Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12079 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/06/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 22/06/2020), n.12079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3698-2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPINA MARCIANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO, in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 20/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto in data 20 dicembre 2018 il Tribunale di Milano respingeva il ricorso proposto da M.A., cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento del diritto allo status di rifugiato, alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 14 e s.s. o alla protezione umanitaria previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

in particolare il Tribunale: i) riteneva di non disporre l’audizione del ricorrente, essendo già state compiutamente indagate in sede amministrativa le ragioni che avevano indotto il migrante a lasciare il suo paese, senza che la difesa avesse allegato fatti nuovi o segnalato carenze della precedente audizione; li) escludeva la credibilità del richiedente asilo (il quale aveva raccontato di essersi allontanato dal Pakistan a causa delle minacce ricevute per motivi politici, dopo l’omicidio del fratello) a motivo del carattere generico e vago delle sue dichiarazioni e dell’incoerenza e inverosimiglianza del loro contenuto; iii) giudicava, di conseguenza, che il timore di subire atti di persecuzione per motivi politici in caso di rimpatrio fosse infondato, oltre che inattuale, tenuto conto che gli eventi narrati risalivano al 2015; iv) reputava, parimenti, che la vicenda narrata non consentisse di ravvisare un’ipotesi di danno grave nel senso previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); v) osservava, sulla base delle informazioni internazionali disponibili, che nel Punjab non vi era una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato interno tale da porre in pericolo l’incolumità della popolazione civile per il solo fatto di soggiornarvi; vi) rilevava che un eventuale rimpatrio non avrebbe compromesso in modo apprezzabile il diritto del migrante a un’esistenza libera e dignitosa, condizione che peraltro non aveva raggiunto in Italia, dove questi non si era inserito stabilmente nella realtà socio-lavorativa;

in forza di tali ragioni il Tribunale di Milano, con decreto del 20 dicembre 2018, rigettava il ricorso presentato da M.A.;

2. per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso il medesimo M.A. prospettando cinque motivi di doglianza; l’amministrazione intimata si è costituita al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine di prendere parte all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso richiede, in via preliminare, “di sollevare una questione di legittimità costituzionale in merito alla formulazione del D.L. n. 25 del 2008, art. 35-bis (applicandosi al caso di specie la vecchia normativa) introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 11 Cost., commi 1, 2 e 5, art. 117 Cost., comma 1, così come integrato dalla direttiva 32 del 2013, art. 46, paragrafo 3 e dagli artt. 6 e 13CEDU, per quanto concerne la previsione del rito camerale ex art. 737 c.p.c. e relative deroghe espressa dal legislatore, nelle controversie in materia di protezione internazionale”;

3.2 il motivo è manifestamente infondato;

difatti non v’è alcun dubbio che il procedimento camerale, da sempre impiegato anche per la trattazione di controversie su diritti e status, sia idoneo a garantire l’adeguato dispiegarsi del contraddittorio con riguardo al riconoscimento della protezione internazionale, neppure potendo riconoscersi rilievo all’eventualità della soppressione dell’udienza di comparizione, sia perchè essa è circoscritta a particolari frangenti nei quali la celebrazione dell’udienza si risolverebbe in un superfluo adempimento, tenuto conto dell’attività in precedenza svolta, sia perchè il contraddittorio è comunque pienamente garantito dal deposito di difese scritte (Cass. 17717/2018);

4.1 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11, in quanto tale norma prevederebbe, in mancanza della videoregistrazione del colloquio svoltosi in fase amministrativa, la necessaria fissazione dell’udienza di comparizione delle parti anche ai fini dell’audizione del migrante;

4.2 il motivo è manifestamente infondato;

in vero nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio (Cass. 17717/2018);

ciò tuttavia non significa che si debba anche necessariamente dar corso in maniera automatica all’audizione del richiedente (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, 5 49) in presenza di una “domanda di protezione internazionale manifestamente infondata”;

il Tribunale investito del ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale può infatti esimersi dall’audizione del richiedente asilo se a questi sia stata data la facoltà di renderla avanti alla Commissione territoriale e il giudicante – cui siano stati resi disponibili il verbale dell’audizione ovvero la videoregistrazione e la trascrizione del colloquio attuata secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, comma 1, nonchè l’intera documentazione acquisita, di cui al citato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 8 – debba respingere la domanda, per essere la stessa manifestamente infondata sulla base delle circostanze risultanti dagli atti del procedimento amministrativo svoltosi avanti alla Commissione, oltre che dagli atti del giudizio trattato avanti al Tribunale medesimo (Cass. 2817/2019, Cass. 5973/2019);

l’obbligo di audizione deve quindi essere valutato – come è stato precisato dalla decisione della Corte giustizia sopra richiamata – alla stregua dell’intera procedura di esame della domanda di protezione (par. 42) e sulla base del potere del giudice di esaminare l’intera documentazione, che a suo giudizio può ritenere esaustiva (par. 44), potendosi ritenere che la possibilità di omettere lo svolgimento di un’udienza corrisponda all’interesse, tanto degli Stati membri che dei richiedenti, che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo (par. 44 ultimo periodo);

la mancata audizione del richiedente asilo in sede di udienza di comparizione non si presta quindi a censure di sorta, dovendosi escludere che le norme nazionali ed Europee in materia prevedano un obbligo per il giudice di merito di procedere in maniera automatica all’audizione del ricorrente quand’anche la stessa sia del tutto inutile ai fini del decidere;

5.1 il terzo motivo di ricorso assume la violazione degli artt. 6 e 13 Convenzione EDU, art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32, in riferimento alla concreta ed attuale analisi della situazione sociopolitica del Pakistan: il Tribunale, ove avesse contestualizzato la storia personale del ricorrente nella realtà del Pakistan, sarebbe pervenuto ad una diversa pronuncia in merito alla concessione della protezione sussidiaria, tenuto conto del grado di violenza indiscriminata caratterizzante il conflitto armato ivi in corso;

5.2 il motivo è inammissibile;

ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo in esame informazioni aggiornate sulla situazione della regione del Punjab risalenti agli anni 2017 e 2018;

la critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

6.1 il quarto motivo di ricorso assume, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa considerazione della valenza probatoria di un fatto essenziale in punto di richiesta di permesso umanitario, poichè il Tribunale non avrebbe considerato lo stato di estrema povertà e disagio sociale dal quale il migrante proveniva;

6.2 il motivo è inammissibile;

il profilo di doglianza si limita infatti a individuare il fatto storico che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare, ma non indica il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risultava esistente nonchè il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti (Cass., Sez. U., 8053/2014);

il motivo, così formulato, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso è fondato;

7.1 il quinto motivo di ricorso prospetta, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e in relazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, l’omesso esame dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, poichè il Tribunale avrebbe omesso a tal fine di comparare la situazione individuale del richiedente asilo con quella vissuta prima della partenza;

7.2 il motivo èinammissibile;

il Tribunale ha accertato, in fatto e all’esito di un giudizio di comparazione fra le condizioni di vita in Italia e nel paese di origine, l’inesistenza di ragioni di carattere umanitario tali da consentire il riconoscimento della forma di protezione residuale in questione; a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito.

8. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto rigettato; la costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 22 giugno 2020

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