Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12084 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/06/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 22/06/2020), n.12084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18900-2019 proposto da:

A.K.K., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PIZZINI ANDREA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE

TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI

VERONA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO, depositato il 07/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con decreto in data 7 maggio 2019 il Tribunale di Trento rigettava il ricorso proposto dal cittadino del Ghana A.K.K. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento del diritto allo status di rifugiato, alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e ss. o alla protezione umanitaria previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

in particolare il Tribunale: i) riteneva di non poter riconoscere nè lo status di rifugiato, nè la protezione sussidiaria, tenuto conto della non credibilità del migrante (il quale aveva raccontato di essersi allontanato dal suo paese allo scopo di sottrarsi ad aggressioni e danneggiamenti subiti per ragioni politiche) e del fatto che la zona di provenienza del ricorrente non era interessata da violenze di carattere indiscriminato; ii) rigettava pure la richiesta di protezione umanitaria, per il cui riconoscimento risultava irrilevante, isolatamente ed astrattamente, il livello di integrazione in Italia;

2. per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso A.K.K. prospettando due motivi di doglianza;

l’amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

3.1 il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6,7 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1-bis: il Tribunale si sarebbe limitato ad aderire alla valutazione di non credibilità già espressa dalla commissione territoriale, senza cogliere che il migrante aveva dato prova di aver compiuto ogni ragionevole sforzo per dimostrare i fatti posti a fondamento della sua richiesta e contravvenendo al proprio obbligo di cooperazione nell’accertamento delle condizioni utili per il riconoscimento della protezione;

il collegio di merito avrebbe dovuto ravvisare la veridicità del racconto offerto, così come avrebbe dovuto ritenere, sulla base anche delle informazioni fornite dalle fonti internazionali, che nel Ghana esistesse una situazione di violenza generalizzata e incontrollata tale da integrare la nozione di danno grave previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

3.2 il motivo è nel suo complesso inammissibile;

3.2.1 in materia di protezione internazionale il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare nel caso in cui questi, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. 15794/2019);

questa valutazione di affidabilità del dichiarante è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati all’interno del citato art. 3, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei a illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019);

la norma in parola obbliga in particolare il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto a un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche a una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019);

il giudice di merito si è ispirato a questi criteri laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante nelle varie sedi, ha rilevato – come previsto dall’art. 3, comma 5, lett. c, appena citato – che il racconto offerto dal richiedente asilo non era plausibile in diversi punti sotto il profilo della credibilità razionale della concreta vicenda narrata, presentava diversi profili di contraddittorietà ed era incoerente con le informazioni generali sul paese di origine;

una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;

si deve invece escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, nel senso proposto in ricorso, trattandosi di censura attinente al merito;

censure di questo tipo si riducono infatti all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 3340/2019);

3.2.2 ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo in esame informazioni aggiornate sulla situazione in Ghana risalenti al maggio 2017;

la critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

4.1 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in quanto il Tribunale avrebbe trascurato di valutare, in funzione del riconoscimento della protezione umanitaria, da un lato la numerosa documentazione prodotta per dimostrare lo stabile inserimento nel tessuto sociale, dall’altro la situazione di assoluta indigenza e di disoccupazione in cui il migrante si sarebbe trovato in caso di rimpatrio; allo stesso modo i giudici di merito non avrebbero adeguatamente apprezzato il considerevole lasso di tempo trascorso dal richiedente asilo in Libia;

4.2 il motivo è inammissibile;

è ben vero che in materia di protezione umanitaria, nel regime previgente applicabile alla fattispecie concreta, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass., Sez. U., 29459/2019, Cass. 4455/2018);

una simile valutazione presuppone tuttavia l’allegazione non solo della realizzazione di un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, ma anche del fatto che l’eventuale rimpatrio sia in grado determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto dello standard minimo costitutivo dello statuto della dignità personale; allegazione che competeva al richiedente asilo, in quanto la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336/2018);

nel caso di specie il giudice del merito ha rilevato che il livello di integrazione in Italia di per sè non rilevava ai fini del riconoscimento della protezione in parola, intendendo così implicitamente evidenziare la mancanza di allegazioni utili a rappresentare le condizioni di rimpatrio e ad effettuare poi una successiva comparazione;

il motivo in esame tenta di superare simili rilievi facendo riferimento a condizioni di disoccupazione e assoluta indigenza che il migrante dovrebbe affrontare in caso di rimpatrio;

una simile censura attiene però a questioni – comportanti accertamenti in fatto – che non sono state affrontate nella decisione impugnata, sicchè il ricorrente avrebbe preliminarmente dovuto chiarire se le stesse fossero state effettivamente e tempestivamente devolute alla cognizione del giudice di merito, dato che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, argomenti che siano già compresi nel tema del decidere del giudizio di cognizione, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito nè rilevabili d’ufficio;

infine la doglianza concernente la mancata valorizzazione del periodo trascorso in Libia è priva di decisività, poichè una simile circostanza, ove non accompagnata dall’allegazione di come tale esperienza abbia inciso sulla persona del migrante provocandone una peculiare condizione di vulnerabilità, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (Cass. 29875/2018);

5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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