Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1208 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7789/2014 R.G. proposto da:

G.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Valeri Daniele

del foro di Ancona ed elettivamente domiciliato in Roma Via San

Tommaso D’Aquino, n. 116, presso lo studio dell’Avv. Borello Carlo

in Via San Tommaso D’Aquino n. 116, (fax n. 071.9256379 pec:

daniele.valeri.pec-ordineavvocatiancona.it);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Marche, n. 59/2/2013, pronunciata il 5.7.2013 e depositata il

23.9.2013;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21 ottobre 2020 dal consigliere Saieva Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. G.L. presentava ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Ancona per l’annullamento di due avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Ancona ai fini IRPEF per gli anni 2004 e 2005 e relativi alla determinazione di maggiori redditi imponibili (di 35.772,00 Euro per l’anno 2004 e di 54.129,00 Euro per l’anno 2005); accertamenti effettuati ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 avendo l’Ufficio rilevato il possesso da parte del contribuente di due autovetture, di una residenza principale e di una secondaria, di un terreno, e la stipulazione da parte del medesimo di un mutuo contratto nell’anno 2003 con rate di oltre 6.000,00 Euro mensili e di un contratto di leasing per auto con rate di 3.568,00 Euro nel 2004 e di 7.136,00 Euro nel 2005.

2. La C.T.P. di Ancona dichiarava il ricorso inammissibile in quanto tardivo e respingeva la richiesta di rimessione in termini, presentata dal contribuente che aveva proposto l’atto di opposizione con ben 20 mesi di ritardo e cioè in data 12.1.2012, mentre il termine di scadenza, tenuto conto anche della procedura per l’istanza di accertamento di adesione, era il 2.5.2010.

3. Con sentenza n. 59/2/2013, pronunciata il 5.7.2013 e depositata il 23.9.2013, la Commissione tributaria regionale delle Marche, confermava poi la decisione della C.T.P..

4. Il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

5. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. dell’art. 153 c.p.c. e dell’art. 294 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo della controversia.

Detto motivo è infondato.

La rimessione in termini, già prevista dall’art. 184-bis c.p.c. è ora regolata dall’art. 153 c.p.c., comma 2, come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69.

Con il trasferimento della disciplina della rimessione in termini nel libro I rubricato “Disposizioni generalì’, risulta del tutto superato l’orientamento che in precedenza riteneva l’istituto applicabile solo al/a fase istruttoria del procedimento, risultando ampliata la portata dell’istituto, ormai pacificamente applicabile anche ai gradi del giudizio successivi al primo, oltre che a situazioni diverse dallo svolgimento del processo civile ed al rito tributario.

E’ rimasto tuttavia fermo l’onere per la parte che ne invoca l’applicazione di dimostrare che la decadenza sia stata determinata da una causa a lei non imputabile, perchè cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (Cass. Sez. 3, 6 luglio 2018, n. 17729).

Sarà comunque il giudice di merito ad accertare in concreto, sulla base delle giustificazioni fornite e degli elementi acquisiti, se le ragioni prospettate nell’istanza finalizzata alla rìmessione in termini integrino le condizioni della “causa non imputabile” idonee a consentire il superamento della decadenza da un termine processuale e giustificare, quindi, la rimessione in termini. (Cass. Sez. 6, 5 luglio 2010, n. 17704).

Nel caso di specie i giudici di merito hanno escluso che l’evoluzione dell’infermità del contribuente, pur se documentata, integrasse quella condizione idonea a giustificare il decorso del termine perentorio per l’impugnazione, avendo ritenuto “colpevole ed ingiustificata” una certa “inerzia” del contribuente medesimo che, benchè assistito da un procuratore, dopo avere “partecipato attivamente agli ultimi due incontri concordati con l’ufficio per discutere in ordine alla proposta di adesione” aveva lasciato poi decorrere vanamente “23 giorni disponibili per impugnare nei termini i due avvisi di accertamento ricevuti”.

Questa Corte, comunque, ha costantemente escluso che uno stato di malattia invocato dalla parte possa considerarsi una causa di impedimento ad essa non imputabile, essendo, in ogni caso, possibile il rilascio di una procura ad hoc al difensore (Cass. Sez. 2, 02/01/2014, n. 7; Cass. Sez. 5, 17/06/2015 n. 12544; Cass. Sez. Un. 18/12/2018, n. 32725).

Conseguentemente, deve escludersi che le ragioni per cui la C.T.R. ha ritenuto di respingere l’istanza di rimessione in termini dell’odierno contribuente siano suscettibili di censura.

2. Con il secondo motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost., dell’art. 97 Cost., oltre che la L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 6,9 e 10, c.d. “Statuto del contribuente”, violazione del principio di imparzialità, buona fede e buon andamento dell’amministrazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa decisione sul punto e in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo della controversia, lamentando, in particolare, che l’atteggiamento dell’Amministrazione finanziaria e dei giudici tributari, che si sono limitati ad una valutazione della sola istanza preliminare sulla ammissibilità della rimessione in termini, avrebbe dato luogo ad una indebita percezione di somme non dovute e ad una violazione di tutti i principi costituzionali che presidiano il corretto svolgimento dei rapporti tra amministrazione e contribuente: dal principio della giusta distribuzione del carico tributario, in ragione della capacità contributiva previsto dall’art. 53 Cost., a quello di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. e delle garanzie previste dallo Statuto del contribuente.

Il motivo è inammissibile.

In tema di ricorso per cassazione è, infatti, inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o, ancora, quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, ovvero la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro.

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Cass., Sez. 1, 23 ottobre 2018, n. 26874, e da ultimo, Sez. 5, 28 maggio 2020n. 10135).

Invero, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Inoltre, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. Sez. V, 28 maggio 2020 n. 10143).

Nel caso di specie, peraltro, le doglianze disordinatamente compattate in un unico motivo non sono in alcun modo correlate alla ratio decidendi della motivazione della sentenza impugnata, avendo i giudici correttamente deciso la questione di carattere preliminare, sottraendosi alle residue valutazioni di merito non consentite dalla inammissibilità conseguente alla decadenza in cui era incorso il ricorrente.

3. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso del contribuente che condanna al rimborso delle spese sostenute dall’Agenzia delle Entrate che liquida in 4.100,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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