Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12069 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 16/05/2017, (ud. 24/02/2017, dep.16/05/2017),  n. 12069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19985/2012 proposto da:

Banca Popolare di Ancona S.p.a., (p.i. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Giangiacomo Porro n. 8, presso l’avvocato Pizzoli

Giancarlo, rappresentata e difesa dall’avvocato Monticelli

Paoloandrea, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Profilo S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via San Saba n. 7,

presso l’avvocato Maglio Sergio, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Galeone Gaetano, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2353/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/02/2017 dal cons. FALABELLA MASSIMO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato G. PIZZOLI, con delega verbale,

che si riporta;

udito, per la contro ricorrente, l’Avvocato G. GALEONE che si

riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale ZENO

Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità dei motivi da 1 a

4, inammissibilità o rigetto dei motivi 6 e 7, rigetto del motivo

5.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La controversia ha ad oggetto l’acquisto, da parte della Banca Popolare di Ancona s.p.a., di strumenti finanziari – credit notes linked – collegati a titoli della Repubblica Argentina, ceduti dalla Banca Profilo s.p.a.: gli stessi avrebbero dovuto essere rivenduti dall’acquirente alla propria clientela retail.

Nella sentenza impugnata i fatti di causa sono riassunti nei termini che seguono.

Profilo aveva mancato di informare l’acquirente che tali prodotti finanziari prevedevano limiti alla circolazione, essendo rivolti esclusivamente ad investitori istituzionali, e alla Banca Popolare di Ancona era stato inviato un “regolamento sintetico” del prestito privo degli elementi essenziali relativi alla circolazione dei titoli. La vendita si era poi perfezionata prima della circolare di offerta e senza la formalizzazione di un ordine scritto, come invece era previsto dal contratto di negoziazione intercorso tra le parti. Tra il 5 e il 10 giugno 1997 la banca acquirente aveva provveduto alla rivendita degli strumenti finanziari alla propria clientela e dopo la sospensione, da parte dello Stato argentino, del pagamento dei titoli sottostanti le credit notes linked e l’esercizio dell’opzione di rimborso anticipato da parte dell’emittente in ragione di Euro 3.938,82 ogni Euro 100.000,00 di valore nominale, la Banca Popolare di Ancona aveva definito il contenzioso con i propri acquirenti riconoscendo a questi ultimi un risarcimento del danno nella misura di Euro 1.991.223,00.

Il Tribunale di Milano aveva poi rigettato le domande attrici dirette alla declaratoria di nullità, all’annullamento o alla risoluzione del contratto, oltre che al risarcimento del danno.

2. – Proposta impugnazione, la Corte di appello di Milano, con sentenza pubblicata il 19 agosto 2011, ha respinto il gravame. In sintesi, il giudice distrettuale ha escluso la responsabilità della banca venditrice attribuendo rilievo sia al mancato riscontro del fatto che la Banca Popolare di Ancona avesse reso noto alla venditrice l’intendimento di destinare i titoli alla propria clientela retall, sia alla circostanza per cui il contratto di trasferimento degli strumenti finanziari era intercorso tra operatori qualificati. La Corte di merito ha negato inoltre rilievo alla mancata formalizzazione per iscritto dell’ordine di acquisto e ha osservato come, anche a voler ammettere una violazione dei doveri di informazione posti a carico della Banca Profilo, la condotta della Banca Popolare di Ancona doveva ritenersi ben più negligente, avendo essa trascurato di considerare come, in considerazione delle caratteristiche proprie dei titoli (loro destinazione a operatori professionali e consistenza del taglio minimo di Euro 100.000,00 con cui gli stessi potevano essere ceduti a terzi), risultasse rischioso procedere a un immediato collocamento dei medesimi presso la clientela, in fase di grey market e in assenza della circolare di emissione.

3. – Tale pronuncia è oggetto del ricorso per cassazione proposto dalla Banca Popolare di Ancona, il quale si basa su sette motivi. Resiste con controricorso la Banca Profilo. Sono state depositate le memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo è lamentata violazione e falsa applicazione degli artt. 2702, 2730 e 2735 c.c. e art. 246 c.p.c., nonchè omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione con riferimento alla qualificazione del rapporto e agli inadempimenti. In particolare – secondo l’istante – la Corte aveva mancato di valutare il contenuto dell’informativa trasmessa dalla controparte anteriormente alla vendita (informativa in cui non era evidenziata alcuna limitazione quanto alla circolazione dei prodotti finanziari), nonchè l’oggetto della dichiarazione inviata dal direttore generale della Banca Profilo. Inoltre il giudice del gravame aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione circa l’inattendibilità di uno dei testimoni escussi e non aveva considerato nè la circolare della Consob da cui risultava che la vendita in forma frazionata degli strumenti finanziari di taglio più elevato era praticata normalmente dagli intermediari, nè il fissato bollato da cui risultava che l’acquisto, era avvenuto a un costo leggermente inferiore alla parità: evenienza, questa, che favoriva la vendita ai risparmiatori.

1.1. – Il motivo non ha fondamento.

Esso è anzitutto carente di autosufficienza, in quanto la ricorrente omette di riprodurre il contenuto dell’informativa di cui fa menzione a pag. 14 del ricorso; con riferimento alla nota del 2 luglio 2002 vale lo stesso rilievo, dal momento che essa è trascritta parzialmente. Peraltro, la questione relativa alla portata confessoria della dichiarazione resa dal legale rappresentante della controricorrente nello scritto del 2 luglio 2002 non risulta affrontata nella sentenza della Corte di appello: ora, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella pronuncia impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; cfr. pure: Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 12 luglio 2006, n. 14599; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270).

Con riferimento all’eccezione circa l’inattendibilità del teste I. è da formulare analogo rilievo, in quanto la ricorrente si limita a evidenziare, in modo del tutto generico, che l’eccezione venne sollevata nelle “note istruttorie” e “a verbale”.

Per il resto, è solo il caso di ricordare che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità. non. il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357).

2. – Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2679 e 2729 c.c., oltre che del D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 21 in tema di onere della prova, nonchè contraddittoria motivazione in merito agli obblighi informativi facenti capo alla controricorrente. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui sottolinea come difettasse la prova che la destinazione dei titoli alla rivendita in favore dei comuni investitori fosse stata resa nota alla parte venditrice. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito aveva posto a carico del compratore un onere di comunicazione estraneo alla previsione legislativa. Il motivo si articola, poi, in una serie di censure concernenti le risultanze di causa, lamentando la ricorrente il malgoverno del ragionamento presuntivo, delle evidenze documentali e delle prove orali.

2.1. – E’ oggetto del terzo motivo la censura di omessa e contraddittoria motivazione per violazione e falsa applicazione dell’art. 1321 c.c., art. 1325 c.c., n. 2, artt. 1418, 1470 e 1472 c.c., con riferimento al contratto di vendita e alla sua causa. Secondo la Corte di appello, la Banca Popolare di Ancona non aveva provato di aver edotto l’alienante della propria volontà di destinare i titoli alla vendita; tale proposizione era tuttavia ad avviso della ricorrente errata, presupponendo un onere di comunicazione, relativo al futuro utilizzo del bene acquistato, che non era previsto dalla legge. D’altro canto, la sentenza aveva dimenticato che non esistono prodotti finanziari la cui circolazione sia limitata da norme di legge, sicchè eventuali vincoli alla libera trasferibilità costituiscono un’eccezione rispetto alla natura e alla funzione tipica dei prodotti stessi. La sentenza risultava pure viziata in quanto non aveva valutato quale fosse l’interesse della banca ricorrente sotteso alla negoziazione delle obbligazioni e la funzione dello specifico contratto. Il giudice distrettuale non aveva valutato che si era determinato uno scostamento dell’operazione posta in atto dalla sua funzione tipica e concreta, in quanto gli strumenti finanziari compravenduti risultavano vincolati quanto alla circolazione; la Corte di merito aveva quindi illegittimamente omesso di dichiarare l’invalidità della vendita rispetto alla causa concreta perseguita dalle parti attraverso il contratto di intermediazione e di compravendita dei beni futuri.

2.2. – Il quarto motivo deduce omessa e contraddittoria motivazione per violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1493, 1494 e 1497 c.c., con riferimento ai beni consegnati e alle loro qualità con riferimento all’ipotesi di vendita di cose future. Assume la ricorrente che era onere della controparte esplicitare che i titoli alienati non erano suscettibili di libera circolazione; inoltre il giudice di appello non aveva considerato che il bene compravenduto era inidoneo ad assolvere alla sua destinazione economica sociale tipica, in considerazione della diversità dei caratteri materiali e degli attributi giuridici del bene stesso rispetto a quanto oggetto del programma contrattuale, e non aveva valutato i profili relativi all’esistenza dei vizi e all’assenza delle qualità promesse.

2.3. – I motivi che precedono possono esaminarsi congiuntamente: investono, da diverse angolazioni, la questione afferente la mancata rappresentazione, da parte della Banca Popolare di Ancona, della destinazione degli strumenti finanziari alla clientela retail dello stesso istituto di credito. Infatti, la Corte di appello – lo si è in precedenza accennato – ha evidenziato che non era dato “conoscere le circostanze di tempo e di luogo nelle quali la (qui) conclamata destinazione delle obbligazioni alla rivendita alla clientela retail sarebbe stata resa nota alla controparte Banca Profilo, così da renderla avvertita che soltanto strumenti non sottoposti a limiti di alienabilità (segnatamente operanti nei confronti dei comuni investitori) avrebbero potuto soddisfare le esigenze (rectius l’interesse) dell’interlocutore contrattuale”.

Ciò posto, l’assunto della ricorrente, secondo cui la Corte di merito in tal modo avrebbe posto a carico del compratore un onere di comunicazione estraneo alla legge (visto che quest’ultima non obbligava il detto soggetto a fornire una indicazione siffatta), non coglie, con tutta evidenza, la ratio decidendi della pronuncia impugnata: infatti, sul punto, il giudice distrettuale ha inteso semplicemente affermare che la mancata esplicitazione della destinazione delle credit notes linked da parte della banca interessata escludeva la responsabilità dell’alienante. E un tale rilievo si sottrae a censura dal momento che la libera negoziabilità del titolo non può considerarsi una condizione immanente ad ogni strumento finanziario (come è del resto confermato dalla selling restriction che interessò le credit notes linked oggetto del giudizio): sicchè, in mancanza di specifiche pattuzioni, era onere della odierna istante rappresentare a Banca Profilo la propria esigenza di disporre di prodotti suscettibili di essere trasferiti a comuni risparmiatori piuttosto che a investitori istituzionali.

Nè coglie nel segno quanto affermato dalla ricorrente con riferimento al lamentato mancato apprezzamento della causa concreta del negozio concluso.

La causa concreta – intesa come scopo pratico del negozio, e cioè come sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato (così Cass. 8 maggio 2006, n. 10490, seguita da Cass. 12 novembre 2009, n. 23941) – conferisce, certo, rilevanza ai motivi, ma sempre che i medesimi abbiano assunto valore determinante nell’economia del vincolo, assurgendo a presupposti causali del negozio, sicchè si possa affermare che proprio attraverso di essi se ne realizza la causa concreta. A tal fine è però anzitutto necessario che, venendo in questione un contratto, il motivo sia comune alle parti o, se riferibile ad una soltanto di esse, che il motivo in questione sia comunque riconoscibile dall’altra. Diversamente il contratto risulterebbe condizionato da intendimenti e finalità ignoti ad uno dei contraenti – quello cui è estraneo il motivo -, con conseguente lesione del suo affidamento.

In tal senso, non è allora affatto decisivo che la Banca Popolare di Ancona intendesse reimpiegare i titoli acquistati rivendendoli alla propria clientela retail, giacchè tale circostanza, per assumere rilevanza sul piano della causa concreta, avrebbe dovuto essere oggetto di condivisione tra i contraenti. La Corte di appello ha però negato che ciò sia accaduto.

La deduzione secondo cui la Corte distrettuale avrebbe mancato di considerare,che la Banca Popolare di Ancona acquistava strumenti finanziari solo per negoziarli coi propri clienti, e non per conservarli nel proprio patrimonio, risulta pertanto non decisiva, nella prospettiva appena indicata. Oltretutto, essa, oltre a involgere questioni di fatto che competeva al giudice del merito apprezzare, e che non sono deducibili in sede di legittimità, è argomentata sulla scorta di alcune deposizioni testimoniali che non vengono riprodotte e di cui non è nemmeno precisata la localizzazione all’interno del fascicolo di causa, giusta l’art. 366 c.p.c., n. 6: sicchè sul punto la censura è pure carente di autosufficienza.

3. – Col quinto motivo vengono denunciate la contraddittoria motivazione e la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1352 e 1372 c.c., nonchè dell’art. 29 reg. Consob n. 10943/1997 “in ordine alla forma convenzionale della disposizione di acquisto e alle dichiarazioni integrative”. Premesso che il contratto di negoziazione sottoscritto nel 1992 tra le odierne contendenti prevedeva, nel caso che l’operazione avesse ad oggetto strumenti finanziari non negoziati sui mercati regolamentati, che l’ordine di acquisto fosse formalizzato per iscritto e premesso, altresì, che, secondo quanto affermato dalla Corte di appello, la compravendita si era perfezionata a seguito di una semplice disposizione telefonica, l’istante censura la sentenza laddove aveva statuito che la pattuizione avente ad oggetto la forma scritta potesse essere modificata o caducata per fatti concludenti. Inoltre – è esposto – la compravendita degli strumenti finanziari era subordinata, in base alla circolare di offerta, oltre che all’ordine scritto, anche al rilascio, da parte dell’acquirente, di specifiche dichiarazioni formali in ordine alle proprie condizioni soggettive ed oggettive e alla conoscenza delle caratteristiche degli strumenti finanziari: dichiarazioni che avrebbero dovuto essere redatte per iscritto o, in caso di ordine telefonico, registrate su un nastro magnetico o su altro supporto equivalente ex art. 29 reg. Consob n. 10943/1997. L’assunto della Corte di merito, secondo cui questa disposizione non trovava applicazione in quanto l’acquirente era un operatore professionale contrastava, del resto, con la previsione di cui al D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 17, lett. b) e con l’art. 3, lett. e) cit. reg. Consob.

3.1. – Sul punto la sentenza non merita cassazione.

Quanto alla documentazione dell’ordine di acquisto, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio per cui il patto di adottare la forma scritta per un determinato atto può essere revocato anche tacitamente, mediante comportamenti incompatibili col suo mantenimento, in quanto nel sistema contrattuale vige la libertà della forma, per cui, al di fuori dei casi tassativi di forma legale, i contraenti sono liberi di eleggere una forma e poi rinunciarvi (Cass. 22 marzo 2012, n. 4541; in senso conforme, Cass. 22 agosto 2003, n. 12344).

Quanto alla violazione delle prescrizioni di forma previste dalla circolare di offerta dei titoli non risulta efficacemente censurato il rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, per cui la negoziazione dei titoli è anteriore alla pubblicazione, ad opera dell’emittente, del regolamento analitico che conteneva le disposizioni in parola.

L’esclusione dell’applicabilità alla fattispecie della disciplina speciale di cui all’art. 29 reg. Consob n. 10943/1997 trova infine fondamento nell’art. 8, comma 1 dello stesso regolamento, concernente le negoziazioni che interessano intermediari autorizzati e operatori qualificati.

4. – Il sesto mezzo lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 17 e degli artt. 3 e 8 reg. Consob n. 10943/1997, oltre che omessa e contraddittoria motivazione rispetto alla disciplina applicabile nei rapporti di correttezza, diligenza e buona fede; oppone, altresì, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1337, 1375 e 1376 c.c., in ordine alla violazione degli obblighi di correttezza, diligenza e buona fede, nonchè, infine, omessa pronuncia sugli effetti di tali violazioni. Assume la ricorrente che la Corte di Milano non aveva correttamente individuato il tema del decidere, in quanto non aveva richiesto al giudice del gravame di essere considerata alla stregua di un qualsiasi cliente, quanto, piuttosto, di valutare l’estensione dei doveri dell’intermediario professionale che vende un prodotto finanziario a un altro operatore professionale. In particolare, il giudice distrettuale aveva male interpretato la normativa regolamentare, dal momento che l’art. 8 reg. Consob cit., pur limitando l’operatività di parte degli obblighi comportamentali, allorquando gli interessati siano operatori professionali, non prevede che gli intermediari possano derogare agli obblighi generali di correttezza, trasparenza e buona fede previsti dal D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 17 e dall’art. 3 del regolamento. Aggiunge che la Corte di merito era incorsa in un ulteriore errore, omettendo di considerare che la trasmissione di informazioni incomplete da parte di Banca Banca Profilo (pag. 20 della sentenza) costituiva condotta che violava i principi di correttezza di buona fede, integrando, perciò, inadempimento. Asserisce, in buona sostanza, che la controparte aveva il dovere di assumere e di trasferire ad essa ricorrente tutte le informazioni conoscibili in ragione della sua condizione soggettiva e che, non avendolo fatto, doveva essere considerata responsabile della lesione dell’altrui libertà negoziale.

4.1. – Il motivo non è fondato.

Al di là delle affermazioni di principio contenute nella sentenza impugnata, la Corte di merito non ha escluso che la venditrice fosse tenuta all’adempimento di obblighi informativi nei confronti della controparte. E del resto nella sentenza (pag. 20) è ricordato come la Banca Popolare di Ancona fosse stata notiziata della peculiarità del titolo, destinato ad operatori professionali e caratterizzato, altresì, da un “taglio minimo” di Euro 100.000,00. Non può negarsi ragionevolezza all’assunto della Corte di merito, che ha ritenuto congrua detta informazione: nella specie, il giudizio di ragionevolezza poggia sia sul fatto che l’obbligo informativo va graduato in ragione della qualità dell’acquirente degli strumenti finanziari (nella specie, come ricordato dal giudice dell’impugnazione, un’impresa abilitata a operare sul mercato dell’intermediazione mobiliare: pagg. 18 s. della sentenza), sia sul rilievo per cui all’epoca Banca Profilo disponeva di informazioni sicuramente incomplete perchè non corroborate dalla presenza di una circolare di emissione (pagg. 20 s.).

5. – Col settimo motivo la sentenza viene censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., nonchè per omessa e contraddittoria motivazione con riferimento al concorso del debitore nel fatto colposo e con riferimento, altresì, alla graduazione della responsabilità. La ricorrente rileva come la Corte di appello avesse affermato, genericamente, che, anche ad ammettere una violazione dei doveri di informazione a carico della controricorrente con riguardo alla possibile esistenza di una selling restriction, ben più negligente risultava essere stata la condotta della Banca Popolare di Ancona, in quanto essa aveva frettolosamente alienato ai propri clienti gli strumenti finanziari in sede di grey market. Il giudice di appello aveva però – omesso di esaminare il contenuto dei singoli contratti di investimento e dei vari ordini di acquisto, sicchè non si era avveduto dell’integrale adempimento, da parte della ricorrente, degli obblighi che ad essa incombevano. Inoltre la Corte del merito aveva mancato di considerare che la circolazione nel grey market costituiva una normale prassi commerciale, sicchè nessuna responsabilità poteva imputarsi ad essa istante per avere alienato i titoli su tale circuito. La sentenza non era quindi conforme al diritto nella misura in cui aveva ritenuto, senza alcuna indagine circa i comportamenti posti in essere dalle parti, di attribuire la responsabilità dei danni derivanti dalla circolazione degli strumenti finanziari alla sola banca acquirente.

5.1. – Il motivo è inammissibile.

Il tema che ne costituisce oggetto integra una ratio decidendi aggiuntiva rispetto a quella basata sulla violazione degli obblighi di informazione (avendo la Corte basato le affermazioni che qui interessano su di una ipotetica, ma negata, inosservanza di tali obblighi da parte di Banca Profilo: pag. 20 della sentenza). Ebbene, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa. Il motivo, dunque, risulta inammissibile per difetto di interesse (per tutte: Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 24 maggio 2006, n. 12372).

6. – Il ricorso è dunque rigettato.

7. – Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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