Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12063 del 31/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 31/05/2011), n.12063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TADRIS PATRIZIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.R., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato CAROZZA DOMENICO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 56/2007 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 08/05/2007 r.g.n. 113/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2011 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato TRIOLO VINCENZO per delega FABIANI GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Campobasso, confermando analoga decisione del Tribunale di Isernia, ha accolto la domanda proposta da G.R. nei confronti dell’INPS per ottenere l’accertamento del proprio diritto alle differenze di trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria, a suo dire corrisposta, nei vari periodi, in misura inferiore al dovuto, poichè l’Istituto previdenziale aveva liquidato gli importi mensili senza calcolare la tredicesima mensilità.

L’INPS, nel costituirsi, aveva eccepito la correttezza del proprio operato, avendo già corrisposto mensilmente alla ricorrente l’indennità integrativa nella misura prefissata dal massimale di legge. Ma la Corte di merito ha osservato che il criterio di calcolo adottato dall’Istituto, così come risultante dai prodotti conteggi, era errato, avendo l’INPS proceduto a ridurre la retribuzione nei limiti del massimale con riferimento ai mesi di calendario, mentre avrebbe dovuto sommare tutte le mensilità spettanti nell’anno (comprese la 13 e le altre mensilità aggiuntive) e poi dividere il risultato per dodici.

Per la cassazione di questa sentenza l’INPS propone ricorso fondato su un unico motivo. La lavoratrice resiste con controricorso.

Motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nell’unico motivo l’Inps denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 427 del 1980, art. unico, comma 2, come modificato del D.L. n. 299 del 1994, art. 1, comma 5, convertito in L. n. 451 del 1994 ed autenticamente interpretato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 6, convertito nella L. n. 326 del 2003. Sostiene che, a seguito dell’introduzione del massimale mensile, ai fini delle calcolo delle quote di integrazione salariale, è diventato necessario tenere conto della retribuzione globale, comprensiva delle mensilità aggiuntive, tra cui la tredicesima; con la conseguenza che quest’ultima è computabile solo se il massimale non sia già stato raggiunto (e attribuito) per effetto del computo della retribuzione base.

2. Il ricorso è fondato.

3. Il D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 6, nel testo di cui alla Legge di Conversione n. 326 del 2003, contiene la disposizione secondo cui “la L. n. 427 del 1980, art. unico, comma 2, e successive modificazioni si interpreta nel senso che, nel corso di un anno solare, il trattamento di integrazione salariale compete, nei limiti dei massimali ivi previsti, per un massimo di dodici mensilità, comprensive dei ratei di mensilità aggiuntive”. Tale disposizione ha precisato, con gli effetti anche retroattivi propri delle norme di interpretazione autentica, che i ratei delle mensilità aggiuntive e in particolare della tredicesima devono essere computati nella retribuzione di riferimento per il computo della integrazione salariale, ma nei limiti del massimale mensile. In altri termini, la norma avvalora l’interpretazione secondo cui la concreta incidenza della tredicesima mensilità nella determinazione della integrazione salariale può essere (in tutto o in parte) preclusa dal raggiungimento del massimale mensile di legge per effetto delle altre voci della retribuzione.

Come già chiarito da questa Corte in numerose altre analoghe fattispecie, l’intervento di interpretazione autentica del legislatore non fa che avvalorare il risultato ermeneutico già attingibile, in maniera chiara, dagli elementi testuali e sistematici della precedente normativa, regolatrice, ratione temporis, della fattispecie e costituita in parte dal testo originario dell’articolo unico della L. 13 agosto 1980, n. 427 e in parte dal testo del D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 1 convertito con modificazioni dalla L. 19 luglio 1994, n. 451.

E’ stato, infatti, affermato (vedi, in termini, tra tante, Cass. nn. 6962 e 8918 del 2009, nn. 8754 e 22760 del 2010) che “In tema di trattamento straordinario di cassa integrazione guadagni previsto dalla L. n. 427 del 1980, art. unico sia nel suo testo originario che in quello parzialmente modificato dal D.L. n. 299 del 1994, art. 1 (conv., con mod., nella L. n. 451 del 1994), ed anche a prescindere dalla norma d’interpretazione autentica di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 6, (conv. nella L. n. 326 del 2003), le mensilità aggiuntive e, in particolare, la tredicesima mensilità, sono computabili nella retribuzione costituente base di calcolo degli importi dell’integrazione salariale nell’ambito dei limiti massimi dell’importo mensile dell’integrazione fissati dal citato articolo unico, dovendosi escludere una diversa ed ulteriore incidenza delle mensilità aggiuntive sul trattamento di integrazione salariale; tale computabilità nei limiti precisati è coerente con l’esigenza di compensare la riduzione retributiva causata al lavoratore dipendente da sospensioni temporanee del rapporto di lavoro attraverso una prestazione previdenziale che si riferisca unitariamente a tutto il pregiudizio maturato nel periodo di riferimento, ferma la necessità che il trattamento straordinario sia calcolato su base settimanale e che il massimale sia rapportato all’integrazione dovuta per le ore non lavorate nel mese”.

4. Alla stregua del riferito principio di diritto, è da condividere l’impostazione della questione prospettata dall’INPS nel senso che, in tanto gli assicurati possono fondatamente lamentare il mancato computo della tredicesima, in quanto il massimale mensile non sia già stato raggiunto con il computo delle altre componenti della retribuzione.

5. Nella specie, secondo quanto viene riferito dall’Istituto previdenziale – senza che la circostanza sia stata adeguatamente contestata – la lavoratrice odierna resistente, aveva riconosciuto, nel ricorso introduttivo di primo grado, di aver percepito mensilmente il trattamento di integrazione salariale nella misura prefissata dal massimale di legge, limitandosi a lamentare che quest’ultimo era inferiore all’80% della retribuzione mensile comprensiva della quota relativa alla tredicesima mensilità spettante ogni anno.

6. Il ricorso deve quindi essere accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa è decisa direttamente da questa Corte nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, nel senso del rigetto della domanda della G..

7. La resistente è condannata, in favore dell’INPS, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. In considerazione dell’esito dei giudizi di merito le relative spese sono interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Condanna l’odierna resistente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 15,00 per esborsi e in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per onorari, con accessori di legge. Compensa integralmente tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011

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