Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12053 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. III, 06/05/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 06/05/2021), n.12053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1918/2019 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliato in Roma, alla

Circonvallazione Trionfale, n. 34 presso lo studio dell’avvocato

Agostinucci Andrea Maria, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Provincia della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane, in

persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in

Roma, alla via Cosseria n. 5 presso lo studio dell’avvocato

Fronticelli Baldelli Giovanni, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

R.P., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Nomentana

n. 233 presso lo studio dell’avvocato Mele Paolo che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

Allianz S.p.a., S.I.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6704/2018 della CORTE d’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/10/2018;

udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del

18/12/2020, dal consigliere relatore Dott. Cristiano Valle, osserva

quanto segue.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I) F.A. e S.I., quali genitori di F.R., nato il (OMISSIS), convennero, con atto di citazione del 15/09/2014, dinanzi al Tribunale di Roma, la Provincia della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane dalla quale dipende la scuola denominata Istituto Villa Flaminia, in (OMISSIS), e R.P., insegnante di sostegno del figlio R. (in quanto affetto da deficit nell’eloquio), per ottenere il risarcimento dei danni per il comportamento violento della R. nel corso dell’anno scolastico (OMISSIS).

I.1) Il Tribunale di Roma, rigettata l’istanza di chiamata in causa dell’Allianz S.p.a., accolse la domanda risarcitoria e condannò la Provincia della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane e R.P., in solido, al pagamento della somma di Euro centomila, con condanna al pagamento delle spese di lite in favore, oltre che degli attori, anche dell’Allianz S.p.a. e a carico della R..

I.2) La Provincia della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane impugnò in appello la sentenza di prime cure e avverso la stessa proposero impugnazione incidentale R.P. e F.R., divenuto maggiorenne già nel corso del giudizio di primo grado, che chiese la riforma della pronuncia in quanto la somma riconosciutagli era inadeguata in relazione ai danni sofferti.

I.3) La Corte d’Appello, con sentenza n. 6704, del 23/10/2018, ha confermato la misura del risarcimento, ha rigettato l’appello incidentale di F.R., nonchè la domanda di condanna per lite temeraria pure formulata da questi e da S.I., con condanna della Provincia della Congregazione e della R. al pagamento delle spese di lite in favore dell’Allianz S.p.a. e con compensazione delle spese nei confronti di F.A. e F.R. e S.I..

I.4) Ricorre avverso la sentenza d’appello, con atto affidato a sei motivi, F.R..

I.5) Resistono, con separati controricorsi, R.P. e la Provincia della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane.

I.6) Il P.G. non ha depositato conclusioni.

I.7) Tutte le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

II) Il ricorso di F.R. censura come segue la sentenza d’appello.

II.1) Il primo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2059,2697 c.c., art. 185 c.p., art. 112 c.p.c. e artt. 2,3,13,31 e 32 Cost. per avere la Corte territoriale pronunciato sulla domanda dopo averla sussunta nell’art. 2043 c.c. e non nell’art. 2059 c.c., con conseguente diversa allocazione dell’onere probatorio. In particolare, il mezzo censura il mancato riconoscimento del danno cd. esistenziale, quale distinto e diverso dal danno biologico e dotato di propria autonomia.

II.2) Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. per non avere (i giudici di merito) conferito l’effettiva tutela che la norma in esame apporta al danneggiato; violazione degli artt. 1226,2727 e 2729 c.c. e degli artt. 2,3,13,31 e 32 Cost.. Il mezzo afferma che la Corte d’Appello ha errato nel non considerare che il danno morale ha comunque portata normativa più ampia di quella riconosciuta in prime cure, specie in considerazione degli elementi probatori addotti sin dalla fase processuale dinanzi al Tribunale. Il mezzo censura, quindi, la quantificazione del risarcimento operata dai giudici di merito e l’omesso corretto ragionamento presuntivo a tal fine da parte degli stessi.

II.3) Il terzo motivo deduce ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. per non avere (i giudici di merito) conferito l’effettiva tutela che le norme in esame apportano al danneggiato; dell’art. 1226 c.c. per erronea valutazione equitativa del danno; dell’art. 2697 c.c. per inversione dell’onere della prova rispetto alla norma regolatrice della fattispecie. Il mezzo censura l’omesso riconoscimento del risarcimento nella misura richiesta di ottocentomila Euro, affermando che i giudici di merito avevano sminuito la portata di quanto accaduto al minore disconoscendo capziosamente il giudicato penale.

II.4) Il quarto mezzo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1226,2059 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. per non avere (i giudici di merito) conferito rilievo alla effettiva tutela che le norme in esame apportano al danneggiato con specifico riguardo al criterio equitativo correlato alle peculiari condizioni sociali ed economiche in cui si trovava F.R. all’epoca dei fatti, anche in considerazione dell’ambiente familiare da cui proveniva. Il motivo deduce la mancata valutazione di tutte le conseguenze pregiudizievoli subite, da F.R., a causa della condotta dell’insegnante di sostegno R.P., in relazione alle prospettive vantaggiose derivanti all’alunno dal contesto familiare e sociale dal quale proveniva.

II.5) Il quinto mezzo afferma omesso esame degli elementi allegati per la corretta qualificazione del danno e relativa congrua quantificazione, integranti fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (vizio di omesso esame di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 con riferimento all’intera esistenza traumatica vissuta da F.R. dopo l’episodio della violenza commessa dalla R.).

II.6) Infine il sesto, e ultimo, motivo deduce violazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 24 Cost. per avere la Corte d’Appello di Roma proceduto ad una erronea compensazione delle spese sull’altrettanto erroneo presupposto di una reciproca soccombenza invero inesistente.

III.1) Il primo motivo non censura adeguatamente l’impianto motivazionale della sentenza d’appello e si appunta sul mancato riconoscimento del danno cd. esistenziale, omettendo, tuttavia, di considerare che alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità oramai dotato di sufficiente stabilità (Cass. n. 336 del 13/01/2016 Rv. 638611 – 01), la categoria del danno esistenziale in quanto tale non ha un’autonoma ragione di riconoscimento, rientrando essa nell’ampia (come meglio delineata dalla più recente giurisprudenza) categoria del danno derivante da lesioni di interessi della persona costituzionalmente rilevanti: “In tema di risarcimento del danno, non è ammissibile nel nostro ordinamento l’autonoma categoria del “danno esistenziale”, in quanto, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c., sicchè la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una non consentita duplicazione risarcitoria; ove, invece, si intendesse includere nella categoria i pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, la stessa sarebbe illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili alla stregua del menzionato articolo.”.

III.2) Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto tutti attinenti alla liquidazione del danno o al riconoscimento dei presupposti per accertarlo e liquidarlo. I motivi sono formulati in modo non adeguatamente specifico, in quanto rinviano genericamente agli atti delle fasi di merito, riportandone alcuni stralci, ma senza localizzarli con la dovuta indicazione nell’ambito dei fascicoli e laddove censurano il ragionamento probatorio della Corte di Appello lo fanno senza sufficiente apparato argomentativo.

In particolare, il secondo motivo non denuncia, come pretenderebbe, un cattivo uso della valutazione dei fatti da parte del giudice di merito (così come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte resa con riferimento all’art. 2729 c.c.: Cass. n. 9059 del 12/04/2018 Rv. 648589 – 01) ma si limita a contrapporre una propria (di parte ricorrente) valutazione di affermazioni di cui agli atti difensivi rispetto a quella che ne hanno offerto i giudici di merito, che hanno ritenuto che non fossero stati portati (e dimostrati) alla cognizione giudiziale episodi ulteriori di violenza oltre quello giudicato nel procedimento penale nei confronti della R.P..

Il terzo e il quarto motivo, laddove si appuntano sull’art. 2697 c.c. non considerano adeguatamente che, come ripetutamente affermato, un motivo che denunci la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura effettivamente e, dunque, dev’essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. (se si considera l’art. 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360 c.p.c., n. 5 oggi vigente si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma.

Inoltre, il quarto mezzo è improprio nel riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto perchè si configuri effettivamente un motivo denunciante la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario che venga denunciato, nell’attività argomentativa ed illustrativa del motivo, che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”. Ne segue che il motivo così dedotto è privo di fondamento per ciò solo. Con riferimento all’art. 116 c.p.c. deve, infine, ribadirsi che per dedurre la violazione del paradigma della norma è necessario considerare che, poichè esso prescrive come regola di valutazione delle prove quella del “prudente apprezzamento”, a meno che la legge non disponga altrimenti, la deduzione in sede di ricorso per cassazione è prospettabile solo se il giudice di merito valuta una determinata prova, ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suddetto, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma.

Il quarto motivo non rispetta alcuno dei detti presupposti.

Il mezzo si concentra, inoltre, su un’ipotetica mancata valutazione delle condizioni sociali e familiari di F.R., al fine di sollecitare la revisione del percorso motivazionale sull’art. 1226 c.c. , ossia sulla valutazione equitativa, ma tralascia del tutto di indicare dove e quando le questioni fossero state poste nelle fasi di merito (ed omette di specificare se vi siano elementi obiettivi, quali quelli eventualmente risultanti da consulenza medico-legali)) e risulta, quindi, quantomeno generico, se non apodittico.

In breve, e in conclusione, i detti tre motivi esprimono un mero dissenso sulla parte di motivazione della sentenza d’appello relativa alla misura del risarcimento di Euro centomila, e si discostano da detta cifra partendo dall’assunto che giusta misura sarebbe stata quelle di ottocentomila Euro, chiesta sin dal primo grado giudizio.

Il secondo, il terzo e il quarto mezzo sono, pertanto inammissibili.

III.3) Il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, investe la mancata disamina di fatti ma, oltre a non indicarli specificamente. non indica alcun fatto nuovo, rispetto a quelli oggetto di cognizione giudiziale in primo e secondo grado e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5.

III.4) Il sesto mezzo è sulla disposta compensazione delle spese.

Il mezzo è inammissibile: il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare (Cass. n. 26912 del 26/11/2020 Rv. 659925 – 01).

IV) Il ricorso deve, conclusivamente, essere dichiarato inammissibile.

V) Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in favore di ciascuna delle controparti costituite.

VI) Infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte Sez. U. n. 04315 20/02/2020) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 17 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. n. 05955 del 14/03/2014; tra le innumerevoli altre successive: Sez. U n. 24245 del 27/11/2015) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida per ognuna delle controparti in Euro 6.700,00, oltre Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione Terza civile, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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