Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12060 del 08/05/2019

Cassazione civile sez. I, 08/05/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 08/05/2019), n.12060

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10080/2014 proposto da:

F & M S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Sistina n. 121, presso lo

studio dell’avvocato Bonotto Marcello, che la rappresenta e difende,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Darma Asset Management S.G.R. S.p.a. in Liquidazione Coatta

Amministrativa, in persona dei commissari liquidatori pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 51, presso

lo studio dell’avvocato Sordi Enrico, che la rappresenta e difende,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1708/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2019 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

MATTEIS STANISLAO, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine per il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Marcello Bonotto che ha chiesto

l’accoglimento;

udito, per la contro ricorrente, l’Avvocato Enrico Sordi che ha

chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La F & M s.p.a., affittuaria di un’azienda costituita da un complesso di beni mobili e immobili componenti l’autodromo di (OMISSIS), chiese che fosse accertata la non congruità del canone di affitto da corrispondere alla locatrice Darma Asset Managment SGR s.p.a., società di gestione del Fondo comune d’investimento immobiliare chiuso (OMISSIS), con condanna di questa a restituire le somme corrisposte a partire dal 1 gennaio 2007.

La SGR, nel frattempo posta in liquidazione coatta amministrativa, si oppose alla pretesa e chiese, in riconvenzione, la condanna dell’attrice per responsabilità processuale aggravata.

L’adito tribunale di Rovigo, sez. dist. di Adria, dichiarò improcedibili tutte le domande: quelle principali ai sensi degli art. 57 T.u.f. e art. 83 T.u.b., e quella riconvenzionale perchè solo conseguente all’eventuale decisione di merito.

La sentenza venne impugnata da entrambe le parti.

La corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 10-10-2013, non notificata, ha dichiarato le impugnazioni inammissibili, sul rilievo che il tribunale, per quanto impropriamente parlando di improcedibilità, aveva semplicemente rilevato la propria incompetenza funzionale a decidere sulle domande suddette; per cui, non essendovi stata pronuncia sul merito ma soltanto sulla competenza, la decisione avrebbe dovuto essere impugnata col regolamento necessario ai sensi dell’art. 42 c.p.c.

F & M s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo.

La Darma in liquidazione coatta amministrativa si è costituita resistendo e ha infine depositato una memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Con unico motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 42 c.p.c., assumendo di aver impugnato la sentenza di primo grado dinanzi alla corte d’appello anche ai fini del merito, secondo il disposto dell’art. 43 c.p.c., e che la statuizione del tribunale di improcedibilità della domanda aveva sopravanzato in linea logica qualunque profilo di competenza.

II. – L’impugnata sentenza, per la ragione che segue, va cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c.

III. – In base alle regole del T.u.f. (D.Lgs. n. 58 del 1998 e successive modificazioni) le imprese abilitate alla prestazione dei servizi di investimento (e tra queste le società di gestione del risparmio – SGR), ove insolventi, sono sottoposte a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento (art. 57).

In ordine agli effetti del provvedimento per i creditori si applica, sempre in base alla suddetta norma del T.u.f., l’art. 83T.u.b. (D.Lgs. n. 385 del 1993) in quanto compatibile.

Per quanto qui rileva, dalla data di insediamento degli organi liquidatori (e comunque dal sesto giorno lavorativo successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta) sono sospesi il pagamento delle passività di qualsiasi genere e le restituzioni di beni di terzi. Dal suddetto termine si producono gli effetti previsti dagli artt. 42, 44, 45 e 66, nonchè dalle disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV L. Fall. e, contro la società in liquidazione, non può essere promossa nè proseguita alcuna azione (salvo quanto disposto dagli art. 87, 88, 89 e art. 92, comma 3), nè, per qualsiasi titolo, può essere parimenti promosso o proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare.

Da tanto si desume che la sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa determina, secondo i casi, l’improponibilità, l’improcedibilità o l’innproseguibilità, per tutta la durata della procedura, delle azioni dirette a ottenere una condanna pecuniaria, benchè accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale (cfr. Cass. n. 11675-05; Cass. n. 15066-17).

IV. – Nel caso concreto emerge dalla sentenza, ed è confermato nel ricorso per il tramite della trascrizione delle conclusioni avanzate con l’appello incidentale, che la F & M s.p.a. aveva chiesto non soltanto l’accertamento della incongruità del canone di affitto d’azienda, ma anche, in consecuzione rispetto a tale accertamento, la condanna della SGR (“se ed in quanto gestore del Fondo (OMISSIS) al Estate (..)”) “alla restituzione (..) di tutte le somme dalla medesima corrisposte a titolo di canone di affitto d’azienda dal 1.1.2007 ed eccedenti la misura determinata in causa”.

E’ vero allora che, a fronte della corretta declaratoria di improcedibilità della domanda in sede ordinaria, fatta dal tribunale, la corte d’appello ha errato nell’affermare che la decisione dovevasi intendere come di incompetenza funzionale – errore grave ed evidente sol che si consideri che è da tempo pacifica la differenza che corre tra i due concetti, il primo dei quali non postula un profilo di ripartizione orizzontale degli affari tra uffici (proprio dell’istituto della competenza) ma una questione di rito, visto che l’accertamento dei crediti non può mai sottrarsi al principio inderogabile della par condicio che domina i procedimenti concorsuali. Ed è dunque altresì vero che la decisione di primo grado era da considerare in tal senso non mai soggetta a regolamento necessario di competenza, sebbene ad appello (cfr. ex aliis Cass. n. 10485-11, Cass. n. 21669-13), ove si fosse ritenuto (come in concreto la ricorrente aveva ritenuto) di contestarne il postulato ostativo all’esame dei profili sostanziali.

Non è men vero però che in effetti la domanda, per le ragioni sopra esposte, era improcedibile, poichè avanzata in sede ordinaria per ottenere, dopo l’accertamento strumentale circa la non congruità del canone, il riconoscimento di un credito restitutorio. In tal senso essa doveva esser svolta nel contesto della formazione dello stato passivo, secondo il regime della L. Fall., art. 208 e 209 ed eventualmente di quello speciale delle imprese soggette al T.u.b.

V. – La conseguenza è che non rileva la doglianza qui formulata dalla ricorrente e che il processo comunque non poteva esser proseguito.

Le spese seguono la soccombenza (sostanziale) della ricorrente medesima.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sul ricorso, cassa l’impugnata sentenza senza rinvio e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 6.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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