Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12066 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 22/06/2020), n.12066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15528-2019 proposto da:

O.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO GILARDONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

contro

PROCURA GENERALE presso la CORTE di CASSAZIONE;

– intimata –

avverso il decreto n. R.G. 4148/2018 del TRIBUNALE di BRESCIA,

depositato il 04/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa MELONI

MARINA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Brescia sezione specializzata per la protezione internazionale, con decreto in data 4/4/2019, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale in ordine alle istanze avanzate da O.C. nato in NIGERIA il (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto perseguitato da una società segreta dei Black i quali volevano affiliarlo ed al suo rifiuto lo avevano picchiato e minacciato di morte tanto da fargli temere per la sua incolumità.

Avverso il decreto del Tribunale di Brescia ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente, affidato a due motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale, in materia di controversie di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dll’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5; art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dalla Direttiva n. 32 del 2013 art. 46, paragrafo 3 e dagli artt. 6 e 13Cedu, rispettivamente in riferimento all’eliminazione del doppio grado di merito ed al termine di impugnabilità del decreto solo in Cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado.

Il ricorrente solleva questioni di legittimità costituzionale sulle quali questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi in analogo giudizio, ritenendole irrilevanti e manifestamente infondate, con sentenza sez.1 n. 17717 del 27/6/2018 pienamente condivisa da questo Collegio e dalla quale non vi è motivo per discostarsi.

Nel merito con il primo e secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett.C), violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, in ordine al dovere di cooperazione istruttoria; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Brescia ha violato il dovere di cooperazione istruttoria escludendo così i presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria e non ha riconosciuto il diritto ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

I motivi di ricorso sono inammissibili in quanto si sostanziano in una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione del Tribunale, dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento. Tale richiesta di riesame non è evidentemente deducibile quale motivo di impugnazione in questa sede di legittimità, ancor più in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014).

In particolare, la sentenza impugnata ha ritenuto anzitutto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, esponendo chiaramente le plurime ragioni di tale convincimento; ha poi ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente, cioè Edo State e Lagos (zona di dimora abituale). A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a)che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr.tra molte: Cass.n. 340/19); b)che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr.tra molte: Cass.n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; c) che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha precisato come la zona del Sud della Nigeria non risulti dalle indicate fonti reperibili citate in sentenza interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Del tutto generica, infine, si mostra la doglianza avverso il diniego di protezione umanitaria: il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dalla Corte di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità, non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato non come fattore esclusivo bensì come presupposto della protezione umanitaria e come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa, alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13 convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con 29460/2019.

Il ricorso proposto deve pertanto essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese di giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore del controricorrente che si liquidano in complessivi Euro 2.100,00 oltre spese anticipate a debito. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte di Cassazione, il 29 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 22 giugno 2020

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