Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12085 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/06/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 22/06/2020), n.12085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5174-2018 proposto da:

BANCA POPOLARE DI BARI, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 12, presso lo

studio dell’avvocato GIANNELLI GIANVITO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del Curatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DI TORRE ARGENTINA

11, presso lo studio dell’avvocato GUARDASCIONE FEDERICO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUERRIERI GIANLUCA;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

04/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. VELLA

PAOLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Bologna ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., proposta dalla Banca Popolare di Bari per ottenere l’ammissione integrale del proprio credito, senza la “falcidia” prevista dal concordato preventivo della società debitrice, omologato con decreto provvisoriamente esecutivo del 22/10/2013 e mai dichiarato risolto prima della dichiarazione di fallimento, sopravvenuta in data 09/01/2017.

2. Avverso detto decreto la Banca Popolare di Bari ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui la Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. ha resistito con controricorso, corredato da memoria ex art. 380-bis c.p.c.

3. A seguito di deposito della proposta ex art. 380-bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4. Parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 6,180,184 e 186 L. fall., sostenendo che: i) il creditore concordatario non può instare direttamente per il fallimento senza la previa risoluzione del concordato, essendo questa soggetta a presupposti diversi (inadempimento di non scarsa importanza) e ad uno specifico termine annuale di decadenza, che sarebbero altrimenti aggirati; ii) se la pendenza di una domanda di concordato consente la dichiarazione di fallimento solo al verificarsi degli eventi di cui agli artt. 162, 173, 179 e 180 1.f., a maggior ragione tale effetto impeditivo dovrebbe discendere dalla omologazione del concordato; iii) è proprio il vincolo obbligatorio che nasce dall’art. 184 L. fall., comma 1, ad impedire l’iniziativa dei creditori per la declaratoria di fallimento senza previa risoluzione del concordato; iv) ammettere il cd. “fallimento omisso medio” significa ammettere la coesistenza di due procedure con due distinte masse (quella concordataria originaria e quella fallimentare successiva, che include anche i beni eventualmente non inclusi nella proposta di concordato); v) la provvisoria esecutività del decreto di omologa non definitivo, perchè soggetto a impugnazione (come nel caso di specie), non è sufficiente a giustificare l’ammissione del credito in misura falcidiata; vi) l’ammissione del credito nei limiti della “falcidia” concordataria è incompatibile con il concordato liquidatorio, nel quale il debitore mette a disposizione dei creditori il suo patrimonio senza garantire alcuna misura di soddisfacimento.

5. Le controdeduzioni svolte dalla curatela completano il quadro fattuale, nel senso che: a) il ricorso per dichiarazione di fallimento è stato depositato da altro creditore concordatario in data 21/04/2016 (v. controricorso, pag. 2); b) nel caso di specie “si trattava di un concordato liquidatorio con assuntore e fideiussore che garantiva “il pagamento dei creditori (…) nella misura e nella percentuale indicata dall’assuntore, entro un anno dall’omologazione del concordato”” (v. controricorso, pag. 15); c) in data 29/03/2019 il decreto di omologa è divenuto definitivo, a seguito di rigetto del ricorso per cassazione (v. memoria, pag. 2); d) il termine ultimo per l’adempimento degli obblighi concordatari scadeva un anno dopo l’omologazione del concordato, e quindi il 22/10/2014, sicchè la domanda di risoluzione poteva essere proposta entro il 22/10/2015 (v. memoria, pag. 2).

6. Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità – per carenza di interesse – di tutte le argomentazioni svolte dal ricorrente in punto di erroneità della dichiarazione di fallimento cd. omisso medio – ossia senza la previa risoluzione del concordato preventivo omologato, promuovibile entro “un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato” ex art. 186 L. fall., comma 3 – poichè nel caso di specie il fallimento è stato comunque dichiarato, e in questa sede non si verte in tema di reclamo ex art. 18 L. fall., bensì di opposizione allo stato passivo ex art. 98 L. fall..

7. L’unica questione scrutinabile in questa sede è dunque quella, affrontata ex prolesso dal giudice a quo, degli effetti del fallimento omisso medio sull’entità – integrale o “falcidiata” – dei crediti concordatari da ammettere al passivo fallimentare; segnatamente se, in assenza di risoluzione, sia comunque possibile una “reviviscenza delle obbligazioni originarie”, esito che il tribunale esclude in quanto l’effetto esdebitatorio del decreto di omologazione del concordato determinerebbe “l’estinzione parziale” dei crediti, “salvo che non intervenga la risoluzione oppure l’annullamento del concordato stesso”.

8. Soccorrono, al riguardo, i principi da ultimo affermati da questa Corte, proprio in tema di ammissione al passivo fallimentare, con sentenza n. 26002 del 17/10/2018, nel senso che occorre distinguere tra due diverse ipotesi: I) “qualora il fallimento sia stato dichiarato quando è ancora possibile instare per la risoluzione ex art. 186 L. fall. della procedura concordataria, i creditori non sono tenuti a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi del concordato omologato, a norma dell’art. 184 l.ja71., posto che l’attuazione del piano è resa impossibile per l’intervento di un evento come il fallimento che, sovrapponendosi al concordato medesimo, inevitabilmente lo rende irrealizzabile”; I1) qualora invece “sia scaduto il termine per la /…) risoluzione del concordato di cui all’art. 186 L. fall., comma 3, (Cass. n. 29632 / 2017, p. 4) e il piano concordatario si sia dunque consolidato, senza che i creditori (pur potendo) si siano attivati per chiedere la risoluzione, 7 il debitore continua ad essere obbligato al suo adempimento e i creditori (anche nuovi) e il P.M. possono promuovere le iniziative dirette a fare accertare l’insolvenza del debitore “nella citata misura falcidiata” (Cass. ult.)”.

8.1. Tale approdo esprime un’apprezzabile visione di carattere più marcatamente “concorsuale”, rispetto all’approccio “singolare” per cui ogni creditore, instando direttamente (e solo) per il fallimento -nonostante la pendenza del termine decadenziale di proponibilità della domanda di risoluzione ex art. 186 L. fall. – finirebbe per determinare arbitrariamente le sorti dell’ammissione al passivo, in misura falcidiata, per tutti i restanti creditori concordatari, senza che essi siano stati chiamati a interloquire sull’eventuale (e ancora possibile) esercizio dell’azione di risoluzione, che viceversa ne consentirebbe l’ammissione in misura integrale (cfr. in tal senso Cass. 17703/2017 per cui, caduto ogni automatismo tra risoluzione del concordato e fallimento, “il creditore insoddisfatto può presentare istanza di fallimento a prescindere dalla risoluzione del concordato preventivo qualora intenda far valere il credito insoddisfatto nella misura falcidiata dalla proposta”, sicchè il procedimento per la risoluzione del concordato “andrebbe attivato – previamente o concorrentemente – solo se l’istante facesse valere non il credito nella misura ristrutturata (e dunque falcidiata) ma in quella originaria”).

8.2. Anche il “rimedio” prospettato dal tribunale – che fa “salva la possibilità per i creditori” di proporre domanda di risoluzione del concordato, dopo la dichiarazione di fallimento, per conseguire la caducazione del decreto di omologazione provvisoriamente esecutivo e così “insinuarsi tardivamente per gli eventuali maggiori crediti” – non risulta del tutto appagante, per ragioni non solo teoriche (essendo quantomeno revocabile in dubbio, ai fini della sua ammissibilità, il carattere di novità della domanda tardiva, stante l’identità di fatti costitutivi, causa petendi e petitum con quella tempestiva, solo di minore importo) ma anche pratiche (perchè la successiva caducazione del decreto di omologazione renderebbe necessaria la rivisitazione, in sede tardiva, di tutte le insinuazioni tempestive dei creditori concordatari).

8.3. Di qui la maggiore coerenza logica e sistematica della tesi che consente l’ammissione al passivo fallimentare del credito concordatario nella misura integrale (e non “ristrutturata”) non solo quando la domanda di risoluzione sia stata espressamente proposta da uno dei creditori – unici soggetti (attualmente) legittimati ex art. 186 L. fall., comma 1 – al verificarsi di un “inadempimento” del concordato “di non scarsa importanza”, ex art. 186 L. fall., comma 2, ma anche quando, in quello stesso lasso temporale aperto alla risoluzione, uno dei soggetti legittimati insti direttamente per il fallimento, facendo valere una situazione di insolvenza che origina da quelle stesse obbligazioni concordatarie, trattandosi a ben vedere di domanda che implicitamente sottende la risoluzione del concordato in corso di esecuzione, come il più comprende il meno (v. Cass. 26002/2018). Invero, la nozione di inadempimento presupposta in entrambi i casi ha una connotazione oggettiva, che prescinde dal requisito della “imputabilità” al debitore e si presta quindi ad includere anche l’ipotesi (non espressamente menzionata) della impossibilità sopravvenuta.

8.4. Proprio in questa prospettiva è stato di recente ribadito che, anche nel sistema concorsuale riformato, “il concordato preventivo deve essere risolto, a norma dell’art. 186 L. fall., qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, a meno che l’inadempimento non abbia scarsa importanza, a prescindere da eventuali profili di colpa del debitore, non trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive ma di un istituto avente una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all’esito dell’omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ore una delle parti (la massa dei creditori) ha consistenza composita e plurisogettiva” (Cass. 18738/2018).

8.5. Non va nemmeno trascurato che l’insolvenza riveste il carattere della novità solo se riferibile ad obbligazioni sopravvenute alla chiusura del procedimento concordatario ex art. 181 L. fall. – mentre quelle assunte con il concordato sono geneticamente riconducibili alla originaria insolvenza, rimossa con la sua omologazione (Cass. sez. U, 9935 e 9936 del 2015) – e che l’art. 186 L. fall., comma 4 testimonia il carattere non novativo dell’omologazione, la quale in realtà non estingue, ma si limita a rendere parzialmente inesigibili i debiti concordatari.

8.6. Come emerge dal decreto impugnato, analoghe questioni potrebbero porsi anche con riguardo all’annullamento del concordato, per il quale l’art. 138 L. fall., comma 3, richiamato dall’art. 186 L. fall., comma 5, prevede legittimazione (creditori e commissario giudiziale) e termini di decadenza (“sei mesi dalla scoperta del dolo e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato”) più ampi. Tuttavia in quel caso i presupposti dell’azione (dolosa esagerazione del passivo; sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo) sono ben diversi rispetto a quelli dell’accertamento dello stato di insolvenza.

9. Ovviamente, la tesi divisata opera de iure condito, attraverso l’interpretazione delle norme esistenti, ma nulla toglie che, de iure condendo, le medesime finalità di tutela del diritto di difesa vengano perseguite in altro modo, ad esempio rendendo obbligatorio – nel procedimento per dichiarazione di fallimento promosso in pendenza dei termini per l’azione di risoluzione del concordato – il contraddittorio nei confronti di tutti i creditori vincolati ai sensi dell’art. 184 1.f., in vista della loro possibile iniziativa per la caducazione del concordato omologato e la conseguente riespansione del diritto di credito, nella misura originaria.

10. Dalle superiori argomentazioni discende quindi che, ricadendo la fattispecie in esame nella seconda ipotesi contemplata da Cass. 26002/2018 – poichè al momento della proposizione dell’istanza di fallimento il termine annuale ex art. 186 L. fall., comma 3, era ormai decorso -il credito in questione non poteva che essere ammesso nella misura ristrutturata, e per queste ragioni il ricorso va rigettato, previa correzione della motivazione del decreto impugnato, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

11. Segue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.

12. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019; Cass. sez. U, 4315/2020).

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 100,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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