Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12063 del 08/05/2019

Cassazione civile sez. I, 08/05/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 08/05/2019), n.12063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19642/2015 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Giuliani Nicoletta, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., e (OMISSIS) S.r.l.;

avverso la sentenza n. 54/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

pubblicata il 10/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2019 dal cons. Dott. AMATORE ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

MATTEIS STANISLAO, che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova – decidendo sul reclamo L. Fall., ex art. 18 presentato da S.r.l. (OMISSIS) in liquidazione avverso la sentenza di fallimento pronunciata dal Tribunale di La Spezia in data 19.12.2014 – ha confermato quest’ultima sentenza, rigettando il predetto reclamo.

La corte del merito ha ritenuto che sussistevano i presupposti per la dichiarazione di fallimento della menzionata società, evidenziando la correttezza del procedimento notificatorio degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare perchè conforme al disposto normativo di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3 che risulta applicabile anche alle società cancellate dal registro delle imprese.

2. La sentenza, pubblicata il 10.6.2015, è stata impugnata da S.r.l. (OMISSIS) in liquidazione con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

La curatela fallimentare ed il creditore istante intimati non hanno svolto difese.

Con ordinanza interlocutoria n. 25765/2016 la causa è stata rimessa alla trattazione in pubblica udienza.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 10 e art. 15, comma 3, in combinato disposto con gli artt. 137, 151, 160 codice di rito, e artt. 24 e 111 Cost. e con gli artt. 2495 e 2196 c.c. – si duole dell’illegittimità del procedimento notificatorio degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare che non avrebbe consentito al liquidatore di partecipare al giudizio.

Osserva la parte ricorrente che il procedimento notificatorio di cui al menzionato alla L. Fall., art. 15, comma 3 non risulta applicabile al caso delle società cessate perchè quest’ultime non hanno più per definizione l’indirizzo di posta elettronica e che, pertanto, l’unica forma idonea di notifica è quella diretta al legale rappresentate pro tempore, nella specie il liquidatore, nella sua qualità e presso il domicilio dichiarato e pubblicato nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 145 c.p.c.. Osserva, inoltre, la parte ricorrente che il tema della legittimazione processuale del liquidatore risulta strettamente connessa a quello della integrazione del contraddittorio con la necessità che la notificazione degli atti introduttivi deve essere avviata in modo idoneo a rendere conoscibile al liquidatore il giudizio prefallimentare.

2. Con un secondo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 156,160 e 161 sempre c.p.c..

3. Il ricorso è infondato.

3.1 I due motivi di censura possono essere esaminati congiuntamente.

Sul punto oggetto di discussione ritiene questo Collegio di dover fornire continuità applicativa al principio già espresso in precedenza da questa Corte e secondo il quale, in caso di società già cancellata dal registro delle imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere notificato, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 3, nel testo successivo alle modifiche apportate dal D.L. n. 179 del 2012, art. 17 conv. con modif. nella L. n. 221 del 2012, all’indirizzo di posta elettronica certificata della società cancellata in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero, nel caso in cui non risulti possibile – per qualsiasi ragione – la notifica a mezzo PEC, direttamente presso la sua sede risultante dal registro delle imprese ed, in ipotesi di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo in cui la medesima aveva la sede (così, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17946 del 13/09/2016; nello stesso senso anche: Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 25701 del 27/10/2017).

Occorre ricordare che il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 17 (convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221) ha modificato la L. Fall., art. 15, comma 3, valendo tale modifica per i ricorsi di fallimento depositati dopo il 31 dicembre 2013.

Ebbene, nel precedente regime normativo il ricorso di fallimento ed il pedissequo decreto di convocazione delle parti erano notificati a cura della parte più diligente, di norma il creditore (o i creditori istanti) o il pubblico ministero.

Ebbene, sulla scia della nota sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 1970, la giurisprudenza era pervenuta alla conclusione che l’obbligo del tribunale di disporre, prima di dichiarare il fallimento, la comparizione del debitore in camera di consiglio, per consentirgli l’esercizio del diritto di difesa, fosse derogabile, in relazione alle peculiari esigenze della procedura concorsuale in presenza di una situazione d’irreperibilità, solo se quest’ultima derivasse dal comportamento del debitore medesimo (così, anche Cass. 4 aprile 1986, n. 2341). Sul punto, la Consulta aveva opportunamente ritenuto non meritevoli di tutela “la fuga, la latitanza o comunque la condotta dilatoria, negligente, o, talvolta, fraudolenta del debitore”. Restava non sufficientemente chiarito, tuttavia, se alla convocazione del debitore dovesse procedere l’ufficio ovvero il creditore istante, e quali fossero i limiti certi delle indagini, cui occorreva procedere intorno al luogo dove il debitore si trovasse.

Ancora più recentemente la giurisprudenza di legittimità aveva precisato che il rispetto dell’obbligo del tribunale di disporre la previa comparizione del debitore in camera di consiglio, effettuando, a tal fine, ogni ricerca per provvedere alla notificazione dell’avviso di convocazione, andava assicurato compatibilmente con le esigenze di speditezza ed operatività cui deve essere improntato il procedimento concorsuale, con la conseguenza che il tribunale era esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità, ancorchè normalmente previste dal codice di rito, allorquando la situazione di oggettiva irreperibilità dell’imprenditore doveva imputarsi a sua stessa negligenza ed a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (Cass. 7 gennaio 2008, n. 32).

Ebbene, il testo della L. Fall., art. 15, prima della novella sopra menzionata, affidava alla certezza giuridica derivante dalla notificazione degli atti civili – nelle diverse modalità in cui essa può essere attuata – il compito di risolvere ogni problema relativo all’individuazione del soggetto onerato di notiziare il debitore del procedimento avviato nei suoi confronti ed alle ricerche da compiere, al fine di consentire al debitore di avere la legale conoscenza del fallimento e del decreto di fissazione dell’udienza.

Con l’entrata in vigore dal 1 gennaio 2014 del nuovo L. Fall., art. 15, comma 3, è cambiata radicalmente, con riferimento ai ricorsi per dichiarazione di fallimento presentati a partire da quella data, la disciplina relativa alla fissazione dell’udienza prefallimentare e alla notificazione del ricorso (e del conseguente decreto) all’impresa debitrice.

Venendo ora ad esaminare nel dettaglio la nuova normativa, va ricordato, in primo luogo, che l’udienza deve essere fissata dal presidente del tribunale o, come di regola accade, dal giudice delegato all’istruttoria, non oltre 45 giorni dopo il deposito del ricorso.

E’ poi previsto che alla notifica del ricorso e del decreto debba procedere la cancelleria mediante l’invio di copia, ovviamente in formato digitale, all’indirizzo di posta elettronica certificata (p.e.c.) del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. Peraltro, è previsto che l’esito di questo primo tentativo di notifica deve essere comunicato con modalità automatica all’indirizzo p.e.c. del ricorrente.

Nel caso in cui, poi, la notifica a mezzo Pec non risulti possibile, per qualunque ragione, è il ricorrente che deve provvedere al nuovo tentativo di notificazione, che può attuarsi secondo la disciplina speciale oggi introdotta con il nuovo L. Fall., art. 15, comma 3.

Inoltre, quando la notificazione presso la sede risultante dal registro delle imprese non è possibile, ossia quando l’impresa non è reperibile all’indirizzo della sede, l’ufficiale giudiziario esegue il deposito dell’atto alla casa comunale dello stesso comune ove ha indirizzo la sede dell’impresa e la notifica “si perfeziona nel momento del deposito stesso”.

E’ di tutta evidenza che lo scopo perseguito dal legislatore, con la introduzione di questa nuova disciplina, è quello di accelerare i tempi del procedimento per la dichiarazione di fallimento e di alleggerire, nel contempo, gli adempimenti posti a carico del creditore ovvero del pubblico ministero ricorrente.

Sul punto, giova ricordare, per una migliore comprensione della genesi dell’intervento legislativo in esame, che prima della riforma la frequenza del fenomeno della irreperibilità dell’impresa debitrice all’indirizzo della sede, seguita in molti casi dalla irreperibilità dello stesso legale rappresentante della società, aveva determinato, per la necessità di disporre più rinvii d’udienza, una eccessiva dilatazione dei tempi occorrenti per la pronuncia della sentenza di fallimento, con grave pregiudizio per i creditori, determinato, in primo luogo, dal consolidamento di atti revocabili, e ciò anche in considerazione del dimezzamento dei termini di irrevocabilità intervenuto con la riforma del 2006, con conseguente quasi integrale svuotamento dell’ambito di tutela legato all’esperimento della revocatoria fallimentare.

Pertanto, l’introduzione di un termine massimo per la fissazione dell’udienza e l’estrema semplificazione delle modalità della notificazione, incentrata come tale sulla notifica all’indirizzo p.e.c dell’impresa debitrice a cura della cancelleria, devono essere considerati come due interventi normativi sinergici ed efficaci, giacchè solo il varo di una disciplina speciale per la notificazione, nell’ambito del procedimento per la dichiarazione di fallimento, rende ragionevolmente possibile l’instaurazione del contraddittorio nei termini previsti dalla L. Fall., art. 15. Occorre precisare che il termine dei quarantacinque giorni, di cui sopra si è detto, deve essere considerato naturalmente un termine ordinatorio, non potendosi peraltro neppure ipotizzare, in linea generale, un termine previsto a pena di nullità ovvero inammissibilità, con riferimento al potere-dovere del giudice di provvedere in ordine alla domanda della parte sia tramite il provvedimento finale sia, a monte, tramite provvedimenti endoprocedimentali. Tuttavia, va evidenziato che il mancato rispetto del termine prescritto si porrebbe in stridente contrasto con la volontà legislativa di delineare un procedimento giurisdizionale volto alla celere definizione delle istanze dirette ad ottenere la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore insolvente.

Quanto al procedimento notificatorio, giova ricordare che il procedimento per la notificazione all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore vale per tutte le imprese iscritte nel registro delle imprese e dunque sia per le società, di capitali e di persone, sia per gli imprenditori individuali.

Ciò detto e venendo, più in particolare, ad esaminare la questione devoluta nel presente giudizio, occorre ricordare che, prima della modifica della L. Fall., art. 15, la giurisprudenza di questa Corte aveva ritenuto che la previsione della L. Fall., art. 10, per il quale una società cancellata dal registro delle imprese può essere dichiarata fallita entro l’anno dalla cancellazione, implica che il procedimento prefallimentare e le eventuali successive fasi impugnatorie continuano a svolgersi, per “fictio luris”, nei confronti della società estinta, non perdendo quest’ultima, in ambito concorsuale, la propria capacità processuale. Ne consegue che anche la giurisprudenza di questa Corte aveva precisato, nel vigore della precedente disciplina sopra ricordata, che pure il ricorso per la dichiarazione di fallimento poteva essere validamente notificato presso la sede della società cancellata, ai sensi dell’art. 145 c.p.c., comma 1, (Cass. 6 novembre 2013, n. 24968).

La nuova disciplina, applicabile a tutti procedimenti introdotti successivamente al 31 dicembre 2013, è stata esaminata dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 146 del 2016 e, in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost., il Giudice delle leggi ha puntualizzato che – a differenza della disposizione di cui all’evocato art. 145 c.p.c. (esclusivamente finalizzata all’esigenza di assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati ad alle connesse procedure) – il riformulato L. Fall., art. 15 si propone di “coniugare” quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore (collettivo) “con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale”. E, a tal fine appunto, prevede che “il tribunale è esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all’imprenditore medesimo”.

La specialità e la complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito), che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l’introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell’ambito della procedura fallimentare, segnano, dunque, l’innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 c.p.c. (così, sempre C. Cost. n. 146 del 2016, cit. supra).

Ha aggiunto la Corte costituzionale che il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità, da parte del debitore, dell’attivazione del procedimento fallimentare a suo carico, è adeguatamente garantito dalla norma denunciata, proprio in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca della società. Questa, infatti, ai fini della sua partecipazione al giudizio, viene notiziata prima presso il suo indirizzo di Pec, del quale è obbligata a dotarsi, D.L., 29 novembre 2008, n. 185, ex art. 16 ed è tenuta a mantenere attivo durante la vita dell’impresa. E dunque tutto ciò avviene, in forza di un sistema che presuppone il corretto operare della disciplina complessiva che regola le comunicazioni telematiche da parte dell’ufficio giudiziario e che, come tale, consente di giungere ad una conoscibilità effettiva dell’atto da notificare, in modo sostanzialmente equipollente a quella conseguibile con i meccanismi ordinari (ufficiale giudiziario e agente postale) (così, sempre C. Cost. n. 146 del 2016, cit. supra).

Solo a fronte della non utile attivazione di tale primo meccanismo, segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva: ossia, presso quell’indirizzo da comunicare obbligatoriamente, ai sensi dell’art. 2196 c.c., al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese, la cui funzione è proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicità legale, sì da rendere conoscibili – e perciò opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore – i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano.

Per cui, in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale, ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge (cfr. anche Cass. 8 febbraio 2011, n. 3062; Cass. 7 gennaio 2008, n. 32).

Orbene, nella ipotesi di società cancellata, occorre distinguere, per l’applicazione del novellato L. Fall., art. 15, comma 3, l’ipotesi di permanenza in funzione dell’indirizzo di posta elettronica certificata da quello in cui lo stesso è stato disattivato.

Se l’indirizzo p.e.c. è funzionante, ciò significa che esiste tuttora un soggetto abilitato a ricevere la posta inoltrata all’imprenditore, inclusa la convocazione inviata dalla cancelleria, giacendo peraltro su una presunzione ex lege anche la circostanza secondo cui la p.e.c. ricevuta dalla società debba intendersi conosciuta dal legale rappresentante. Del resto, già nel regime previgente, il decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare era notificato alla società – con fictio iuris di sua reviviscenza ai fini della declaratoria di fallimento – in persona del soggetto che era abilitato a rappresentarla, la cui legittimazione è ultrattiva ai fini del procedimento prefallimentare.

E’ evidente, invece, che la disattivazione della p.e.c. (la quale non consegue automaticamente alla cancellazione, occorrendo piuttosto un’attività di disabilitazione da parte del legale rappresentante) determina l’impossibilità di procedere alla comunicazione di cancelleria L. Fall., art. 15, comma 3, dovendosi in tale ipotesi innescare, dunque, la notificazione a cura del ricorrente.

Orbene, traendo spunto dall’ultima parte dell’art. 2495 c.c., comma 2, – secondo cui “La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società” – si può ritenere che la sede sociale non resti automaticamente e immediatamente “cancellata” a seguito dell’estinzione della società. In realtà, è lo stesso legislatore ad ammettere che una notificazione – diretta a soci o liquidatori (nella qualità di ex legali rappresentanti) e inviata dai creditori sociali – possa essere eseguita presso la sede della società sebbene questa risulti già estinta (“ferma restando l’estinzione della società”).

Ne discende che deve considerarsi come “ultrattiva” l’esistenza – per un anno – della sede sociale e, conseguentemente, reputarsi applicabili le nuove disposizioni della L. Fall., art. 15, comma 3, che prevedono in primis l’accesso personale alla sede e, in mancanza di soggetti abilitati a ricevere il plico (evento più che probabile), il “deposito presso la casa comunale” dove aveva sede l’ente.

Detto altrimenti, non si può far coincidere con la cessazione dell’impresa la cessazione della sede sociale, con l’ulteriore conseguenza che se non dovesse andare a buon fine la notifica tramite p.e.c., l’ufficiale giudiziario dovrà eseguire la notifica “di persona” presso la sede e, considerato che lì verosimilmente non vi troverà alcuna sede, potrà effettuare il deposito alla casa comunale.

Del resto, quanto sin qui affermato non si pone neanche in contrasto con quanto evidenziato in altro precedente arresto espresso da questa Corte (Cass. ord. n. 16864/2018; conf. anche Cass. ord. n. 28803/2018), posto che, nell’ipotesi di impossibilità di notificazione, a mezzo p.e.c., del ricorso e del pedissequo decreto di convocazione presso la sede di cui al registro delle imprese (come, avvenuto, nel caso di specie), le notificazioni “altenative” eseguite ai sensi degli artt. 139,140 e 141 c.p.c. al legale rappresentante dell’impresa fallenda devono considerarsi modalità meramente “facoltative” che, se utilizzate, non impediscono di ritenere perfezionata la notificazione, fermo restando che il deposito presso la casa comunale rimane la modalità tipizzata dal legislatore nella L. Fall., art. 15, comma 3 e, dunque, forma idonea a perfezionare il procedimento notificatorio in esame.

In definitiva, deve affermarsi che anche nel caso di società già cancellata dal registro delle imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 3, – nel testo novellato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 -, all’indirizzo di posta elettronica certificata della società cancellata in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero quando, per qualsiasi ragione, non risulti possibile la notifica a mezzo p.e.c, direttamente presso la sua sede risultante sempre dal registro delle imprese e, in caso di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo dove la medesima aveva la sede.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Nulla sulle spese stante la mancata costituzione degli intimati.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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