Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12051 del 13/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 13/06/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 13/06/2016), n.12051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11829/2015 proposto da:

COMUNE DI CARBONERA, COMUNE DI MOGLIANO VENETO, e COMUNE DI SILEA, in

persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO TUROLLA giusta a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1651/6/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del VENETO depositata il 27/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

I Comuni di Carbonera, di Mogliano Veneto e di Silea, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, ricorrono nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che resiste con controricorso) per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, riformando la decisione di primo grado, ha ritenuto dovuta la tassa di concessione governativa per l’impiego di telefoni cellulari utilizzati in base ad abbonamenti con l’erogatore del servizio di telefonia mobile.

I Comuni prospettano nove motivi di ricorso.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. e di fissazione dell’adunanza della Corte in Camera di consiglio, ritualmente comunicate alle parti, i ricorrenti hanno depositato memoria.

La questione di diritto proposta dal ricorso è stata definita dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 9560/2014, ove si è affermato che, in tema di radiofonia mobile, l’abrogazione del D.P.R. 28 marzo 1973, n. 156, art. 318, ad opera del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 218, non ha fatto venire meno l’assoggettabilità dell’uso del “telefono cellulare” alla tassa governativa di cui all’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, in quanto la relativa previsione è riprodotta nel D.Lgs. n. 259 cit., art. 160.

Va, infatti, esclusa – come anche desumibile dalla norma interpretativa, introdotta con del D.L. 24 gennaio 2014, n. 4, art. 2, comma 4, conv. con modif. in L. 28 marzo 2014, n. 50, che ha inteso la nozione di stazioni radioelettriche come inclusiva del servizio radiomobile terrestre di comunicazione (“Per gli effetti dell’art. 21 della Tariffa annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, le disposizioni dell’art. 160 Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. 10 agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto art. 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”) – una differenziazione di regolamentazione tra “telefoni cellulari” e “radio-trasmittenti”, risultando entrambi soggetti, quanto alle condizioni di accesso, al D.Lgs. n. 259 cit. (attuativo, in particolare, della direttiva 2002/20/CE, cosiddetta direttiva autorizzazioni), e, quanto ai requisiti tecnici per la messa in commercio, al D.Lgs. 5 settembre 2001, n. 269 (attuativo della direttiva 1999/5/CE), sicchè il rinvio, di carattere non recettizio, operato dalla regola tariffaria deve intendersi riferito attualmente all’art. 160 della nuova normativa.

Il D.L. n. 4 del 2014, art. 2, comma 4, non ha portata innovativa e non interpretativa, come sostenuto dalla ricorrente.

Il legislatore si è in effetti limitato a rendere vincolante una delle opzioni ermeneutiche emerse nella giurisprudenza (C. Cost.

209/2010; Cass. 25522/2014).

Nè, in ogni caso, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, l’applicabilità di siffatta tassa si pone in contrasto con la disciplina comunitaria (la direttiva 2002/19/CE, relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime (cd. “direttiva accesso”); la direttiva 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (cd. “direttiva autorizzazioni”); la direttiva 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (cd. “direttiva quadro”); la direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (cd. “direttiva servizio universale”); la direttiva 2002/77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica; le prime tre di queste direttive sono state modificate dalla direttiva 2009/140/CE e tutte tali direttive sono state attuate nell’ordinamento giuridico italiano dal Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, poi modificato, in attuazione della citata direttiva 2009/140/CE, dal D.Lgs. n. 70 del 2012), attesa l’esplicita esclusione di ogni incompatibilità affermata dalla Corte di giustizia.

Secondo la Corte di Lussemburgo, il quadro normativo comunitario espresso dalle direttive suddette non osta ad una norma nazionale che preveda un tributo come la tassa di concessione governativa (Corte giust. 15.12.2010, in causa C-492/09; Corte giust. 27.6.2013, in causa C-71/12; Corte giust. 12.12.2013, in causa C-335/13).

Va ancora evidenziato che, in epoca successiva, la Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 17 settembre 2015, causa C-416/14 (e la ricorrente, proprio in relazione alla rimessione a detta Corte di questione pregiudiziale da parte di giudice di merito tributario, ha, nel presente ricorso, richiesto la sospensione del giudizio), ha ritenuto che la disciplina UE va interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale relativa all’applicazione di una tassa, quale la tassa di concessione governativa, in forza della quale l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, nel contesto di un contratto di abbonamento, è assoggettato a un’autorizzazione generale o a una licenza nonchè al pagamento di detta tassa, in quanto il contratto di abbonamento sostituisce di per sè la licenza o l’autorizzazione generale e, pertanto, non occorre alcun intervento dell’amministrazione al riguardo.

In particolare, con riferimento alla Direttiva 1999/5/CE, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazioni (volta a garantire la libera circolazione segnatamente delle apparecchiature terminali di telecomunicazione conformi a determinati requisiti essenziali definiti dalla direttiva medesima), ed al suo art. 8 (secondo il quale gli Stati membri non vietano, limitano o impediscono l’immissione sul mercato e la messa in servizio sul loro territorio di apparecchi recanti la marcatura CE), la Corte ha chiarito, sulla base di quanti emerso dagli atti e dalle stesse osservazioni delle parti ricorrenti (e salva diversa verifica ad opera del giudice nazionale), che la normative nazionale, che prevede l’applicazione della tassa sulle concessioni governative, non si pone in contrasto con il principio comunitario della libera circolazione delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, “non essendo richiesto alcun intervento, attività o controllo da parte dell’amministrazione”, valendo il contratto di abbonamento “di per se stesso” quale documento sostitutivo dell’autorizzazione generale e/o della licenza stazione radio ed incidendo la stessa tassa “non sulle apparecchiature terminali per servizio radiomobile terrestre, bensì sui contratti di abbonamento sottoscritti per l’uso di tali apparecchiature, senza alcuna interferenza con la vendita di dette apparecchiature terminali.

In tale contesto, è stato poi aggiunto, nella medesima pronuncia della Corte UE, che l’articolo 20 della direttiva 2002/22/CE (c.d.

Direttiva Reti, disciplinante la fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica agli utenti finali), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE, (e l’art. 8 della direttiva 1999/5/CEE di cui sopra) e le altre Direttive Reti (Direttive nn. 2002/21, 2002/19 e 2002/22) vanno interpretati nel senso che non ostano, ai fini dell’applicazione di una tassa quale la tassa di concessione governativa, all’equiparazione a un’autorizzazione generale o a una licenza di stazione radioelettrica di un contratto di abbonamento a un servizio di telefonia mobile, che deve peraltro precisare il tipo di apparato terminale di cui si tratta e l’omologazione di cui è stato oggetto.

Ad avviso della Corte, invero, la disposizione in esame non ricade nell’ambito applicativo delle Direttive stesse, essendo la Tassa in oggetto collegata all’uso privato dei servizi di telefonia mobile e non essendone “il fatto generatore” collegato ad una “procedura di autorizzazione generale che consenta di accedere al mercato dei servizi di comunicazioni elettroniche” (in sostanza, nella specie, il contratto di abbonamento, equiparato ad “una autorizzazione generale” “non ha lo scopo di autorizzare la fornitura di servizi di reti”, essendo inteso “unicamente come fatto generatore della TCG”).

Inoltre, secondo la Corte, il quadro comunitario, unitamente all’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, va interpretato nel senso che non osta ad un trattamento differenziato degli utenti di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, a seconda che essi sottoscrivano un contratto di abbonamento a servizi di telefonia mobile o acquistino tali servizi in forma di carte prepagate eventualmente ricaricabili, in base al quale solo i primi sono assoggettati a una normativa nazionale come quella che istituisce la tassa di concessione governativa.

Ciò in quanto, da un lato, “le direttive reti e la direttiva 1999/5 non disciplinano l’applicazione di una tassa”, quale quella in esame, e le disposizioni della Carta “si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione” e, dall’altro lato, come già sopra esposto, non vi è trattamento differenziato non essendo richiesto alcun intervento effettivo di “autorizzazione dell’amministrazione”, “visto che il contratto di abbonamento sostituisce di per sè l’autorizzazione”.

La Corte di Giustizia ha dunque ulteriormente ribadito l’esclusione di ogni incompatibilità tra diritto comunitario e diritto nazionale, circa la legittima prevedibilità di una tassa di concessione governativa applicabile ai c.d. “telefoni cellulari”, e non si ravvisano argomentazioni (come invece affermato dalla ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c.) idonee ad “inficiare” le motivazioni espresse della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9560/2014 sull’interpretazione della normativa nazionale.

Quanto alle questioni di legittimità costituzionale (D.P.R. n. 641 del 1973, art. 1 e art. 21 della tariffa allegata, per violazione degli artt. 3 e 23 Cost.), è sufficiente richiamare quanto già ampiamente statuito da questa Corte nella sentenza n. 25522/2014, in ordine alla manifesta infondatezza di tali rilievi.

In particolare, in relazione alla pretesa violazione dell’art. 3 Cost., si è già osservato, con motivazione condivisa da questo Collegio, che “la fruizione di servizi di telefonia mobile in base ad un rapporto contrattuale di abbonamento col gestore presenta caratteristiche giuridiche e fattuali non sovrapponigli all’acquisto di un certo tempo di conversazione telefonica mediante la ricarica di una carta prepagata”, considerato che ” l’utente nel primo caso gode del servizio continuativamente e si obbliga al pagamento di un canone periodico, mentre nel secondo caso acquista un pacchetto di minuti di conversazione Telefonica”, cosicchè “la differenza obbiettiva tra le due situazioni esclude l’irragionevolezza della diversità del relativo trattamento tributario, con riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost.”.

Si deve quindi, in definitiva, concludere per l’applicabilità agli abbonamenti per il servizio di telefonia cellulare della tassa di concessione governativa come disciplinata dall’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972.

La sentenza della C.T.R. ha deciso in conformità a detti principi di diritto ed è corretta.

Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese processuali del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, tenuto conto del solo recente consolidamento della giurisprudenza di questo giudice di legittimità a Sezioni Unite sulla principale questione di diritto.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrenti, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016

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