Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12050 del 31/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 31/05/2011), n.12050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO

CORRIDONI 14, presso lo studio dell’avvocato DE FELICE ROBERTO

EMANUELE, rappresentato e difeso dall’avvocato BERTI CARLO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE E.N.A.S.A.R.C.O., ENTE NAZIONALE DI ASSISTENZA AGENTI E

RAPPRESENTANTI DI COMMERCIO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9,

presso lo studio dell’avvocato SPALLINA BARTOLO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1394/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/10/2006 R.G.N. 1972/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

è presente l’Avvocato DE FELICE ROBERTO EMANUELE per delega S.

F.;

udito l’Avv. SPALLINA BARTOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Lucca rigettava la domanda proposta da F. S. nei confronti dell’Enasarco per ottenere la integrazione al minimo sulla pensione di inabilità che gli era stata riconosciuta dal 1.12.1995 ad opera di precedente sentenza del medesimo Tribunale.

La statuizione di rigetto veniva confermata dalla Corte d’appello di Firenze. La Corte adita confermava che per i ratei maturati dal gennaio 1997 fino a tutto l’anno 2002, l’accoglimento della pretesa era precluso dal giudicato formatosi con la sentenza del Tribunale di Roma del 2004, che aveva accolto l’opposizione dell’Enasarco al decreto ingiuntivo con cui lo S. aveva chiesto l’integrazione per detto periodo. Il Tribunale di Roma, infatti, aveva accolto opposizione dell’Ente e rigettato la pretesa alla integrazione, sul rilievo che questa poteva essere concessa una sola volta ai sensi della L. n. 638 del 1983, art. 6, comma 3 e che quindi non spettava sulla pensione Enasarco perchè lo S. godeva di assegno di invalidità erogato dall’Inps con l’integrazione al minimo. Quanto al periodo successivo, ossia dal primo gennaio 2003 in poi, non coperto dal giudicato, il diritto alla integrazione non era precluso dal godimento della integrazione al minimo sul trattamento Inps perchè, nelle more, con sentenza n. 520/2003 della stessa Corte di Firenze, a seguito del peggioramento delle condizioni sanitarie, gli era stata riconosciuta, in luogo dell’assegno di invalidità, la pensione di inabilità a carico dell’Inps con decorrenza dal primo gennaio 2007, che non era passibile di integrazione al minimo, essendo già ad esso superiore. Tuttavia, affermava la Corte che la integrazione non poteva essere concessa sulla pensione Enasarco non avendo il ricorrente fornito la prova della sussistenza del limite reddituale previsto dalla L. n. 638 del 1983, art. 6, comma 1; emergeva anzi che la pensione di inabilità Inps per l’anno 2003 era pari ad Euro 719,15 e quindi superiore alla soglia minima che era, per il medesimo anno, di Euro 402,12. Nè poteva spiegare alcun effetto il disposto della L. n. 222 del 1984, art. 2, comma 4 che fa salvi i trattamenti minimi secondo le norme previste nei singoli ordinamenti, trattandosi di norma non riguardante l’integrazione al minimo. Avverso detta sentenza il soccombente ricorre con cinque motivi.

L’Enasarco resiste con controricorso, illustrato da memoria. E’ stata depositata memoria di nuovo difensore a seguito del decesso del precedente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La memoria è inammissibile, giacchè (prima delle modifiche apportate dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9 non applicabili ratione temporis) la procura speciale al nuovo difensore a seguito del decesso del precedente, non è stata rilasciata a margine o in calce degli atti elencati dall’art. 83 (cfr. Cass. 23816/2010 e n. 8708/2009).

Con il primo mezzo si denunzia violazione del giudicato, sostenendo che la sentenza del Tribunale di Roma del 2004 non potrebbe essere interpretata nel senso di escludere il diritto alla integrazione sulla pensione Enasarco a causa del godimento di altra prestazione, nella specie assegno di invalidità Inps, integrata al minimo. Il motivo non può essere accolto.

In primo luogo non è stato depositato il giudicato che il ricorrente afferma essere stato erroneamente interpretato, così disattendendo la disposizione di cui all’art. 369 c.p.c., n. 4 che prescrive, a pena di improcedibilità, il deposito degli atti e documenti su cui il ricorso si fonda, non essendovi dubbio che la censura si “fonda” su detto giudicato, ossìa sulla sentenza del Tribunale di Roma del 2004. Il motivo è quindi improcedibile. In ogni caso la censura pecca di autosufficienza, perchè, non essendo riportato il tenore di quella statuizione, se non il convincimento soggettivo della sua erronea interpretazione, non consente alla Corte di verificare la effettiva esistenza degli errori dedotti.

Parimenti infondati sono il secondo e il terzo motivo in cui si lamenta che, per il periodo successivo al gennaio 2003, per il quale non sussisteva più la preclusione da giudicato (sentenza del Tribunale di Roma del 2004) non poteva essere rigettata la sua domanda di integrazione al minimo sulla pensione Enasarco per la mancata prova del limite reddituale, sia perchè non competeva a lui di dimostrarlo, sia perchè l’Ente era già a conoscenza dei suoi redditi. Le censure sono infondate, non essendovi dubbio che la prova del diritto all’integrazione spetti a chi vuole fare valere il relativo diritto (onde è errato il richiamo alla prova dei “fatti negativi”), e nella specie, se l’Enasarco poteva conoscere della esistenza della pensione Inps non integrata, non poteva però essere a conoscenza dell’ammontare di altri redditi percepiti dal ricorrente – e se questi era coniugato, dei redditi del coniuge – in assenza della comunicazione all’ente previdenziale che la L. n. 638 del 1983, art. 6, comma 4 (di conversione del D.L. n. 463 del 1983) impone all’interessato. D’altra parte nel motivo non si precisa neppure in qual modo l’Enasarco sarebbe stato a conoscenza che i suoi redditi erano inferiori alla soglia prescritta per il diritto all’integrazione al minimo. L’Enasarco infatti era certo a conoscenza dei redditi per il calcolo della pensione da esso erogata, decorrente dal 1995, ma una volta effettuata la liquidazione, nulla poteva sapere dei redditi successivamente percepiti, da 2003 in poi, in assenza di comunicazione dell’interessato.

Va rigettato anche il quarto motivo, perchè non spettava all’Enasarco richiedere al ricorrente la comunicazione dei dati reddituali, ma spettava all’attuale ricorrente in primo luogo di comunicarli ai sensi del ricordato L. n. 638 del 1983, art. 6, comma 4 e quindi di dimostrarli in giudizio, giacchè si trattava di elemento costitutivo del diritto fatto valere alla integrazione al minimo. Parimenti infondato è il quinto motivo, con cui si richiama il disposto della L. n. 222 del 1984, art. 2, comma 4 laddove si prevede che sono fatti “sono fatti salvi i trattamenti minimi secondo le norme previste dai singoli ordinamenti” perchè detta disposizione regola esclusivamente le prestazioni di invalidità erogate dall’Inps (detta disciplina ha sostituito dal 1984 quella precedente sulla pensione di invalidità di cui al R.D.L. n. 636 del 1939), mentre la pensione Enasarco è regolata dalla L. 2 febbraio 1973, n. 12 (cfr.

artt. 13 su pensione di invalidità permanente totale e 14 su pensione di invalidità permanente parziale) e per essa, ai fini dell’integrazione al minimo, valgono le stesse regole sui limiti reddituali di cui alle pensioni Inps di invalidità di cui al R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10 (cfr. citata L. n. 638 del 1983, art. 6, comma 1). Il ricorso va quindi rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 31,00 oltre duemilacinquecento/00 Euro per onorari, con accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011

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