Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12058 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 16/05/2017, (ud. 25/01/2017, dep.16/05/2017),  n. 12058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24973/2012 proposto da:

Comune di Quinzano d’Oglio, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via Appia Nuova n. 96, presso

l’avvocato PAOLO ROLFO, rappresentato e difeso dall’avvocato

DOMENICO BEZZI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.R.;

– intimato –

e contro

G.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via del Collegio

Capranica n. 4, presso l’avvocato Visentini Gustavo, rappresentato e

difeso dall’avvocato Balestrieri Stefano, giusta procura a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Comune di Quinzano d’Oglio;

– intimato –

avverso la sentenza n. 729/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 08/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2017 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Rolfo Paolo che si riporta agli

atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità

dell’incidentale, rigetto del principale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La Corte d’appello di Brescia, con sentenza 8 giugno 2012, giudicando sull’opposizione di G.R. alla stima delle indennità di occupazione ed espropriazione di un terreno edificabile in Comune di Quinzano d’Oglio, le ha determinate in Euro 2.192,38 e Euro 315.703,00, oltre interessi legali.

La Corte ha stimato il bene in base al valore di mercato, tenendo conto della sopravvenuta illegittimità costituzionale del previgente criterio riduttivo di cui al D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis conv. in L. 8 agosto 1992, n. 359; ha ritenuto inapplicabile la riduzione dell’indennità, in relazione all’importo dichiarato ai fini Ici; ha applicato la riduzione del 25 per cento prevista dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, lett. a), per gli interventi di riforma economico-sociale.

2.- Avverso questa sentenza il Comune di Quinzano d’Oglio ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; il G. ha resistito ed ha proposto un ricorso incidentale affidato a un motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il Comune di Quinzano d’Oglio ha denunciato, con il primo motivo del ricorso principale, violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 e vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata fatto applicazione del criterio del valore di mercato, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007, senza però considerare che la stima operata dalla commissione provinciale, da un lato, aveva fatto corretta applicazione della normativa allora vigente, trattandosi di un rapporto ormai esaurito, e, dall’altro, era stata infondatamente criticata dal G..

1.1.- Il motivo è infondato.

E’ noto che, a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, comma 7 bis, non è più possibile applicare il criterio riduttivo di calcolo dell’indennità di esproprio rispetto a quello del valore venale del bene ablato, di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis conv. in L. n. 359 del 1992, a meno che il rapporto non sia esaurito in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia di incostituzionalità, alla luce dell’art. 136 Cost. e L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 3 (v., tra le tante, Cass. n. 10379/2012). E, contrariamente a quanto sostenuto nel motivo, certamente non può dirsi esaurito il rapporto concernente la determinazione dell’indennità per effetto della stima operata dall’organo amministrativo, quando questa sia stata impugnata in sede giurisdizionale, come nella specie.

2.- Il secondo motivo, con cui il ricorrente principale ha denunciato vizio di motivazione, per avere la Corte di merito acriticamente recepito la stima operata dal c.t.u., è inammissibile, essendo volto ad indurre questa Corte ad una impropria revisione del giudizio di fatto, razionalmente compiuto dal giudice di merito, al quale si contrappone una diversa opinione soggettiva della parte ricorrente.

3.- Con il terzo motivo il Comune di Quinzano d’Oglio ha denunciato la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 per non avere la sentenza impugnata applicato la riduzione dell’indennità di esproprio prevista dalla legge nel caso di dichiarazione infedele ai fini Ici.

3.1.- Il motivo è infondato, essendo l’invocata riduzione prevista da norme dichiarate incostituzionali (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1, e del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 7, v. Corte cost. n. 338 del 2011), come precisato nella sentenza impugnata.

4.- Venendo al ricorso incidentale, con un unico motivo, il G. ha denunciato violazione di legge, per avere la Corte di merito, non solo, erroneamente ridotto l’indennità in misura del 25 per cento, considerando l’esproprio finalizzato all’attuazione di interventi di riforma economico-sociale (D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1) come sostituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89), ma anche omesso di applicare l’aumento del 10 per cento, previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, come modificato dalla citata disposizione della L. n. 244 del 2007, in un caso in cui, come nella specie, l’accordo di cessione non era stato concluso per essere stata offerta all’espropriato un’indennità provvisoria che, attualizzata, risultava inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, essendogli stata offerta, nel maggio 2006, la modesta indennità di Euro 65.319,75, attualizzata a Euro 70.500,00.

Il motivo è fondato in entrambi i profili in cui è articolato.

4.1.- La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, ove il procedimento sia adottato per realizzare un piano di zona per l’edilizia economica e popolare, come nella specie, non sussiste il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica la riduzione del 25 per cento del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, dovendo esso riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (v. Cass. n. 1621/2016 e, in senso analogo, Cass. n. 2774/2012, nel caso di attuazione di programmi di edilizia convenzionata).

La sentenza impugnata ha quindi errato a ridurre l’indennità del 25%.

4.2.- La seconda doglianza riguarda l’aumento del 10 per cento, previsto dalla legge nel caso in cui l’indennità offerta dall’amministrazione all’espropriato sia stata inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva.

4.2.1.- Il PG ha eccepito l’inammissibilità della predetta doglianza, perchè riguardante un questione nuova, non trattata nel giudizio di merito.

L’eccezione è infondata. L’aumento del 10 per cento dell’indennità dev’essere applicato dalla Corte d’appello in via automatica, allorchè emerga dagli atti la presenza di uno dei presupposti previsti dalla norma, come nel caso in cui l’amministrazione abbia offerto un’indennità che, attualizzata, risulti inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, in tal modo impedendo, per una valutazione legale di tipo presuntivo, la conclusione dell’accordo di cessione.

Una conferma di quest’orientamento si desume dall’interpretazione del previgente testo del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 il quale faceva dipendere dalla mancata cessione bonaria, non imputabile all’espropriato, l’abbuono della decurtazione del 40 per cento prevista nel regime precedente, anzichè la maggiorazione del 10 per cento. Questa Corte ebbe modo di precisare che il potere del giudice di non operare l’abbattimento del 40 per cento (quando la mancata accettazione dell’indennità fosse dipesa da un’offerta amministrativa rilevatasi irrisoria o strumentale) rientrava nella corretta quantificazione del dovuto e, quindi, nell’ambito della determinazione dell’indennità in conseguenza di atti di natura espropriativa o ablatoria (Cass., sez. un., n. 15201/2006).

La questione dell’applicabilità dell’aumento appartiene, quindi, al thema decidendum della causa, in tema di opposizione alla stima o di determinazione giudiziale dell’indennità di esproprio, sicchè l’errore in cui sia incorso il giudice di merito per avere omesso di applicare l’aumento è censurabile in Cassazione.

4.2.2.- Ci si deve chiedere se l’aumento del 10 per cento sia consentito soltanto nel caso in cui sia contestualmente applicata la riduzione del 25 per cento, in presenza di interventi di riforma economico-sociale, o anche nel caso in cui la predetta riduzione non si applichi e l’indennità sia riconosciuta al valore venale del bene, a norma del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, come sostituito dalla L. n. 244 del 2007, artt. 2, comma 89, e della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39.

Il Collegio ritiene che sia da accogliere la seconda soluzione.

L’aumento dell’indennità in misura del 10 per cento, infatti, è previsto in casi tassativi che prescindono del tutto dall’operatività della riduzione del 25 per cento. Nè una diversa opinione potrebbe dirsi giustificata per la semplice collocazione della disposizione sull’aumento del 10 per cento in un comma (il 2) del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 che segue quello (il 1) riguardante la riduzione dell’indennità per l’attuazione degli interventi di riforma economico-sociale.

Si deve quindi ritenere che l’aumento dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili o edificate, nella misura del 10 per cento, trovi applicazione indipendentemente dalla riduzione dell’indennità prevista per i casi in cui l’espropriazione sia finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale.

4.2.3.- Ci si deve anche chiedere se all’applicazione dell’aumento del 10 per cento dell’indennità sia di ostacolo la possibilità che all’espropriato sia riconosciuta una indennità di esproprio superiore al valore di mercato, cui essa è ragguagliata nel vigente contesto normativo.

Una risalente decisione della Corte costituzionale (n. 1022/1988) escluse, incidentalmente, l’ipotizzabilità di una maggiorazione che conduca l’indennizzo a superare il valore venale, per la mancanza di un interesse costituzionalmente rilevante del proprietario, che non potrebbe pretendere dall’espropriante un prezzo maggiore del valore di scambio del bene in una vendita tra privati. Questo argomento è stato ripreso da una sentenza di questa Corte (n. 24652/2016) che, escludendo l’aumento del 50 per cento previsto dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 12 (come modificato dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, dall’art. 14, comma 1), ha inteso rafforzare la ratio decidendi fondata sulla illegittimità costituzionale dell’art. 16 citata Legge del 1971, richiamato dall’art. 12 ai fini della determinazione dell’indennizzo (Corte cost. n. 5 del 1980).

Il Collegio non condivide quest’orientamento.

L’aumento dell’indennità in misura del 10 per cento, previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, (testo vigente), è una misura chiaramente rivolta ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo in via consensuale (mediante la conclusione dell’accordo di cessione) ed a stimolare, nell’ottica del buon andamento dell’attività amministrativa (art. 97 Cost., comma 2), comportamenti virtuosi delle pubbliche amministrazioni, le quali hanno la possibilità di evitare di pagare l’indennità maggiorata semplicemente offrendo, in via provvisoria, una somma non inferiore agli otto decimi del valore venale del bene ablato, in modo da favorire l’accettazione da parte dell’espropriato e disincentivare il ricorso alla via giudiziaria.

Nei casi in cui non sia possibile concludere l’accordo (per fatto non imputabile al proprietario e) perchè l’amministrazione abbia offerto un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulti inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva (dal giudice), la maggiorazione svolge una funzione compensativa (o perequativa, secondo Cass. n. 499/2014) per l’ingiustificata attesa, imposta al proprietario, della conclusione del procedimento espropriativo che deve concludersi con il pagamento del giusto indennizzo “in tempo utile” (art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), coerentemente con la giurisprudenza della Corte Edu (v., tra le tante, sent. 1 aprile 2008, Grande Camera, Gigli Costruzioni c. Italia; 21 febbraio 1997, Guillemin c. Francia).

La possibilità che, applicando la maggiorazione del 10 per cento, sia superato il tetto del valore di mercato nella quantificazione dell’indennizzo, è un’ipotesi che il legislatore non ha inteso evitare (e, quindi, ha implicitamente consentito) quando, a seguito delle sentenze della Corte cost. n. 348 e 349 del 2007, è intervenuto sul D.P.R. del 2001, art. 37, commi 1 e 2, codificando il criterio del valore venale e prevedendo la maggiorazione dell’indennità in misura del 10 per cento.

Questa possibilità, inoltre, è stata ammessa in caso di attribuzione all’affittuario coltivatore diretto del fondo espropriato, L. n. 865 del 1971, ex art. 17 di un’indennità aggiuntiva ed autonoma rispetto all’indennità di espropriazione, non potendo escludersi che l’espropriante possa andare incontro ad esborsi – preventivamente valutabili – complessivamente superiori al valore di mercato del bene ablato, senza che ciò costituisca violazione dell’art. 42 Cost. (Cass. n. 11464/2016).

E neppure si può trascurare l’argomento (già utilizzato da Corte cost. n. 348/2007, p. 5.7, quando ha dichiarato illegittimo il previgente criterio riduttivo) secondo cui l’indennità effettiva sulla quale deve applicarsi la maggiorazione del 10 per cento, seppure ancorata al valore di mercato, subisce la falcidia dell’imposizione fiscale, incidendo negativamente sull’obiettivo dell’indifferenza economica che il procedimento espropriativo dovrebbe perseguire per gli espropriati.

5.- In conclusione, rigettato il ricorso principale ed accolto l’incidentale, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, per un nuovo esame.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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