Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12073 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/06/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 22/06/2020), n.12073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13359-2018 proposto da:

(OMISSIS) DI (OMISSIS) SNC, in persona del legale rappresentante pro

tempore, A.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

VINCENZO BELLINI 10, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA

CARUSO, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMILIANO CARNOVALE;

– ricorrenti –

contro

CURATELA FALLIMENTARE (OMISSIS) DI (OMISSIS) SNC, in persona del

Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO NOTARO,

rappresentata e difesa dall’avvocato RICCARDO FOLINO;

– controricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTARE A.P., CURATELA FALLIMENTARE

A.R., SOCIETA’ FLORIM CERAMICHE SPA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 551/2018 della CORTE D’APPFLLO di CATANZARO,

depositata il 27/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO

PAZZI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Lamezia Terme, con sentenza n. 17/2017 del 30 ottobre 2017, dichiarava il fallimento di (OMISSIS) di (OMISSIS) s.n.c. nonchè di P.A. e Arzente Roberto;

2. la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 551/2018 del 27 marzo 2018, rilevava che i reclamanti (OMISSIS) di (OMISSIS) s.n.c., P.A. e A.R., pur essendo gravati dall’onere di dimostrare l’insussistenza dei requisiti di fallibilità nei tre anni antecedenti la presentazione dell’istanza di fallimento, avevano omesso di assolvere tale onere, in particolare non fornendo la prova del ricorrere del requisito previsto dall’art. 1, comma 2, lett. c), L. Fall.;

infatti le indagini svolte dalla Guardia di Finanza a cui i reclamanti avevano fatto riferimento, concernenti i soli debiti tributari, non esaurivano il quadro complessivo delle passività, posto che erano già pervenute insinuazioni al passivo per Euro 272.409,32 e non era dato sapere se esistessero altri debiti; l’incertezza sull’effettivo ammontare delle passività si riverberava quindi in danno dei reclamanti imponendo il rigetto del motivo di gravame;

la Corte di merito inoltre da un lato rilevava che il credito dell’istante, di Euro 33.732,57 e non contestato, risultava di per sè sufficiente a ravvisare il superamento del limite dei debiti scaduti fissato dall’art. 15, u.c., L. Fall., dall’altro condivideva le ragioni già offerte dal Tribunale per riconoscere lo stato di insolvenza;

3. per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS) di (OMISSIS) s.n.c. e A.R. prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS) di (OMISSIS) s.n.c.;

gli intimati Florim Ceramiche s.p.a. e procedure fallimentari di P.A. e A.R. non hanno svolto difese;

parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 15, u.c., L. Fall., stanti la carenza del presupposto soggettivo previsto dall’art. 1 L. Fall. e il mancato superamento della soglia di fallibilità individuata dall’art. 15, u.c., L. Fall.: la Corte d’appello non avrebbe considerato che la società debitrice, la quale si avvaleva della contabilità semplificata ed era perciò tenuta a conservare i soli registri I.V.A. relativi alle annotazioni dei costi e dei ricavi, aveva dimostrato per tabular che la propria esposizione debitoria non oltrepassava il limite di Euro 500.000 e il mancato superamento dei limiti dimensionali fissati dall’art. 1 L. Fall.; oltre a ciò non era possibile ravvisare uno stato di incapacità strutturale della società debitrice, nè era stata raggiunta la soglia, al momento della fase prefallimentare, prevista dall’art. 15 L. Fall.;

4.2 il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile;

4.2.1 l’onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dall’art. 1, comma 2, L. Fall., grava sul debitore, atteso che tale disposizione pone come regola generale l’assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali (Cass. 625/2016, Cass. 13746/2017, Cass. 25188/2017); 4.2.2 il principio non trova deroga ove il fallendo si avvalga della contabilità semplificata;

in vero – come già questa Corte ha avuto modo di precisare (Cass. 6991/2019) -, a prescindere dalla normativa c.d. fiscale, la disciplina del codice civile sottopone tutti gli imprenditori commerciali all’obbligo di tenuta delle scritture contabili (con la sola eccezione di cui all’art. 2214 c.c., comma 3);

e tra queste scritture – nell’ambito di quelle c.d. generalmente obbligatorie (indipendentemente, cioè, “dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa”) – compare pure quella rappresentata dal bilancio, a mente dell’art. 2217 c.c., comma 2, (“l’inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, il quale deve dimostrare con evidenza e verità egli utili conseguiti o le perdite subite. Nelle valutazioni di bilancio l’imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci delle società per azioni in quanto applicabili”);

la semplificazione o l’esenzione dall’imposizione fiscale del bilancio non determina, dunque, alcuna sottrazione dal dovere civilistico di tenuta del bilancio;

4.2.3 il che non significa che il bilancio di esercizio sia il veicolo necessario e imprescindibile per dimostrare il possesso dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, L. Fall. o che sia, comunque, l’unico strumento possibile per la verifica della concreta sussistenza dei medesimi;

significa invece che in mancanza del bilancio di esercizio – che, ove attendibile, è il canale “privilegiato” per la valutazione prevista dall’art. 1, comma 2 (solo perchè – e nella concreta misura in cui – la sua funzione specifica è proprio quella cli rappresentare la “situazione patrimoniale e finanziaria” dell’impresa a cui fa riferimento, secondo quanto puntualizza la norma dell’art. 2423 c.c., comma 2; cfr. Cass. 30541/2018) – rimane a carico del debitore l’onere di dimostrare con strumenti alternativi, attraverso la produzione di materiale che appaia attendibile agli occhi del giudicante, il mancato superamento dei limiti di fallibilità, dato che il sistema vigente non pone nessuna preclusione o vincolo rispetto alla prova da fornire;

pertanto il regime di contabilità semplificata non esime dalla tenuta del bilancio di esercizio, la cui mancata redazione non preclude al fallendo di ricorrere a differenti strumenti probatori, ma neppure riduce (o addirittura solleva dall’onere probatorio rispetto al mancato ricorrere dei requisiti dimensionali previsti dall’art. 1 L. Fall.;

4.2.4 risulta poi inammissibile in questa sede di legittimità ogni contestazione che intenda sostenere come la documentazione prodotta assolvesse un simile onere probatorio;

in vero il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011);

4.2.5 infine, una volta registrata la constatazione del superamento del limite minimo di fallibilità previsto dall’art. 15, u.c., L. Fall. sulla base degli atti dell’istruttoria prefallimentare, sarà sufficiente aggiungere che il convincimento espresso dalla Corte di merito a questo proposito e sulla sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta (Cass. 7252/2014);

5.1 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, lett. c), L. Fall., degli artt. 115 e 116 c.p.c., poichè la corte di merito non avrebbe tenuto nel debito conto che tanto il creditore istante quanto la procedura fallimentare non avevano contestato, in sede di reclamo, il mancato superamento delle soglie di fallibilità previste dall’art. 1, comma 2, L. Fall. sotto il profilo dei ricavi e dell’esposizione debitoria;

5.2 il motivo è in parte manifestamente infondato, in parte inammissibile;

l’onere di contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova sussiste infatti soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. 87/2019, Cass. 14652/2016);

il creditore istante non era quindi tenuto ad effettuare alcuna contestazione al riguardo;

d’altro canto il principio di non contestazione, con conseguente relevatio dell’avversario dall’onere probatorio, postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione;

il che significa che la mancata allegazione del preciso ammontare dell’attivo patrimoniale, dei ricavi lordi e dell’esposizione debitoria esonerava il curatore in sede di reclamo dal compiere una contestazione circostanziata (che peraltro la stessa doglianza riconosce effettuata rispetto al requisito di cui alla lett. a e dunque in termini sufficienti a consentire l’accertamento dell’insolvenza) piuttosto che insistere, genericamente, per la conferma della dichiarazione di fallimento:

occorreva pertanto che gli odierni ricorrenti accompagnassero la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, non solo del contenuto degli atti di controparte, ma anche del proprio atto contenente in termini puntuali le allegazioni asseritamente non contestate, dato che questa Corte non è legittimata a procedere a un’autonoma ricerca degli atti che fondano la denuncia del vizio ma solo a una verifica del contenuto degli stessi;

in mancanza di una simile indicazione la doglianza in esame risulta giocoforza inammissibile per violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6;

6.1 il terzo motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’esistenza di una motivazione apparente, contraddittoria, assente o insufficiente circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio, l’avvenuto travisamento della prova o la mancata valutazione dell’insussistenza della prova: la corte territoriale avrebbe errato nel dare un’interpretazione sistematica dell’art. 1 L. Fall. con riferimento al triennio antecedente alla dichiarazione di fallimento; allo stesso modo il collegio del reclamo non avrebbe indicato le ragioni per cui aveva ritenuto la situazione contabile inattendibile e ravvisato il superamento dell’indebitamento, nell’ultimo triennio o nell’ultimo esercizio;

6.2 il motivo è inammissibile;

la sentenza impugnata non ha valutato la prova fornita dal debitore in termini di inattendibilità o di avvenuta dimostrazione del superamento della soglia prevista dalla norma in discorso, ma, ben diversamente, ha constatato il mancato assolvimento dell’onere probatorio che sul debitore incombeva, in quanto il materiale probatorio offerto (costituito dall’accertamento compiuto dalla Guardia di Finanza) riguardava i soli debiti di natura tributaria, che tuttavia non esaurivano il quadro complessivo delle passività, come si evinceva dalla documentazione prodotta dalla curatela;

a fronte di tali accertamenti sulla congerie istruttoria – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza contestare l’approdo a cui la Corte d’appello è pervenuta e proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito;

7. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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