Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12078 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/06/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 22/06/2020), n.12078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3356-2019 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

NICOLA MONDELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CROTONE, SEZIONE

DI REGGIO CALABRIA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositato il

04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO

PAZZI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con decreto in data 4 dicembre 2018 il Tribunale di Catanzaro, celebrata l’udienza di comparizione delle parti e ritenuta non necessaria l’audizione del migrante, in considerazione della natura della vicenda allegata, del tenore delle dichiarazioni rese e dell’esaustività dell’audizione compiuta in sede amministrativa, rigettava il ricorso proposto da A.S. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia A.S. al fine di far valere due motivi di impugnazione;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione sia del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, non essendo stata disposta l’audizione del migrante, che invece sarebbe stata necessaria in mancanza di videoregistrazione del colloquio tenutosi avanti alla Commissione territoriale, sia del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 8 e art. 16, poichè la medesima Commissione non aveva messo alcuna documentazione a disposizione del Tribunale, sia dell’art. 115 c.p.c., in quanto la mancata contestazione delle deduzioni del ricorrente avrebbe imposto al Tribunale di porre a base della decisione assunta i fatti addotti dal migrante e non specificamente contestati;

3.2 il secondo motivo di ricorso assume la nullità della sentenza e del procedimento in conseguenza della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, in ragione della mancata audizione del ricorrente pur in mancanza della videoregistrazione del suo colloquio;

4. i motivi, da trattarsi congiuntamente perchè in parte di tenore sovrapponibile, sono per alcuni aspetti infondati, per altri inammissibili;

4.1 non sono fondati i profili di doglianza secondo cui, in mancanza di videoregistrazione, deve essere sempre disposta l’audizione del ricorrente;

è ben vero infatti che nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio (Cass. 17717/2018);

ciò tuttavia non significa che si debba anche necessariamente dar corso in maniera automatica all’audizione del richiedente (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49) in presenza di una “domanda di protezione internazionale manifestamente infondata”;

il Tribunale investito del ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale può infatti esimersi dall’audizione del richiedente asilo se a questi sia stata data la facoltà di renderla avanti alla Commissione territoriale e il giudicante – cui siano stati resi disponibili il verbale dell’audizione ovvero la videoregistrazione e la trascrizione del colloquio attuata secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, comma 1, nonchè l’intera documentazione acquisita, di cui al D.Lgs. cit., art. 35-bis, comma 8, – debba respingere la domanda, per essere la stessa manifestamente infondata sulla base delle circostanze risultanti dagli atti del procedimento amministrativo svoltosi avanti alla Commissione, oltre che dagli atti del giudizio trattato avanti al Tribunale medesimo (Cass. 2817/2019, Cass. 5973/2019);

l’obbligo di audizione deve quindi essere valutato – come è stato precisato dalla decisione della Corte giustizia sopra richiamata – alla stregua dell’intera procedura di esame della domanda di protezione (par. 42) e sulla base del potere del giudice di esaminare l’intera documentazione, che a suo giudizio può ritenere esaustiva (par. 44), potendosi ritenere che la possibilità di omettere lo svolgimento di un’udienza corrisponda all’interesse, tanto degli Stati membri che dei richiedenti, che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo (par. 44 ultimo periodo);

la mancata audizione del richiedente asilo in sede di udienza di comparizione non si presta quindi a censure di sorta, dovendosi escludere che le norme nazionali ed Europee in materia prevedano un obbligo per il giudice di merito di procedere in maniera automatica all’audizione del ricorrente quand’anche la stessa sia del tutto inutile ai fini del decidere;

4.2 per quanto attiene la mancata trasmissione del fascicolo amministrativo occorre invece rilevare che era onere del ricorrente indicare il contenuto del fascicolo amministrativo non consultato, specificando quali documenti il Tribunale avrebbe potuto vedere ma non aveva visto a causa del mancato assolvimento dell’obbligo previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 8;

il motivo, così formulato, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso è fondato;

la censura, nel contempo, manca di decisività, dato che non indica le ragioni per le quali la documentazione trascurata avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa, offrendo la prova di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che avevano determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento;

4.3 risulta manifestamente infondata la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c.;

il principio di non contestazione infatti è richiamato dalla norma in questione con espresso riferimento alle sole parti costituite, restando così esclusa la sua validità rispetto a quelle contumaci (Cass. 16800/2018);

esso dunque non trovava applicazione al Ministero dell’Interno, che, in tesi della stessa parte ricorrente, “non si è mai costituito nella procedura” (pag. 5);

4.4 risulta infine inammissibile la censura volta a sostenere che il Tribunale avrebbe dovuto trarre argomenti di prova dal contegno omissivo e condiscendente della Commissione territoriale e del Ministero dell’Interno;

invero l’art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito il potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti e il mancato uso di tale potere non è censurabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, allorchè il giudice abbia deciso di non utilizzare tale argomento sussidiario, avendo già acquisito i necessari elementi di prova in base alle risultanze dell’istruttoria (Cass. 26088/2011, Cass. 18128/2006);

d’altra parte il contegno delle parti, cui allude l’art. 116 c.p.c., non è un comportamento generico, come quello del convenuto che non si costituisce in giudizio, ma è una condotta qualificata, che, posta in relazione con il fatto da provare, è di per sè idonea a rafforzare il convincimento già raggiunto attraverso la valutazione degli altri elementi acquisiti al processo (Cass. 4722/1981);

ne consegue che non sarebbe stato comunque possibile valorizzare, al fine di trarne argomenti di prova, il contegno non collaborativo della Commissione territoriale ovvero la mancata partecipazione al giudizio del Ministero dell’Interno;

5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto rigettato;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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