricorso per Cassazione i due lavoratori allegando come errore di fatto che le date sopraindicate non hanno alcun riscontro fattuale nei documenti, in quanto le uniche domande presentate all’INPS e depositate in atti recano altra data e precisamente, il 6.7.2009 per A. ed il 23.6.2009 per S., talchè la Corte di Cassazione ha fondato la pronuncia di decadenza sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa dai documenti di causa.

Hanno rilevato altresì in subordine l’inapplicabilità ai giudizi in corso del D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 4, in ordine al termine di decadenza del D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47. Hanno chiesto quindi la revoca della sentenza ed il rigetto del ricorso presentato dall’INPS in Cassazione; depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

L’INPS ha resistito con controricorso nel quale ha chiesto unicamente il rigetto del ricorso per revocazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un primo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c.. Errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa secondo il combinato disposto di cui all’art. 395 c.p.c., comma 1, punto 4 e art. 391 bis c.p.c..

2. Con un secondo motivo il ricorso deduce l’inapplicabilità ai giudizi in corso del D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 4, in ordine al termine di decadenza del D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47.

3. Il primo motivo del ricorso per revocazione è fondato. Va premesso che, come già ritenuto da questa Corte (Cass., Sez. 5, 17/06/2011, n. 13299), l’avvenuta fissazione della trattazione di un ricorso per revocazione in udienza pubblica – anzichè, come prescritto dall’art. 391 bis c.p.c., in Camera di consiglio – è pienamente legittima, in quanto non determina alcun pregiudizio ai diritti di azione e difesa delle parti, considerato che l’udienza pubblica rappresenta, anche nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, lo strumento di massima garanzia di tali diritti, consentendo ai titolari di questi di esporre compiutamente i propri assunti.

Inoltre in tale evenienza, ove il ricorso sia ritenuto ammissibile e fondato, non occorre il rinvio all’udienza pubblica per la fase rescissoria potendo la Corte, nella stessa udienza pubblica, decidere il ricorso per revocazione ed eventualmente, in caso di suo accoglimento, anche il ricorso in precedenza deciso con la pronuncia oggetto di revocazione.

4. Nel merito il ricorso per revocazione merita accoglimento. L’affermazione dell’impugnata sentenza di questa Corte secondo cui non essendo state contestate le date di deposito delle istanze amministrative all’INPS (6.7.2005 per l’ A. e 25.9.2005 per il S.), nè quelle di deposito dei ricorsi di primo grado (9 aprile 2011), fosse maturata la decadenza del D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47, è frutto di errore di fatto che rende la sentenza impugnata suscettibile di revocazione ex art. 391 bis c.p.c..

Di questo mezzo di impugnazione risultano presenti tutti i requisiti in quanto l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione di quanto emerge direttamente dagli atti, concretatasi in una svista materiale o in un errore di percezione, ma deve anche avere carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione.

4.1. Tale è la mancata considerazione della reale data di presentazione della domanda all’INPS, su cui si è fondata la pronuncia di inammissibilità del ricorso (cfr. Sentenza n. 22171 del 29/10/2010 secondo la quale “L’istanza di revocazione di una sentenza della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391 c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio”).

4.2. Esiste anche il presupposto della decisività dell’errore e quello che il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (e qui la stessa Corte di Cassazione sez. 6^ ebbe ad affermare nella sentenza impugnata che il punto non era controverso, in quanto non contestato).

4.3. Neppure può accogliersi, inoltre, l’obiezione sollevata dall’INPS secondo cui sul fatto si sarebbe formato il giudicato, in quanto l’errore in questione risalirebbe alla sentenza della Corte d’appello, in precedenza non impugnata con ricorso incidentale dai due lavoratori; e ciò perchè la Corte d’appello non si è in realtà mai pronunciata sulla questione atteso che quella sollevata davanti ai giudici di merito era soltanto una eccezione di inammissibilità per mancanza di domanda all’INAIL, mentre qui si discute della diversa questione della domanda presentata all’INPS e della decadenza per tardività D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47; questioni nessuna delle quali è stata esaminata in Corte d’appello.

4.4. Non ci può essere quindi nessun giudicato sul punto, il quale si può formare sui motivi di impugnazione; mentre la questione di cui si discorre non formò oggetto di contraddittorio, nè di accertamento in appello, essendo stata sollevata dall’INPS soltanto col ricorso in Cassazione, prendendo spunto da un mero obiter dictum della Corte territoriale sulle date (sbagliate) di presentazione delle domande all’INPS.

Com’è noto (Cass. 17568/05) per stabilire se nell’ambito della motivazione di una sentenza, pronunziata tra le medesime parti, possa individuarsi il giudicato sia pure implicito, è necessario, che l’affermazione del giudice, anche se non costituente oggetto diretto della decisione, o capo autonomo della stessa, costituisca comunque un presupposto logico ed indefettibile, con conseguente indissolubile dipendenza dalla stessa della questione decisa (v. ex coeteris, Cass. S.U. n. 6632/03, sez. 1^ n. 1512/01, sez. 2^ n. 11412/03, sez. 3^ n. 17375/03, sez. lav. n. 14090/01). Dai suesposti e consolidati principi deriva l’inidoneità al “passaggio in giudicato” non solo delle mere affermazioni o osservazioni, non funzionali alla decisione, ed obiter dicta, ma anche di quelle enunciazioni narrative, che non, essendo state utilizzate dal giudice ai fini del decisum, rimangono al di fuori del relativo percorso argomentativo.

5. Il primo motivo del ricorso per revocazione, avente valore assorbente, deve essere quindi accolto. La sentenza oggetto del ricorso deve essere revocata e deve essere deciso il ricorso dell’INPS oggetto della sentenza revocata. Tenuto conto delle sopraindicate date di presentazione delle domande all’INPS e poichè l’azione (esperita da entrambi i lavoratori con ricorso del 9.4.2010) è tempestiva nessuna decadenza del D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47, è maturata; il ricorso dell’INPS avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 9919/2013 del 2.12.2013, deve essere quindi rigettato.

6. Le spese per entrambi i giudizi di legittimità seguono la soccombenza. In relazione al precedente giudizio di legittimità, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte dell’INPS ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 e art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 6516 del 14/3/2013 di questa Corte che revoca; rigetta il ricorso dell’INPS avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma e condanna l’INPS al pagamento delle spese per entrambi i giudizi di cassazione che liquida quanto al primo in complessivi Euro 1700 di cui Euro 1500 per compensi professionali e quanto al secondo in complessivi Euro 3700 di cui Euro 3500 per compensi professionali; oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge. In relazione al precedente giudizio, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale INPS dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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