Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1206 del 18/01/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. II, 18/01/2017, (ud. 21/10/2016, dep.18/01/2017),  n. 1206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17117/2012 proposto da:

G.A., elettivamento domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268-A, presso lo studio dell’avvocato PIERO FRATTARELLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato RAFFAELE SIMONETTI;

– ricorrente –

contro

G.F., G.M., G.U.,

G.G., G.E., GE.GI., g.g.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1071/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato SIMONETTI Raffaele difensore della ricorrente che si

riporta agli atti depositati;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

g.g., G. ed Ar., figli di primo letto di Ge.An., deceduto il (OMISSIS), convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Frosinone, C.L., vedova del defunto, nonchè i suoi figli di secondo letto G.F., U., M. ed A., chiedendo che fosse dichiarata aperta la successione e che fossero divisi gli immobili in (OMISSIS) e valutata l’impresa di pompe funebri gestita da Ge.An. e dai convenuti dopo la morte del padre, con il rendiconto degli utili di azienda, dei frutti percepiti e del denaro ricevuto.

I convenuti, costituitisi, non si opposero alla divisione, ma domandarono che fossero riuniti alla massa un negozio di mq 85, in possesso di G.G., compresi i relativi frutti percepiti, l’appezzamento di terreno ed il fabbricato in possesso di Ge.Ar., le somme di denaro elargite al figlio g. ed il debito contratto dal defunto di cui al D.M. Tesoro n. 28236.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 3689/02, rigettò l’impugnazione avanzata avverso la sentenza non definitiva del Tribunale di Frosinone, n. 253/97, con la quale era stata dichiarata aperta la successione e accertata la consistenza della massa ereditaria e rimessa la causa sul ruolo per l’aggiornamento del valore dei beni indicati dal CTU risalenti all’anno 1987.

Contro tale ultima sentenza non consta proposizione di ricorso per cassazione.

Il Tribunale di Frosinone, disposta CTU, con sentenza definitiva n. 736/2003, attribuì alle parti le quote ereditarie corrispondenti ai lotti formati dal consulente e dispose il pagamento dei conguagli, i prelevamenti dalla massa ed il rimborso delle rendite percette.

G.G. ed A. proponevano due distinti appelli, i quali erano riuniti.

Nell’ambito del primo giudizio di appello, si costituivano G.M., U. e F., mentre restavano contumaci le altre parti.

Nel secondo giudizio di appello si costituivano G.M. ed U. e rimanevano contumaci le altre parti.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 1071/2012, in parziale riforma della decisione impugnata ai punti 2 e 3 del dispositivo, ordinava il pagamento di conguagli in favore della massa e dichiarava il diritto a determinati prelevamenti a titolo di conguaglio.

Avverso la indicata sentenza della Corte di Appello di Roma propone ricorso per cassazione G.A. sulla base di due motivi.

G.F., M., Ulderico,.Giuseppina,.Elena,. G. e g. non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed il secondo motivo, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta connessione, la ricorrente denuncia l’omessa motivazione in ordine al punto decisivo della controversia concernente la richiesta di assegnazione del locale uso negozio, dalla medesima ricorrente posseduto e l’inesatta determinazione dei presupposti giuridici e di computo dell’operazione di calcolo delle rendite percepite, della determinazione delle quote di diritto e del loro inserimento nella massa ereditaria.

La ricorrente si duole della circostanza che la Corte territoriale non le aveva assegnato il locale censito in catasto al mapp. (OMISSIS), nonostante vi fosse prova del di lei possesso esclusivo, alla luce della circostanza che erano state calcolate le rendite correlate a tale possesso.

Inoltre, la ricorrente contesta il fatto che la Corte di Appello di Roma aveva ritenuto di non dovere ricalcolare l’importo delle rendite percepite, nonostante nella massa fossero state considerate anche le rendite derivanti dalla quota di 1/3 in proprietà esclusiva della C.. A ciò dovevasi aggiungere che il bene posseduto in esclusiva dalla ricorrente non si apparteneva per intero al de cuius, con la conseguenza che la rendita non avrebbe potuto essere attribuita alla massa in misura maggiore della quota di proprietà del predetto. Nè, la mancanza di chiarezza sul punto da parte della CTU poteva perciò stesso rendere la stessa attendibile, siccome, invece, aveva ritenuto la Corte di merito.

Il ricorso è privo di giuridico fondamento.

Quanto al primo motivo basti osservare che la G. non allega che la Corte di Roma abbia omesso di esporre il motivo di censura oggi proposto. Anzi, dal narrato del ricorso, nel quale si riportano le conclusioni di primo e secondo grado, non emerge affatto che sul punto la parte abbia esposto rituale motivo d’appello. Di conseguenza, la doglianza risulta inammissibile, in quanto prospettata per la prima volta in questa sede.

Quanto al secondo motivo va osservato quanto segue.

Come reiteratamente affermato in questa sede, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, prima dell’ulteriore modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”), il quale implica che la motivazione della “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presentasse tale da determinarne la logica insostenibilità (cfr., Sez. 3, n. 17037 del 20/8/2015, Rv, 636317). Con l’ulteriore corollario che il controllo di legittimità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Con la conseguenza che risulta del tutto estranea all’àmbito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. Sez. 6, ord. n. 5024 del 28/3/2012, Rv. 622001). Da qui la necessità che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle risultanze probatorie (mediante la loro sintetica, ma esauriente esposizione e, all’occorrenza integrale trascrizione nel ricorso) evidenziando, in relazione a tale contenuto, il vizio omissivo o logico nel quale sia incorso il giudice del merito e la diversa soluzione cui, in difetto di esso, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa (cfr. Sez. 5, n. 1170 del 23/1/2004, Rv. 569607).

Da qui appare evidente che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo. Parimenti, il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. 2, n. 3615 del 13/04/1999, Rv. 525271). Con l’ulteriore implicazione che il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non può essere riferito a parametri valutativi esterni, quale il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio Sez. 1, n. 1605 del 14/02/2000, Rv. 533802). Peraltro, osservandosi che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, resta integrato solo ove consti la carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo; mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico-giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere proprio della sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. L., n. 8629 del 24/06/2000, Rv. 538004; Sez. 1, n. 2830 del 27/02/2001, Rv. 544226).

Si è condivisamente ulteriormente precisato, così da scolpire nitidamente l’ambito di legittimità, che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Sez. L, n. 2272 del 02/02/2007,Rv. 594690). Proprio per ciò non è ammesso perseguire con il motivo di ricorso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, finalità sicuramente estranea alla natura e allo scopo del giudizio di cassazione. Infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., fra le tante, Sez. L., n. 9233 del 20/4/2006, Rv. 588486 e n. 15355 del 9/8/2004, Rv. 575318).

La spiegazione alternativa proposta con il ricorso, fronteggiante una insanabile contraddittorietà della motivazione, deve essere tale da apparire l’unica plausibile e la deduzione di un vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì il solo potere di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 20322 del 20/10/2005, Rv. 584541; Sez. L., n. 15489 dell’11/7/2007, Rv. 598729). Lo scrutinio di merito resta, in definitiva, incensurabile, salvo l’opzione al di fuori del senso comune (Sez. L., n. 3547 del 15/4/1994, Rv. 486201); la stessa omissione non può che concernere snodi essenziali del percorso argomentativo adottato (cfr., Sez. 2, n. 7476 del 4/6/2001, Rv. 547190; Sez. 1, n. 2067 del 25/2/1998, Rv. 513033; Sez. 5, n. 9133 del 676/2012, Rv. 622945, Sez. U., n. 13045 del 27/12/1997, Rv. 511208).

Quanto poi all’apporto di sapere proveniente dalla CTU va ribadito che se, per un verso, il giudice del merito, ove dia mostra di aver conosciuto e apprezzato le conclusioni del consulente, non è tenuto a fornire alcuna ulteriore motivazione, è altrettanto evidente che il ricorrente non può limitarsi a dissentire dalle predette conclusioni in sede di legittimità, ricadendo su di lui l’onere di puntualmente controdedurre, riportando i singoli passaggi della relazione e le specifiche ragioni poste a suo tempo in contrapposizione. In altri termini, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei varì passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità. La parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (cfr., Sez. 1, n. 11482 del 03/06/2016,Rv. 639844; Sez. 1, n. 16368 del 17/07/2014, Rv. 632050; Sez. 1, n. 3224 del 12/02/2014, Rv. 630385).

Alla luce di quanto sopra appare evidente l’infondatezza della censura, la quale si pone in termini dubbiosi (non è in grado di affermare che il CTU abbia effettuato i computi della rendita sull’intero, invece che sulla quota dei 2/3 caduta in successione) ed è priva di autosufficienza.

Nulla va disposto in ordine alle spese di causa, non avendo le controparti svolto difese.

PQM

Rigetta il ricorso.

Si dà atto che il processo è stato scrutinato con la collaborazione dell’assistente di studio Dott. C.D..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA