Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12053 del 13/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 13/06/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 13/06/2016), n.12053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9258/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO

DELLA VALLE 1, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE CANTELLI,

che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 258/30/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO del 02/12/2013, depositata il 21/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

CONTI;

udito l’Avvocato Salvatore Cantelli difensore del resistente, si

riporta agli scritti e insiste nell’inammissibilità del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la sentenza della CTR Lombardia indicata in epigrafe che ha annullato l’accertamento a carico di M. N..

Si è costituita la parte intimata con controricorso, eccependo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso, pure prospettando il giudicato interno su alcune statuizioni non impugnate dall’Ufficio.

Premesso che per costante giurisprudenza di questa Corte l’Avvocatura dello Stato non ha necessità di indicare apposita procura per la difesa in giudizio dell’Agenzia delle entrate – Cass. n. 14785/2011 –

e che il ricorso è ammissibile in tutte le sue articolazioni risultando le censure puntualmente e legittimamente prospettate, il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Come di recente chiarito dalle S.U. civili, secondo la giurisprudenza del Giudice delle leggi (v. C. cost. n. 18/2000) e di questa stessa Corte il giudizio tributario, seppur nella sua particolarità, non viola, per la caratteristica qui in esame, il principio c.d. della “parità delle armi”, cui da copertura costituzionale l’art. 111 Cost., giacchè, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, il potere di introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari”, compete non solo all’Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni abbia raccolto nel corso d’indagine amministrativa ma, altresì, con il medesimo valore probatorio, al contribuente –

Cass. S.U. n. 24823/2015. Peraltro, questa Corte è ferma nel ritenere che le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà non possono costituire, anche se rese da terzi, prove della verità del loro contenuto, bensì semplicemente indizi, valutabili in relazione agli altri elementi acquisiti (Cass. 27173/11 Cass. n. 11223/2014) non potendo costituire da sole il fondamento della decisione – nel contesto probatorio emergente dagli atti (Cass. n. 20028/2011; Cass. n. 21153 /2015; Cass. n. 18772/2014).

A tali principi si è pienamente attenuta la CTR correttamente evocando, a sostegno dell’utilizzo delle dichiarazioni di terzo, il principio del giusto processo che trova composita copertura nell’ordinamento interno, anche nel giudizio tributario, nel combinato disposto di cui all’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU. Nemmeno può sostenersi che la presunzione nascente dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 32, non possa essere superata da elementi presuntivi, essendosi questa Corte espressamente pronunziata in senso opposto a quello divisato dall’Agenzia – Cass. n. 25502 del 30/11/2011; Cass. n. 2781/2015.

Non può ancora sostenersi, diversamente da quanto ritenuto dalla parte ricorrente, che la CTR abbia fondato il proprio giudizio unicamente sulle dichiarazioni di terzi avendo piuttosto valorizzato, accanto agli atti di notorietà, ulteriori elementi indiziari rappresentati rispettivamente dalle giustificazioni mediante assegni circolari fornite con riguardo alle somme sul conto intestato ai genitori del contribuente – che la parte contribuente aveva documentato smentendo l’assunto dell’ufficio secondo il quale lo stesso riguardava un versamento in contanti (v. pag. 4, 8^ rigo sent.

impugnata – quanto all’importo di Euro 30.000 – ed ancora dall’estratto conto prodotto – quanto al prestito concesso ad un terzo.

Ciò che dimostra come l’utilizzazione degli atti di notorietà sia stata fatta ponderando il contenuto delle stesse con il materiale indiziario ulteriore considerato dalla CTR. Il secondo motivo di ricorso è invece inammissibile, non prospettando l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte, visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della parte ricorrente in euro di cui Euro 3.500,00 per compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali in misura pari al 15% dei compensi ed oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016

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