Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12055 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. III, 06/05/2021, (ud. 25/03/2021, dep. 06/05/2021), n.12055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6672/2019 proposto da

F.D., nella qualità di amministratore di sostegno di

F.A., anche quale erede di V.G., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA OTTAVIANO 91, presso lo studio degli

avvocati GABRIELE D’OTTAVIO e GIUSEPPE D’OTTAVIO, che lo

rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA ASL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MARATONA

187, presso lo studio dell’avvocato SABINA COLLETTI, rappresentata e

difesa dall’avvocato DARIO VLADIMITO GAMBA;

– controricorrente –

nonchè nei confronti di:

– intimati –

avverso l’ordinanza, comunicata il 13/12/2018, della CORTE DI APPELLO

DI TORINO e la sentenza n. 28/2017, depositata il 12/07/2017, del

TRIBUNALE di TORINO;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2021 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FABIO FEDERICO per delega;

udito l’Avvocato SABINA COLLETTI per delega.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione del luglio 2013, V.G., in proprio e in qualità di amministratore di sostegno della moglie F.A., convenne, dinanzi al Tribunale di Pinerolo (poi accorpato al Tribunale di Torino), l’Asl (OMISSIS), perchè fosse condannata al risarcimento dei danni conseguenti all’intervento chirurgico al quale, in seguito ad incidente domestico, venne sottoposto il coniuge in data 21 marzo 2005, derivandone – a causa di arresto cardiaco occorso durante l’interventó medico – uno stato vegetativo permanente della medesima F. indotto da gravissima ipossia cerebrale.

In particolare, il V. dedusse la responsabilità dei medici dipendenti della struttura sanitaria per aver omesso di recepire il consenso informato della paziente in merito al tipo di anestesia subaracnoidea prescelto, adottando, invero, scelte anestesiologiche imperite ed errate, nonchè per aver gestito intempestivamente l’arresto cardiaco sofferto; donde, la svolta pretesa di risarcimento dei danni, biologico e patrimoniale, sofferti dalla F., nonchè di tutti i danni patiti iure proprio da esso attore.

1.1. – Si costituì in giudizio l’Asl (OMISSIS), la quale – richiamandosi alla sentenza &assoluzione, con formula “perchè il fatto non sussiste”, degli anestesisti dall’imputazione di lesioni gravissime in danno ai F.A. – chiese il rigetto delle domande attoree.

1.2. – Deceduto V.G. nelle more del giudizio di primo grado, si costituirono F.D., fratello della defunta, in qualità di nuovo amministratore di sostegno, e V.D. e C., in qualità di eredi dell’originario attore.

1.3.- Con sentenza resa pubblica il 12 luglio 2017, il Tribunale di Torino rigettò le domande di risarcimento danni proposte con l’atto di citazione.

13.1. – In particolare, il giudice adito escluse la responsabilità della AsI (OMISSIS) in “mancanza… di una relazione causale tra condotte attive e/o omissive dei medici della struttura ospedaliera convenuta e l’evento “arresto cardiaco” che si pone all’origine della gravissima condizione di invalidità della signora F.A.”, osservando – in forza delle, complessive acquisizioni probatorie (c.t.u. collegiale, disposta a seguito delle osservazioni del c.tp. attrice sull’elaborato della c.t.u. Dott.ssa V.; risultanze peritali del giudizio penale svoltosi a carico dei medici; sentenza penale pronunciata in quel giudizio) – che:

a) la “possibile causa dell’arresto cardiaco” andava rinvenuta (sulla scorta dell’accertamento tecnico reso, nel giudizio civile, – dal c.t.u. V.) “nell’innesco vagale in miocardio a funzionalità ridotta clinicamente silente, in soggetto con obesità definibili di I grado”;

b) la c.t.u. collegiale, “richiamando quanto sopra” (ossia le conclusioni del c.t.u. V.), evidenziava altresì che, “sebbene non siano emersi elementi circostanziali rilevanti una precisa patologia clinica preesistente, è peraltro altrettanto rinvenibile nella vicenda un rischio cardiologico rappresentato dall’obesità della paziente ed il possibile impatto coronarico di tale fattore; e che la condizione in cui si trova attualmente la paziente ben può essere stata provocata da una tempesta neurovegetativa periarresto”;

c) gli accertamenti peritali svolti nel giudizio penale dovevano conto che la “inaspettata ed improvvisa bradicardizzazione seguita nell’arco di 1-2 minuti dall’arresto cardiaco è da rinvenirsi nell’esaltazione dell’attività vagale, correlata all’anestesia subaracnoidea e che ha provocato una transitoria riduzione del ritorno venoso al cuore”, quale evento “verificatosi nonostante che nel caso in esame fosse stato correttamente seguito il previsto trattamento preventivo di infusione di liquidi e l’impiego di farmaci simpatico mimetici”;

d) sempre la perizia penale assumeva, inoltre, che “lo stato di coma vegetativo non è incompatibile con una durata dell’arresto circolatorio breve”, dovendosi individuare la causa delle gravissime conseguenze a carico della F. (stato di coma vegetativo). nella “tempesta metabolica che si scatena dopo l’ischemia e durante la fase di riperfusione propria dell’encefalopatia post-anossica che può portare alla “morte cerebrale””;

e) “la vicenda clinica che ha visto un così infausto esito per la signora F. (era quindi) da annoverare in quel ridotto numero (2,6 su 10.000) di tragici eventi cardiaci imponderabili, non del tutto spiegabili e non prevedibili che la letteratura medica annovera quale possibile rischio connesso ad anestesia subaracnoidea”.

2. – F.D., nella qualità di amministratore di sostegno di F.A., V.D. e V.C. interponevano appello avverso la sentenza del Tribunale, deducendo omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento della lesione del consenso informato, nonchè, con plurimi motivi, omessa, contraddittoria e illogica motivazione in punto di adesione agli esiti degli accertamenti tecnici resi nel giudizio civile e penale.

2.1. – Con ordinanza comunicata in data 13 dicembre 2018, l’adita Corte d’Appello di Tonno dichiarava gravame inammissibile ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., per non avere ragionevole probabilità di essere accolto.

2.1.1. – Per quanto rileva ancora in, questa sede, la Corte riteneva, anzitutto, infondata la doglianza di omesso esame della domanda di risarcimento del danno da lesione del consenso informato, Sulla scorta del rilievo per cui, sebbene “nella parte narrativa dell’atto in citazione in primo grado è fatto riferimento all’asserita omissione da parte dei sanitari di una corretta informativa su tutti i possibili rischi dell’anestesia”, i danni dei quali era stato domandato il risarcimento “sono quelli specificamente descritti al paragrafo IV (Il risarcimento dei danni) del medesimo atto introduttivo, fra i quali non compare il danno – che è autonomo – da violazione del consenso informato”.

Inoltre, il giudice di appello reputava non concludente “l’osservazione per cui “il paziente avrebbe optato di non sottoporsi a quel trattamento sanitario, piuttosto che rimanere in stato vegetativo””, giacchè, essendo detto trattamento quello dell’anestesia, non si poteva “neppure ipotizzare l’esecuzione di un intervento chirurgico in sua assenza” e avendo i consulenti tecnici d’ufficio convenuto sul fatto che la scelta di praticare l’anestesia spinale era quella che presentava il “minor rischio”.

2.1.2. – La Corte territoriale, infine, riteneva infondate le censure dell’appellante in punto di adesione acritica della sentenza di primo grado alle risultanze tecniche, nonchè di illogicità, contraddittorietà e incompletezza della motivazione posta a fondamento della medesima. 3. – Per la cassazione dell’ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c., della Corte d’Appello di Torino e della sentenza del Tribunale della medesima Città, ricorre F.D., in qualità di amministratore di sostegno di F.A., con ricorso affidato a nove motivi. Resiste con controricorso l’Asl T03., Non hanno svolto attività difensiva in questa sede le intimate V.D. e V.C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Impugnazione avverso l’ordinanza di inammissibilità della Corte di Appello di Torino.

1. – Con il primo mezzo, articolato sotto tre profili di censura, è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4: a) violazione degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., per nullità dell’ordinanza di inammissibilità avendo il secondo giudice dichiarato infondata, in sede di delibazione sommaria ex art. 348 bis c.p.c., la doglianza di omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento danni da lesione del

consenso informato; b) violazione dell’art. 111 Cost., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per aver la Corte territoriale, con motivazione apparente e comunque illogicità, ritenuto infondata la domanda risarcitoria da lesione del consenso informato poichè “non proposta”, omettendo di individuare la causa petendi dell’inadempimento preteso in capo alla struttura sanitaria, evincibile dagli atti di parte del giudizio di primo grado, ossia, per l’appunto, “la mancata corretta informazione della paziente”; c) violazione degli artt. 32 e 13 Cost., nonchè della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 33, per aver la Corte d’Appello contravvenuto al principio di previa acquisizione di consenso informato, affermando che l’anestesia spinale “è in ogni caso l’opzione anestesiologica che presenta il minor rischio (rischio che non può essere comunque pari a zero, di talchè l’unico modo per evitarlo sarebbe non sottoporsi mai ad alcun intervento chirurgico)”.

1.1. – Il motivo e inammissibile in tutta la sua articolazione.

1.1.1. – va rammentato che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c., è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso (Cass., S.U., 2 febbraio 2016, n. 1914).

I vizi denunciabili non possono riguardare, quindi, il “merito della controversia, ma sono quelli “integranti ipotesi in cui, non essendo l’errore del giudice d’appello deducibile come motivo di impugnazione del provvedimento di primo grado, manca, la possibilità di rimettere in discussione la tutela che compete alla situazione giuridica dedotta nel processo attraverso il ricorso per cassazione avverso la pronuncia di primo grado” (così la citata Cass., S.U., n. 1914/2016). Nella specie, l’attuale ricorrente aveva dedotto, in grado di appello, il vizio di omessa pronuncia del primo giudice sulla domanda di risarcimento danni per violazione del consenso informato e la Corte territoriale ha ritenuto infondato tale motivo di gravame in quanto la “domanda non può ritenersi proposta”. In questa sede, quindi, con le censure in esame è denunciato un vizio (avere, il giudice di appello erroneamente ritenuto, con ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., che la domanda anzidetta, non fosse stata proposta dalla parte attrice, in ciò risolvendosi anche la doglianza che lamenta essere l’ordinanza stessa motivata in modo solo apparente e/o illogico; profilo di doglianza, questo, che, in ogni caso, non coglie affatto nel segno, giacchè la motivazione del giudice di, appello – cfr. sintesi nei “Fatti di causa” – e rispettosa del c.d. “minimo costituzionale” che si impone ai sensi dell’art. 111 Cost.) che non può inquadrarsi tra quelli propri a carattere processuale dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c.”, investendo la complessiva infondatezza nel “merito” dell’impugnazione contro la sentenza di primo grado, in base alla prognosi di non avere “ragionevole probabilità di essere accolta” neppure sotto lo specifico profilo dedotto, ossia l’omessa prontmcia in violazione dell’art. 112 c.p.c., Del resto, trattasi di vizio che si assume commesso dal primo giudice, rispetto al quale la decisione di appello si e limitata a delibarne la sussistenza, sicchè il ricorrente avrebbe potuto (o meglio, dovuto) dedurlo in questa, sede come motivo di impugnazione della sentenza del Tribunale e questa Corte, ove ritualmente veicolato come error in procedendo, lo avrebbe dovuto esaminare, anche con accesso diretto agli atti del giudizio di merito. Peraltro, quanto alla censura sub c), deve ulteriormente rilevarsi che essa investe un’argomentazione (a confutazione di una “osservazione” di parte attrice: cfr. sintesi nei “Fatti di causa”) svolta solo ad abundantiam o, comunque, costituente un obiter dictum senza influenza sul dispositivo della decisione, non potendo essa integrare un’autonoma ratio decidendi, essendosi la ragione della decisione esaurita in quella di non fondatezza della censura di gravame per mancata proposizione in primo grado della domanda risarcitoria per violazione del consenso informato.

Impugnazione avverso la sentenza di rigetto del Tribunale di Torino.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 111 Cost., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, “per omessa motivazione”, per aver il giudice di primo grado, nell’individuazione della causa dell’arresto cardiaco, acriticamente aderito alle conclusioni peritati, identificative di un rischio cardiologico dovuto all’obesità della paziente e nel “possibile impatto coronarico di tale fattore”, nonchè al rilievo per cui “la condizione in cui si trova attualmente la paziente ben può esser stata provocata da una tempesta neurovegetativa”, là dove, sarebbe stata del tutto omessa “la portata e l’incidenza” delle trascritte, conclusioni dei consulenti tecnici di parte, la cui esatta percezione avrebbe determinato l’esclusione di nesso causale fra l’obesità e l’arresto cardiaco.

3.- Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1218,2697 e 2727 c.c., “per aver il tribunale aderito acriticamente alla ipotesi alternativa di rischio coronarico legato all’obesità in mancanza di specifici accertamenti diagnostici che l’azienda ospedaliera aveva l’obbligo di effettuare”, dovendosi dedurre che “l’impossibilità acclarata di individuare con certezza la causa – equivalendo la causa dubbia alla causa ignota – non può mandare assolta, la struttura ospedaliera, che non ha adempiuto ai propri doveri probatori, dovendo, anzi, tale omissione, valere come presunzione della condotta sanitaria inadempiente”.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 111 Cost., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per non avere il Tribunale reso motivazione sulle ragioni poste a fondamento dell’individuazione della causa dell’arresto cardiaco nella presunta “tempesta neurovegetativa”, in considerazione, oltretutto, della contraddittorietà evincibile dal confronto tra la C.T.U. collegiale (resa dalla Dott.ssa V. e dal Dott. M.), la quale aveva rinvenuto nella “tempesta neurovegetativa” causa dell’evento lesivo, e la prima C.T.U., svolta dalla sola dott.ssa V., la quale aveva, invero, precisato che: “un innesco (stimolo) vagale provoca un’Insufficienza acuta di pompa in un miocardio a funzionalità ridotta”, ossia “un effetto ipotensivo, che è un fenomeno diametralmente opposto alla tempesta nEurovegetativa”.

E’ altresì dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2700 c.c., per aver il Tribunale aderito a conclusioni peritali difformi dalle attestazioni racchiuse nella cartella clinica anestesiologica, la quale – non essendovi, nella medesima, riscontro di “manifestazioni cliniche della ipotetica tempesta neurovegetativa” -, deve esser privilegiata, in quanto documento fidefacente.

5. – Con il quinto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 111 Cost., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, “per manifesta illogicità della sentenza” là dove il Tribunale ha ricondotto causalmente l’arresto cardiaco al grave rischio coronarico legato all’obesità, negando, tuttavia, la responsabilità dei medici che hanno omesso di valutare l’incidenza, nel caso concreto, di un tale rischio.

6. – Con sesto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 111 Cost., e art. 132 c.p.c., n. 4, “per illogicità e contraddittorietà della motivazione”, là dove il Tribunale avrebbe, in adesione alla C.T.U. espletata in seno al giudizio civile, individuato la causa dell’arresto cardiaco nella tempesta neurovegetativa associata al rischio cardiologico, mentre, al contrario, in conformità alla C.T.U. resa nell’ambito del giudizio penale, avrebbe ravvisato la causa dell’arresto cardiaco nel fenomeno brachicardico, correlato all’anestesia subaracnoidea, i cui effetti, pqr quanto accertato in sede penale, sarebbero, tuttavia, stati contrastati dalla somministrazione del medicinale Effortil.

7. – Con il settimo mezzo e dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2700 c.c., per aver il Tribunale ritenuto che la somministrazione del medicinale Effortil non sarebbe stata interrotta, come invece attestato dal riprodotto documento fidefaciente, ossia da cartella clinica anestesiologica.

8. – Con l’ottavo mezzo e prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1218,2697,2727 e 2700 c.c., nonchè artt. 115 e 116 c.p.c., per non aver il Tribunale inferito, dalla “omessa annotazione delle attività poste in essere e dei tempi impiegati per contrastare l’arresto cardiaco”, la condotta di “inesatto adempimento dei sanitari nella esecuzione delle manovre di rianimazione”.

In particolare, a fondamento del motivo, il ricorrente richiama l’affermazione resa, con la prima C.T.U., dalla Dott.ssa V., per cui “mancano dati precisi riferibili all’episodio critico dell’arrestò”, talune estrapolate dichiarazioni dei periti penali relativi all’incompletezza della cartella clinica, nonchè il punto dell’accertamento di fatto compiuto con la sentenza penale, enunciativo del ritardo del medico preposto, di uno o due minuti, nella somministrazione di adrenalina.

9. – Con il nono mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 111 Cost., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, “per difetto di motivazione”, là dove il Tribunale ha ritenuto insussistente la responsabilità dei medici anestesisti sul rilievo del mero richiamo, per relationem, ad un apparato argomentativo fondato su elementi probatori inutilizzabili in sede civile, quali, fra gli altri, le testimonianze rese, nel giudizio penale, dall’equipe medica, e ciò, oltretutto, omettendo di considerare che il giudizio di responsabilità penale è governato, dal criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, e non dalla regola civilistica del “più probabile che non”.

10. – I motivi secondo, quarto (in parte), quinto, sesto e nono sono, tutti, in parte infondati e in parte inammissibili.

Con essi è denunciata violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (il quarto motivo, come detto, veicolando anche ulteriore doglianza) per omessa o insanabilmente contraddittoria motivazione, ossia per asserito vulnus del c.d. “minimo costituzionale” della motivazione, che è parametro della stessa soggetto al sindacato in sede di giudizio di legittimità.

In questi termini, infatti, secondo orientamento costante (tra le molte, Gess., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., S.U., 2 febbraio 2016, n. 1914), l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, in ciò. concretandosi la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; ipotesi, queste ultime, che sono da ravvisarsi allorquando, pur essendovi una motivazione in senso materiale e grafico, essa non contiene una effettiva esposizione delle ragioni poste a base della decisione e non si presta a rivelarne la ratio decidendi, essendo peraltro necessario che tale situazione risulti esclusivamente dal medesimo testo della sentenza, senza che sia necessario il raffronto con uno o più atti processuali.

La motivazione resa dal Tribunale (sintetizzata al p. 1.3.1., cui si rinvia integralmente; cfr. altresì pp. 8/12 della sentenza impugnata) – e che sorregge l’esito del convincimento cui è giunto il giudice di merito circa la “mancanza… di una relazione causale tra condotte attive e/o omissive dei medici della struttura ospedaliera convenuta e l’evento “arresto cardiaco” che si pone all’origine della gravissima condizione di invalidità (stato di coma vegetativo) – si sottrae alle critiche di parte ricorrente, giacchè essa si sviluppa più che adeguatamente e in modo intelligibile, rendendo affatto comprensibile l’iter logico-giuridico che ha, seguito il giudice del merito nella decisione, che risulta privo di insanabili aporie.

Aporie che, in base al testo stesso della sentenza, non si ravvisano neppure là dove si deduce che il giudice di primo grado: a) avrebbe ricondotto l’arresto cardiaco dapprima alla “tempesta neurovegetativa” e poi all'”innesco vagale” (quarto motivo); b) avrebbe attribuito detto arresto cardiaco al rischio coronarico legato all’obesità o della F. e, poi, negato la responsabilità dei medici che avrebbero omesso di valutare tale fattore (quinto motivo); c) avrebbe dato credito a due accertamenti tecnici – quello collegiale in sede civile e quello peritale in sede penale – tra loro contraddittori quanto alle cause dell’arresto cardiaco della paziente stessa (sesto motivo).

Quanto al profilo sub a), la censura non coglie affatto la ratio decidendi, poichè l’arresto cardiaco è evento ritenuto, dal giudice di merito (in base ai concordanti accertamenti tecnici espletati sia in sede civile, che in sede penale), in relazione causale non già con la “tempesta neurovegetativa” (che attiene alle conseguenze post ischemia), bensì con l’attività vagale del miocardio, correlata all’anestesia subaracnoidea, da cui la bradicardizzazione (“inaspettata e improvvisa”) e, quindi, il verificarsi dell’arresto del cuore.

Analogamente, quanto al profilo sub b), non rispondè all’accertamento di fatto che sorregge la decisione la asserita relazione eziologica tra rischio cardiologico derivante dall’obesità della F. e arresto cardiaco verificatosi a carico della medesima, essendo la ratio decidendi nel senso che quest’ultimo è dipeso (come detto) da attività vagale del miocardio (correlata all’anestesia subaracnoidea, da cui la bradicardizzazione (“inaspettata e improvvisa”) e, quindi, il verificarsi dell’arresto cardiaco), rimanendo solo quale o precondizione non causalmente dirimente lo stato di obesità (concretante un rischio cardiologico dalla solo “possibile” incidenza in soggetto senza patologie cardiache).

Quanto, infine, al profilo sub c), gli anzidetti rilievi, unitamente a quello per, cui parte ricorrente erra nuovamente nell’attribuire alla sentenza impugnata come ragione giustificativa dell’arresto cardiaco; desunta dalla c.t.u. espletata in sede civile, la “tempesta neurovegetativa associata al rischio cardiologico” – poichè detta tempesta il giudice di merito la assume come causa della “condizione in cui si trova attualmente la paziente” (ossia, di stato vegetativo permanente) e la colloca a valle dell’arrestò cardiaco (“periarresto) preceduto dal fenomeno ipotensivo bradicardico – danno contezza dell’inconsistenza delle doglianze, posto che ad analoghi esiti perviene la perizia espletata in sede penale, la quale rinviene la causa delle gravissime conseguenze patite dalla F. a seguito dell’arresto cardiaco nella “tempesta metabolica (o altrimenti definita, in sede di c.t.u., “nEurovegetativa”) che si scatena dopo l’ischemia”, con ciò non palesandosi alcuna intrinseca contraddizione nel ragionamento del Tribunale.

Per il resto, le censure (imperniate su acritiche adesioni, agli accertamenti tecnici e/o agli atti processuali anche del giudizio penale: segnatamente, ma non, solo, il seconda e il nono motivo) si muovono al di fuori del paradigma del vizio denunciabile ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, essendo le critiche orientate, piuttosto, ad evidenziare supposte insufficienze, illogicità e contraddittorietà” della motivazione, peraltro operando sovente un (inammissibile) raffronto con atti, e documenti processuali dai contenuti puntuali non rappresentati in sentenza, là dove, in ogni caso, il percorso argomentativo a sostegno della decisione rimane ben al di là del c.d. “minimo costituzionale”.

11. – Il terzo motivo e inammissibile.

Con esso non è colta la ratio decidendi della sentenza impugnata che – come già evidenziato – non solo non ha ravvisato l’eziologia dell’arresto cardiaco nel rischio coronarico legato all’obesità della paziente (come detto, concretante un rischio cardiologico dalla solo “possibile” incidenza in soggetto senza patologia cardiache), bensì nell’attività vagale del miocardio (correlata all’anestesia subaracnoidea), quale causa non affatto ignota nell’accertamento cui e giunto il giudice di merita, ma ha, altresì, escluso a carico della stessa F. l’esistenza di patologie cardiache.

Peraltro, la doglianza muove da una premessa erronea in diritto,,,giacchè – come da orientamento ormai consolidato (a partire da Cass., 26 luglio 2017, n. 18392; v. altresì, Cass., 15 febbraio 2018, n. 3704, Cass., 23 ottobre 2018, n. 26700, Cass., 11 novembre 2019, n. 28991) – in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e razione o l’omissione dei sanitari, secondo il criterio del “più probabile che non”, mentre, solo ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza; con la conseguenza che, ove la causa del danno stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.

12. – Il quarto motivo – sotto l’ulteriore profilo di censura che evoca la violazione dell’art. 2700 c.c. — è inammissibile, ancor prima che infondato.

La doglianza muove da un’erronea premessa, in contrasto con la ratio decidendi della sentenza impugnata, ossia – come già rilevato (cfr. segnatamente p. 10, che precede) – che la “tempesta neurovegetativa” sia la causa dell’arresto cardiaco della F., che, invece, è stata ravvisata dal giudice di merito nella attività vagale del miocardio e, quindi, nella bradicardizzazione che ne è conseguita. Inoltre, la medesima censura, pur evocandolo a sostegno, si pone in contrasto il principio di diritto sulla natura fidefacente, ex art. 2699 c.c. e ss., delle attestazioni contenute in una cartella clinica, (redatta da un’azienda ospedaliera pubblica o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico), giacchè detta natura è circoscritta alle sole trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, mentre non sono coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse (Cass., 20 novembre 2017, n. 27471; Cass., 20 novembre 2011, n. 25568). Valutazioni che parte ricorrente formula, invece, proprio in base ai dati tratti dalla cartella anestesiologica, peraltro venendo, in tal modo, a sollecitare (inammissibilmente) questa Corte a rivalutare le risultanze probatorie acquisite nel giudizio di merito.

13. – Il settimo motivo e inammissibile per ragioni analoghe a quelle appena evidenziate (sub p. 12). La doglianza solo in apparenza si muove nell’alveo della denuncia di error in iudicando, poichè sollecita questa Corte (in modo non consentito nel giudizio di legittimità) a rivalutare le emergenze probatorie in punto di adeguata condotta dei sanitari nel trattamento dei fenomeni ipotensivo e bradicardico a carico della paziente, assumendo erroneamente una violazione dell’art. 2700 c.c., giacchè, sulla scorta del dato della chiusura della flebo del medicinale Effortil alle ore 20,15 e dell’assenza di altre annotazioni al riguardo, propone una valutazione negativa sull’operato dei sanitari (che non avrebbero – proprio in ragione di quel dato – adeguatamente curato la F.), la quale non solo contrasta con quella fatta propria, dal giudice di merito sulla scorta del giudizio espresso dai periti in ordine ad un corretto “trattamento preventivo di infusione di liquidi e l’impiego di farmaci simpatico mimetici”, ma neppure la scalfisce con decisività.

14. – L’ottavo motivo è inammissibile. Con esso, al peri di quanto evidenziato in sede scrutinio di precedenti censure, si veicolano critiche orientate non già a far valere degli errores in iudicando, bensì insufficienze e incongruenze della motivazione della sentenza impugnata non più denunciabili in questa sede in forza del vigente (e applicabile ratione temporis) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, là dove, peraltro, la motivazione stessa (come già detto) e affatto rispettosa del c.d. “minimo costituzionale”.

Peraltro, le doglianze in iure non sono neppure armoniche rispetto ai principi di diritto sui quali intendono sorreggersi (e come già in precedenza evidenziato quanto alle già dedotte violazioni degli artt. 1218,2697,2727 e 2700 c.c.), dovendosi, altresì, aggiungere, in riferimento all’evocato vulnus degli artt. 115 e 116 c.p.c., che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione (Cass., 10 giugno 2016, n. 11892).

15. – Il ricorso va, dunque, rigettato e parte ricorrente condannata al pagamento, in favore della ASL controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti degli intimati Che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida “in Euro 5.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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