Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12059 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 16/05/2017, (ud. 30/01/2017, dep.16/05/2017),  n. 12059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24199/2012 proposto da:

Poste Italiane S.p.a., (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale

Europa n. 175, presso la Direzione Affari Legali di Poste Italiane

S.p.a., rappresentata e difesa dall’avvocato Improta Fabiola, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA CR FIRENZE S.P.A., già Cassa di Risparmio di Firenze, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Cicerone n.28, presso l’avvocato Barontini

Antonella, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Gigliò Giovanni, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1166/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 19/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/01/2017 dal cons. DI MARZIO MAURO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato A. URSINO, con delega verbale,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato G. GIGLIOLI che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO

Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Poste Italiane S.p.A. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Livorno la Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A. e ne ha chiesto condanna al pagamento dell’importo di 10 milioni di Lire.

A fondamento della domanda la società attrice ha riferito che un proprio cliente aveva chiesto ed ottenuto l’emissione di un vaglia telegrafico per tale somma a fronte della consegna di un assegno circolare del medesimo importo emesso dalla banca convenuta, assegno che quest’ultima non aveva pagato assumendo che esso fosse stato sottratto in bianco, senza tuttavia che risultassero adottare le cautele necessarie ad evitare la circolazione del titolo.

2. – Nel contraddittorio con la Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A. il Tribunale adito ha rigettato la domanda e regolato le spese di lite.

3. – La sentenza è stata impugnata in via principale dalla Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A., la quale ha lamentato l’esiguità della liquidazione delle spese di lite, ed in via incidentale da Poste Italiane S.p.A., la quale ha nuovamente chiesto affermarsi la responsabilità della controparte per inosservanza delle regole dell’ordinaria diligenza nella custodia dei titoli in bianco.

La Corte d’appello di Firenze, per quanto rileva, ha rigettato l’impugnazione incidentale osservando:

-) che Poste Italiane S.p.A. aveva proposto una domanda fondata su un titolo extracontrattuale, con la conseguenza che l’onere della prova dei fatti costitutivi della domanda medesima incombevano su essa attrice;

-) che, per converso, solo in comparsa conclusionale in appello l’originaria attrice aveva inammissibilmente mutato la qualificazione della responsabilità della convenuta in responsabilità contrattuale;

-) che le uniche cautele doverose esigibili dalla Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A. concernevano la pubblicizzazione dell’evento al fine di mettere gli interessati in condizione di prevenire l’impiego dei titoli trafugati;

-) che nel caso di specie la Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A. aveva comprovato di aver presentato tempestiva denuncia con l’indicazione dei numeri di serie dei moduli di assegni trafugati, ivi compreso quello oggetto di causa, segnalando altresì l’evento all’ICCRI, che aveva provveduto al fermo dei titoli e alle necessarie misure cautelative di pubblicità, tanto che l’evento era stato comunicato all’interno del circuito operativo di Poste italiane S.p.A.;

-) che quest’ultima circostanza era comprovata dalla testimonianza del teste M., vice direttore dell’ufficio postale di (OMISSIS) all’epoca dei fatti, nulla rilevando che egli avesse riferito di non aver rivenuto l’assegno in discorso fra quelli segnalati come sottratti, ben potendosi addebitare detta circostanza ad un difetto informativo addebitabile a Poste Italiane S.p.A. ovvero ad una inadeguata verifica da parte dello stesso teste;

-) che, d’altro canto, era censurabile il comportamento tenuto dal personale dell’ufficio postale che aveva accettato la consegna di un titolo di rilevante importo da persona non conosciuta senza effettuare preventivamente gli opportuni controlli presso l’istituto di credito apparentemente emittente.

4. – Per la cassazione della sentenza Poste Italiane S.p.A. ha proposto ricorso per quattro motivi.

La Banca CR Firenze S.p.A., già Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A., ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene quattro motivi.

1.1. – Il primo motivo è rubricato: “art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2727 c.c. in relazione alle prove testimoniali acquisite”.

Sostiene la società ricorrente che la Corte d’appello avrebbe violato le norme indicate in rubrica, non avendo posto a fondamento della propria decisione le prove testimoniali e documentali offerte dalle parti, ma avendo ritenuto provato in via presuntiva circostanze in realtà non suffragate da alcun riscontro probatorio.

1.2. – Il secondo motivo è rubricato: “art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, più segnatamente dell’art. 113 c.p.c. con riferimento al potere del giudice di applicare le norme di diritto a prescindere dalla qualificazione dei fatti ed alla prospettazione giuridica offerta dalle parti”.

Il motivo si appunta contro il passaggio della motivazione del Tribunale concernente l’inammissibilità della modificazione del titolo di responsabilità posto a fondamento della domanda da extracontrattuale a contrattuale.

1.3. – Il terzo motivo è rubricato: “art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, più segnatamente del R.D. n. 1736 del 1933, art. 34, dell’art. 1716 c.c., degli artt. 1218 e 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c. con riferimento all’errata qualificazione giuridica della responsabilità della Cassa di Risparmio di Firenze e conseguentemente del mancato riconoscimento della negligenza di questa nella custodia degli assegni e della diversa ripartizione dell’onere probatorio”.

Secondo la ricorrente la responsabilità della banca convenuta avrebbe natura contrattuale.

1.4. – Il quarto motivo è rubricato: “art. 360, n. 3 per violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, più segnatamente del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, art. 86 degli artt. 2697, 292 e 189 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. con riferimento alla affermazione circa la mancata diligenza di poste italiane S.p.A. nella negoziazione dell’assegno di cui trattasi”.

La doglianza è volta ad attaccare l’ultima parte della motivazione addotta dalla Corte d’appello, concernente la responsabilità di Poste Italiane S.p.A. nell’aver accettato il pagamento mediante assegno circolare consegnato da uno sconosciuto in un orario in cui non era possibile verificare la bontà del titolo.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – E’ inammissibile il primo motivo.

La società ricorrente ha denunciato la violazione di legge riguardante in particolare la norma generale concernente il riparto dell’onere probatorio, art. 2697 c.c., nonchè il principio della disponibilità delle prove.

Orbene, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge descrivono e rispecchiano i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, ossia: a) il momento concernente la ricerca e l’interpretazione della norma regolatrice del caso concreto; b) il momento concernente l’applicazione della norma stessa al caso concreto, una volta correttamente individuata ed interpretata.

In relazione al primo momento, il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata; con riferimento al secondo momento, il vizio di falsa applicazione di legge consiste, alternativamente: 1) nel sussumere la fattispecie concreta entro una norma non pertinente, perchè, pur rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro; 2) nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (Cass. n. 18782/2005).

Dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. S.U. n. 10313/2006; Cass. n. 7394/2010; Cass. n. 16698/2010; Cass., n. 8315/2013; Cass. n. 26110/2015; Cass. n. 195/2016).

In particolare, poi, la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, mentre la censura che investe la valutazione può essere fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo articolo 360 (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).

D’altro canto, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).

Al contrario, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 2 agosto 2016, n. 16056).

Tanto premesso, è del tutto evidente che la doglianza in esame non ha nulla a che vedere con il denunciato vizio di violazione di legge, dal momento che la società ricorrente, con l’invocare la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., altro non ha fatto che rimettere in discussione il ragionamento seguito dal giudice di merito nel valutare il materiale probatorio acquisito agli atti.

La Corte d’appello, infatti, dopo aver rammentato il principio secondo cui è responsabile in via extracontrattuale il traente al quale siano stati illegittimamente sottratti moduli di assegni circolari in bianco, per l’irregolare circolazione degli assegni stessi, fraudolentemente compilati, qualora non abbia dato al fatto pubblicità idonea ad evitare danni a terzi (Cass. 7 giugno 2000, n. 7698, concernente assegni ICCRI, negoziati dall’Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni; v. pure Cass. 18 febbraio 2000, n. 1859), ha osservato che, nel caso esaminato, la banca aveva dato adeguata pubblicità alla sottrazione dei titoli, ivi compreso quello oggetto del contendere, mentre non poteva attribuirsi alcun rilievo alla dichiarazione del teste M., vice direttore dell’ufficio postale di Livorno all’epoca dei fatti, secondo cui egli non aveva rivenuto l’assegno in discorso fra quelli segnalati come sottratti, ben potendosi addebitare detta circostanza ad un difetto informativo addebitabile a Poste Italiane S.p.A. ovvero ad una inadeguata verifica da parte dello stesso M..

Si tratta di motivazione plausibile ed insindacabile da questa Corte anche sotto il profilo del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non potendo la Corte di cassazione procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, nè porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito (Cass. n. 91/2014; Cass. n. 5024/2012).

2.2. – Anche il secondo ed il terzo motivo, che per il loro collegamento possono essere simultaneamente esaminati, attenendo entrambi alla configurazione della responsabilità della banca, sono inammissibili.

Si è già visto infatti che la ricostruzione di detta responsabilità in termini extracontrattuali è conforme ai già indicati precedenti di questa Corte: ma, al di là di quanto precede, è assorbente, per il rilievo dell’inammissibilità della doglianza, l’osservazione che la Corte territoriale, lungi dal risolvere la controversia sulla base dell’applicazione del principio dell’onere della prova, e cioè dal decidere in una situazione di incertezza giuridica facendo ricadere le conseguenze di essa sulla parte onerata, ha accertato in concreto che nessuna responsabilità poteva essere addebitata alla banca, per avere essa osservato lo standard di diligenza esigibile dando adeguata pubblicità, pervenuta nella sfera di Poste Italiane S.p.A., della sottrazione del titolo.

Va da sè che la ricostruzione della responsabilità in termini contrattuali anzichè extracontrattuali sarebbe comunque irrilevante per i fini del ribaltamento della decisione impugnata.

2.3. – Il quarto motivo è inammissibile.

Ed infatti il segmento motivazionale concernente la responsabilità di Poste Italiane S.p.A., per aver accettato l’assegno circolare da uno sconosciuto, è chiaramente spiegato ad abundantiam, sicchè la ricorrente è in proposito carente di interesse (Cass. 22 ottobre 2014, n. 22380).

3. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 2.900,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 30 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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