Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12047 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. III, 06/05/2021, (ud. 04/12/2020, dep. 06/05/2021), n.12047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9527/2018 R.G. proposto da:

B.V. s.p.a., INCO s.p.a., GEIM s.p.a., in persona dei

rispettivi rappresentanti legali pro tempore, tutte rappresentate e

difese dall’Avv. Paolo Starvaggi, con domicilio eletto in Roma,

Viale Parioli 63, int. 6, presso lo studio dell’Avv. Giovanni Foti;

– ricorrente –

contro

G.M.T., ((OMISSIS)) in proprio e nella qualità di

erede di Gi.Ga., elettivamente domiciliata in Roma, Via

Tarvisio 2, presso lo studio dell’avv. Paolo Canonaco, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

G.G., M.R., M.T., P., M.,

M.N.;

– intimati –

G.M., M.R., G., M.T., M.N.,

P., elettivamente domiciliati in Roma, Via Lungotevere Mellini 24,

presso lo studio dell’avv. Giovanni Giacobbe, che li rappresenta e

difende unitamente all’avv. Pietro Carrozza;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 35 del 2018 della Corte di appello di Messina,

depositata il 23 gennaio 2018.

Udita la relazione svolta in pubblica udienza del 4 dicembre 2020 dal

Presidente, Dott. Giacomo Travaglino;

Udito il P.G. e i difensori;

letta la sentenza impugnata;

letto il ricorso, il ricorso incidentale, i controricorsi e le

memorie depositate ai sensi dell’art. 380-bis-1 c.p.c..

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

I FATTI.

1. Le società B.V. S.p.a., INCO S.p.a. e GEIM S.p.a. ricorrono, sulla base di tre motivi, dinanzi a questa Corte per la cassazione della sentenza del 23 gennaio 2018 della Corte di Appello di Messina, che ha rigettato il gravame principale proposto dalle odierne ricorrenti avverso la sentenza del 22.2.2011 pronunciata dal Tribunale di Patti, e quello incidentale introdotto dalla famiglia G.G., M.R., Ma.Te. (nata a (OMISSIS)), M.T. (nata a (OMISSIS)), P., M. e M.N..

1.1. La Corte territoriale, in particolare:

a) Ha confermato – nel respingere l’appello principale – la declaratoria di inefficacia, ex art. 2901 c.c., nei confronti dei predetti G., dell’atto notarile del 14 luglio 2004, con il quale era stata disposta la scissione della società B.V., con conseguente assegnazione

della maggior parte dei suoi immobili alle società INCO e GEIM; b) Ha respinto l’appello incidentale, confermando il rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata dai G..

2. Espongono le società odierne ricorrenti di essere state convenute in giudizio dai G., attori in qualità di eredi di C.C., vedova G., sul presupposto di avere diritto al pagamento dell’importo di Euro 4.111.982 in ragione di un credito spettante alla loro dante causa nei confronti della società B.V..

2.1. Il credito traeva origine dall’occupazione di terreni da parte della società convenuta, capogruppo di un R.T.I. cui era stata affidata l’esecuzione delle opere di urbanizzazione e attrezzature dell’agglomerato di (OMISSIS), appaltate dall’Agenzia per la Promozione del Mezzogiorno al Consorzio ASI di (OMISSIS).

3. Accertata e dichiarata dal Tribunale di Messina, con sentenza n. 2091 del 20 dicembre 2006, la fattispecie della “occupazione usurpativa” (decisione confermata, nelle more del giudizio ex art. 2901 c.c., dalla locale Corte d’Appello, che avrebbe esteso la condanna al risarcimento del danno anche al predetto Consorzio), gli eredi C., dopo aver invano promosso procedure esecutive presso terzi per la riscossione del proprio credito, avevano proposto domanda di revoca, ex art. 2901, dell’atto di scissione societaria.

3.1. In via subordinata, essi agirono nei confronti delle società INCA e GEIM, chiedendone la condanna, in solido con la B.V. s.p.a., al pagamento del predetto importo Euro 4.111.982, reiterando altresì la domanda risarcimento del danno.

4. Accolta dal primo giudice la domanda revocatoria – con conseguente assorbimento delle istanze subordinate proposte nei confronti delle società INCA e GEIM – e respinta quella di risarcimento dei danni nei confronti di tutte le convenute, la decisione fu impugnata, in via principale, dalle odierne – ricorrenti, e in via incidentale, anche condizionata (quanto alla domanda ritenuta assorbita dal primo giudice), dagli eredi C. – G..

5. La Corte messinese rigettò l’appello principale, ritenne assorbito quello incidentale condizionato, respinse, infine, quello incidentale avente ad oggetto la richiesta di risarcimento danni.

I MOTIVI DEI RICORSI PRINCIPALE E INCIDENTALE.

1. Con il primo motivo del ricorso principale – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2901 c.c..

1.1. Viene censurata la sentenza d’appello per avere illegittimamente disatteso l’eccezione, tempestivamente formulata, con la quale si contestava l’esistenza a dei presupposti per l’esperimento dell’actio pauliana.

1.2. Si evidenzia come il credito fatto valere dagli eredi G. fosse ancora sub iudice – di tal che troverebbe applicazione quell’orientamento giurisprudenziale che esclude l’esperibilità dell’azione revocatoria a garanzia di un credito cd. “litigioso”.

1.3. Si deduce che tale credito sarebbe stato integralmente soddisfatto dal Comune di Messina, che aveva corrisposto agli eredi G. la (maggior) somma di Lire 4.666.666, con conseguente estinzione del titolo giudiziario posto a fondamento dell’azione revocatoria: con norma sopravvenuta, difatti, la Finanziaria della Regione Siciliana del 12 maggio 2010, n. 11, all’art. 113 aveva individuato nel Consorzio Asi il soggetto tenuto al risarcimento del danno in relazione a fattispecie ablatorie analoghe a quella realizzata in danno della signora C. – G..

1.4. Si osserva, infine, come, successivamente alla formazione del titolo giudiziale in contestazione, fosse intervenuto un lodo arbitrale che obbligava il Consorzio ASI a tenere indenne la B.V. s.p.a. dalle pretese fatte valere dagli eredi G. – donde, nuovamente, il difetto di legittimazione passiva della società convenuta.

2. Con il secondo motivo – anch’esso proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – si lamenta la violazione degli artt. 2901 e 2503 c.c..

2.1. Si censura la sentenza impugnata per aver rigettato il motivo di gravame con il quale veniva ribadita l’eccezione di incompatibilità della revocatoria ordinaria con l’istituto della scissione societaria sulla base della (erronea) affermazione secondo cui l’azione revocatoria risulterebbe diversa per petitum e causa petendi rispetto ai rimedi cosiddetti endo-societari, poichè – a differenza di questi ultimi – essa non pone in discussione la validità dell’atto, ma soltanto la sua efficacia, e per di più limitatamente al solo creditore istante.

2.2. Si riafferma che le norme dettate in tema di scissione societaria prevedono un sistema di rimedi completo, in guisa di lex specialis rispetto alla norma generale di cui all’art. 2901 c.c.. I rimedi endosocietari costituiscono un sistema tipico, quanto alla possibilità (subordinata al decorso di brevi termini decadenziali allo scopo di assicurare la certezza dei terzi in ordine alla stabilità delle operazioni di riassetto societario) di opporsi alla scissione, ed a quella di far valere la responsabilità solidale e sussidiaria delle nuove compagini societarie nate dalla scissione.

2.3. Ad escludere la revocabilità dell’atto di scissione concorrerebbe altresì la decisiva circostanza che esso non integra gli estremi del negozio traslativo, ma si caratterizza in termini di mera operazione societaria a formazione progressiva, volta ottenere una nuova articolazione dell’ente: una vicenda, dunque, con effetto modificativo degli statuti delle società partecipanti, funzionale a determinare la riorganizzazione delle strutture societarie, senza alcun effetto estintivo dell’ente stesso e senza un effettivo trasferimento dei cespiti patrimoniali, allocati in maniera differente all’interno delle diverse strutture sociali. Di qui, la sua genetica irriducibilità e la sua funzionale estraneità alla nozione di atto dispositivo di cui all’art. 2901 c.c..

3. Con il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5) – si ipotizza, infine, la ulteriore violazione dell’art. 2901 c.c., sotto il profilo della omessa (o carente) motivazione in ordine ai presupposti dell’azione revocatoria.

3.1. Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma che “la condizione essenziale della tutela del creditore prevista dall’art. 2901 c.c., è il pregiudizio alle ragioni dello stesso, per la cui configurabilità non è necessario che sussista un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l’esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità”, salvo, poi, riconoscere che la società B.V. avesse, comunque, conservato un cospicuo patrimonio mobiliare, per l’esattezza pari a Euro 3.633.582,01, somma ritenuta superiore rispetto al credito vantato dagli eredi G..

3.2. Del pari inesistente, infine, risulterebbe l’altrettanto necessario presupposto del consilium fraudis, volta che, se l’effettivo intento della B.V. fosse stato quello di arrecare un pregiudizio alle potenziali aspettative degli eredi G., la società non avrebbe atteso diversi anni dalla notifica del primo atto giudiziario per compiere la contestata scissione. Nè, tantomeno, poteva attribuirsi rilievo – sempre al fine di dimostrare la dolosa preordinazione del pregiudizio delle ragioni creditorie dei G. – alla coincidenza delle figure dei soci delle tre società, circostanza di per se inidonea a costituire prova del pur necessario consilium fraudis sotteso all’atto di scissione, come ulteriormente confermato dal fatto che l’operazione fu soltanto parziale, onde consentire la prosecuzione dell’attività della società B.V..

4. Hanno resistito al ricorso G.G., M.R., M.T. (nata a (OMISSIS)), P., M. e M.N., proponendo a loro volta ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo (articolato in tre censure).

4.1. Con il controricorso, vengono formulate, in via preliminare, due eccezioni di inammissibilità dell’impugnazione principale.

4.2. Si evidenzia, in primis, quanto ai primi due motivi di ricorso, come gli stessi andassero proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e non del n. 4), evidenziandosene, poi, la mancanza di qualsiasi analisi critica del contenuto decisorio della sentenza, e la semplice quanto inammissibile prospettazione di una diversa interpretazione dell’art. 2901 c.c..

4.3. Nel merito, se ne contesta in radice la fondatezza.

4.3.1. Quanto alla prima censura, si rammenta, in premessa, come, per costante giurisprudenza di questa Corte, anche il credito eventuale (e con esso quello litigioso) possa essere legittimamente tutelato attraverso il ricorso alla azione revocatoria.

Si evidenzia ancora:

– L’insostenibilità della tesi secondo cui il credito in questione sarebbe stato stato soddisfatto dal Comune di Messina, la cui responsabilità in relazione alla vicenda ablatoria relativa alla dante causa dei G. era stata definitivamente esclusa (dopo che questa Corte, con sentenza n. 15687 del 12 dicembre 2001, aveva annullato una condanna dello stesso ente, della società B.V. e del Consorzio Asi in relazione alla fattispecie di “occupazione appropriativa”) dalla Corte di Appello di Palermo in sede di rinvio, con sentenza n. 122 del 22 gennaio 2018, passata in giudicato, tanto che al predetto Comune era stato riconosciuto il diritto ad ottenere in restituzione quanto versato agli eredi G.;

– L’erroneità dell’invocata sopravvenienza della L.R. Siciliana n. 11 del 2010, art. 113, in quanto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva della società B.V., asseritamente conseguente a tale ius superveniens, era stata formulata per la prima volta nel giudizio di appello, e pertanto preclusa in quella sede, ex art. 345 c.p.c. (e comunque improponibile – a più forte ragione – in sede di legittimità);

– La rilevanza, in parte qua, della declaratoria di incostituzionalità del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 127, art. 43, di cui la norma della legge regionale siciliana invocata dalle ricorrenti costituiva mera attuazione, con conseguente caducazione, ipso facto, della norma regionale;

– L’accertamento della responsabilità della B.V. nei confronti del G., consolidato per effetto del giudicato costituito dalla sentenza di questa Corte n. 15687 del 2001;

– L’irrilevanza del lodo arbitrale richiamato dalle ricorrenti, i cui effetti dovevano ritenersi circoscritti alle sole parti di quel procedimento, e non estensibili agli eredi G., estranei all’arbitrato.

4.3.2. Quanto alla seconda censura, si ribadisce come l’azione revocatoria ordinaria non sia affatto preclusa dalla previsione di strumenti tipici di opposizione alla scissione, in assenza di una norma positiva che ne limiti o ne impedisca la proposizione, non essendo consentito alcuna interpretazione preclusiva in subiecta materia. La disposizione di cui all’art. 2503 c.c., rimedio speciale di natura endosocietaria, può legittimamente coesistere con il rimedio generale di cui all’art. 2901 c.c., volta che l’opposizione alla scissione opera in via cautelativa, sul piano della validità dell’atto, mentre l’azione revocatoria si colloca sul diverso terreno dell’inefficacia negoziale, per di più soltanto relativa.

4.3.3. Quanto alla terza censura, si sottolinea la correttezza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui si evidenzia come la consistenza patrimoniale della società B.V., dopo la scissione societaria, si fosse notevolmente ridotta, onde la conseguente predicabilità del presupposto dell’eventus dammi, mentre, dell’ulteriore requisito del consilium fraudis, era richiesta la prova da parte del creditore procedente in presenza di un atto a titolo gratuito, essendo di converso sufficiente la scientia damni in capo alla controparte – pur dovendosi, comunque, ritenere esistente, nella specie, persino il consilium fraudis, volta che i legali rappresentanti delle società cessionarie erano le medesime persone fisiche dei soci della B.V..

4.4. Con il ricorso incidentale gli eredi G. si dolgono del rigetto della domanda di risarcimento dei danni, censurando la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5).

4.4.1. Si lamenta un vizio di motivazione apparente, ovvero di carenza assoluta di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale fondato il rigetto della domanda risarcitoria sull’unico rilievo costituito dalla natura gratuita dell’atto di scissione – non richiedendosi tra i presupposti per la sua revocabilità il consilium fraudis. Così motivando, il giudice d’Appello aveva ulteriormente omesso – con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. – la valutazione di uno specifico motivo di impugnazione, nonchè l’esame di un fatto decisivo costituito dal danno conseguente alla fraudolenta scissione.

5. Con separato controricorso, ha resistito all’odierna impugnazione anche Gi.Ma.Te., nata a (OMISSIS), svolgendo argomentazioni del tutto analoghe a quelle degli altri controricorrenti, e sottolineando ancora la novità delle censure oggetto del primo motivo del ricorso principale – con le quali, come già detto, si assumeva che il credito a tutela del quale era stata esperita l’azione revocatoria si fosse estinto in ragione dell’avvenuto pagamento da parte del Comune di Messina, e che la legittimazione passiva della società B.V. sarebbe venuta meno per effetto della sopravvenienza di una norma di legge regionale, ovvero in forza di lodo arbitrale.

Diritto

I MOTIVI DELLA DECISIONE

Fissata l’adunanza camerale in data 24 settembre 2019 per la discussione dei ricorsi, questa Corte ha ritenuto opportuno rinviare il procedimento in attesa della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea, investita di una analoga questione dalla Corte di appello di Napoli – pronuncia intervenuta il 30 gennaio 2020, in causa C-394/18.

IL RICORSO PRINCIPALE.

1. Il primo motivo risulta in parte inammissibile, in parte non fondato.

1.1. L’infondatezza della censura relativa, in parte qua, alla asserita assenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 2901 c.c., per essere ancora sub iudice il credito a garanzia del quale è stata esperita l’azione revocatoria consegue all’applicazione del consolidato principio (cui il collegio ritiene di dover dare continuità) secondo cui la norma ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicchè anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore” (tra le molte conformi, da ultimo, Cass., 3, 22 marzo 2013, n. 5619).

1.2. Il principio si pone in continuità con l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 18 maggio 2004, n. 9440, ove si afferma come non sia di ostacolo a tale conclusione il disposto dell’art. 295 c.p.c., per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito. In senso conforme, tra le altre, Cass., 3, 10 febbraio 2016, n. 2673; Cass., 3, 14 maggio 2013, n. 11573).

1.3. L’inammissibilità della restante parte motivo consegue all’erroneità delle affermazioni secondo cui il credito litigioso: a) sarebbe stato soddisfatto dal Comune di Messina; b) sarebbe estinto ex lege, in forza della L.R. Siciliana 12 maggio 2010, n. 11, art. 13; c) sarebbe stato oggetto di lodo arbitrale, all’esito del quale il Consorzio ASI aveva assunto l’obbligo di manlevare la società B.V..

1.3.1. Le due questioni sub a) e c), quanto all’avvenuto soddisfacimento del credito da parte del Comune di Messina e alla manleva assunta dal Consorzio ASI (pur in disparte i rilievi dei controricorrenti in ordine sia al fatto che essi sono stati costretti a restituire al Comune quanto ricevuto, sia alla circostanza che il lodo attiene solo al rapporto interno tra i condebitori, non essendo opponibile ultra partes), presentano carattere di novità, giacchè di esse non vi è traccia nella sentenza impugnata.

1.3.2. Trova, pertanto, applicazione il principio secondo cui, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa” (da ultimo, Cass., 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038).

Tali oneri non risultano adempiuti dalle società ricorrenti.

1.4. Quanto alla censura sub b), che ripropone la questione, già oggetto di gravame, relativa all’estinzione ex lege del credito, essa non coglie l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata (con l’effetto di cui meglio si dirà in seguito).

1.4.1. La Corte messinese, dopo aver affermato che la censura aveva carattere di novità, poichè mai formulata nel giudizio di primo grado, con conseguente preclusione ex art. 345 c.p.c., ha ritenuto che oggetto dell’eccezione sollevata dalle appellanti fosse non il difetto di legittimazione passiva (come da esse prospettato), ma la carenza di titolarità del rapporto dal lato passivo, eccezione in ordine alla quale “al giudice di appello non era consentito l’esame d’ufficio”.

1.4.2. A prescindere dalla correttezza di tale affermazione (poichè, di converso, la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda e attiene al merito della decisione, sicchè la sua carenza è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa: così, in motivazione, Cass. S.U. 16 febbraio 2016, n. 2951), le odierne ricorrenti non si confrontano efficacemente nè con essa, nè con l’ulteriore affermazione della Corte territoriale, che, proprio sulla base di tale qualificazione (quantunque erronea), ha ritenuto l’eccezione nuova, ex art. 345 c.p.c. e dunque non esaminabile. Siffatta statuizione non è stata oggetto di specifica impugnazione, con conseguente formazione, sul punto (ovvero, sul difetto di titolarità del rapporto dal lato passivo), di un giudicato interno, e dunque di una delle condizione preclusive – individuate dal già ricordato arresto delle Sezioni Unite – al rilievo officioso, anche da parte di questa Corte, di tale eccezione, volta che tale rilievo deve pur sempre operare entro i limiti propri del giudizio di legittimità e sempre che non si sia formato il giudicato (così la già citata sentenza delle sezioni unite n. 2951 del 2016).

2. Il secondo motivo pone al collegio una complessa questione di diritto che, fino alla udienza camerale del 24 settembre 2019, non risultava mai affrontata da questa Corte – che attiene all’ammissibilità dell’azione revocatoria avente ad oggetto un atto di scissione societaria.

2.1. Si rammenterà come, sul punto, la giurisprudenza di merito abbia assunto, nel tempo, posizioni non univoche: ad un imponente indirizzo favorevole all’ammissibilità dell’azione ex art. 2901 c.c. (Trib. Livorno, 19 agosto 2003; Trib. Palermo, 26 gennaio 2004; Trib. Catania, 9 gennaio 2012; T. Palermo, 25 maggio 2012; Trib. Benevento, 17 settembre 2012; Trib. Milano, 9 luglio 2015; App. Napoli, 17 ottobre 2015, n. 4080; Trib. Venezia, 5 febbraio 2016; Trib. Roma, 16 marzo 2016; Trib. Pescara, 17 maggio 2017), si contrappone uno speculare orientamento – non meno consistente – di segno contrario (Trib. Roma, 11 gennaio 2001; Trib. Modena, 22 gennaio 2010, n. 96; Trib. Napoli, 18 febbraio 2013 e 31 ottobre 2013; Trib. Forlì, 4 febbraio 2016.; Trib. Bologna, 24 marzo 2016; Trib. Roma, 7 novembre 2016, n. 5241; App. Catania, 19 settembre 2017, n. 1649).

3. La tesi della non revocabilità della scissione si fonda, tradizionalmente, su considerazioni caratterizzate dal comune presupposto per cui i rimedi cd. “endosocietari” hanno natura tassativa, dando conseguentemente vita ad un sistema chiuso, di per se idoneo tout court a soddisfare anche le esigenze tutelate, al di fuori dell’ambito societario, con l’azione revocatoria.

3.1. Si individua, in primo luogo, nell’opposizione dei creditori alla scissione di cui all’art. 2503 c.c. (norma dettata per la fusione societaria, ma applicabile anche alla diversa operazione di riorganizzazione sociale, giusta il richiamo di cui all’art. 2506-ter c.c., comma 5) un rimedio preventivo, tendente a paralizzare il relativo procedimento, attivabile da ciascun soggetto che vanti un credito anteriore alla pubblicazione del progetto di scissione, purchè proposto entro sessanta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della Delibera di scissione (in dottrina, si è autorevolmente sostenuto che, in tal caso, l’opposizione sostituirebbe l’azione revocatoria, atteggiandosi a mò di “revocatoria preventiva”, e che il suo mancato esercizio “consumerebbe” l’interesse ad agire per ottenere l’inefficacia della scissione). L’opposizione, dunque, tutelerebbe efficacemente l’interesse del creditore a non veder modificato l’indirizzo economico patrimoniale della società a fronte di una riorganizzazione societaria ritenuta potenzialmente pregiudizievole per la sua (personale) soddisfazione (altra dottrina specificherà ancora che, dinanzi al potere di impedire la conclusione dell’operazione, la società interessata a eseguirla immediatamente dovrà adempiere alla propria obbligazione, ovvero fornire idonea garanzia quale surrogato del pagamento, considerata la prelazione che in tal modo si riconosce al creditore, ovvero ancora dimostrare l’assenza del pericolo di pregiudizio, e quindi l’inesistenza di una valida ragione che possa giustificare la mancata esecuzione della decisione senza che siano prestate garanzie di sorta).

3.2. In difetto di tempestiva opposizione, il procedimento si conclude con la stipula dell’atto di scissione e con la sua iscrizione nel registro delle imprese, ex art. 2504 c.c., con conseguente preclusione di qualsivoglia declaratoria di invalidità dell’atto stesso, ai sensi dell’art. 2504-quater c.c. (norma a sua volta applicabile anche alle operazioni di scissione, sempre in virtù del richiamo di cui al già citato art. 2506-ter c.c., comma 5).

3.3. In questa prospettiva, si sottolinea come il sistema delineato dalle norme e dai rimedi endosocietari sia del tutto idoneo ad assicurare la stabilità degli effetti complessivi dell’operazione – e quindi anche delle “porzioni” patrimoniali che, in una prospettiva dinamica propria del diritto societario, sono oramai entrate a far parte della struttura di un’altra impresa, con diversa destinazione. Di conseguenza, non sarebbe legittimamente predicabile alcuna distinzione tra l’effetto proprio della mancata opposizione (quello di precludere la – sola declaratoria di invalidità dell’atto di scissione), e l’effetto conseguente all’esercizio dell’azione revocatoria (che renderebbe relativamente inefficace il solo atto dispositivo conseguente alla riorganizzazione societaria). Una volta iscritto l’atto di scissione nel registro delle imprese, si cristallizzano definitivamente tutti gli effetti dell’operazione, con la conseguenza di rendere improponibile sia una separazione dei due profili, sia una distinzione tra invalidità della scissione, che verrebbe sanata con gli adempimenti pubblicitari, e inefficacia dell’atto di assegnazione patrimoniale all’esito dell’accoglimento dell’azione ex art. 2901 c.c..

3.4. Muovendosi ancora nell’orbita di tale indirizzo interpretativo, si osserva poi che, in difetto di preventiva opposizione, i creditori della società “scissa” (con tale locuzione indicandosi la società originaria interessata dalla vicenda di riorganizzazione e preesistente ad essa, denominandosi, invece, le altre coinvolte con l’appellativo di “beneficiarie”), che si assumano pregiudicati dall’operazione di riorganizzazione societaria, non risulterebbero, comunque, privi di strumenti di tutela. Essi, infatti, potranno attivare azioni di tipo non reale ma obbligatorio, facendo valere la responsabilità solidale per i debiti della società scissa in capo alle beneficiarie, nei limiti del patrimonio loro assegnato, ex art. 2506-quater c.c., comma 3, oltre ad agire per il risarcimento del danno da scissione, ai sensi dell’art. 2504-quater c.c., comma 2 (in particolare, il primo dei due rimedi – ovvero quello della responsabilità solidale ex art. 2506-quater c.c., comma 3 – sarebbe, per il creditore della società “scissa”, del tutto idoneo tanto ad offrire la medesima tutela propria dell’azione revocatoria, consentendo che tale risultato sia realizzato anche in maniera più efficace. Il creditore si troverebbe, difatti, in una posizione giuridica totalmente diversa, ma più vantaggiosa, rispetto a quella in cui verserebbe nei confronti del beneficiario dell’atto revocando, ove avesse agito ex art. 2901 c.c., dal momento che costui non assumerebbe mai verso il creditore – diversamente da quanto accade per le società “beneficiarie” – alcun autonomo titolo di responsabilità).

3.5. A sostegno della tesi che esclude la revocabilità dell’atto di scissione si evidenzia, infine, come l’impossibilità di configurarlo in termini di “atto dispositivo” derivi dalla sua irriducibilità alle fattispecie la cui essenza possa essere colta in termini di trasferimento di beni a qualunque titolo tra soggetti, atteso che la disarticolazione societaria, semmai, interessa beni e comportamenti organizzati – ed è per ciò solo sottratta all’operatività dell’art. 2901 c.c. – rendendo vano qualsiasi tentativo volto a isolare, all’interno di tale unitaria operazione, l’assegnazione patrimoniale al fine di pervenire ad una sua qualificazione in termini di onerosità o gratuità.

4. Di non minor spessore gli argomenti addotti a sostegno della tesi della revocabilità della scissione.

4.1. Si è, in primo luogo, sottolineato come la questione circa la natura traslativa ovvero soltanto riorganizzativa della scissione non possa ritenersi decisiva, accedendo a quella prospettiva che individua l’oggetto della revocatoria nell’effetto acquisitivo, da parte di un terzo, di un valore precedentemente imputabile al titolare di un patrimonio, e non nel correlativo atto di disposizione.

4.2. In secondo luogo, si osserva che gli strumenti di tutela del creditore si caratterizzano, rispettivamente, per genesi e funzioni diverse, volta che essi risulterebbero, rispettivamente, uno strumento cautelativo, ovvero di ripristino della garanzia patrimoniale. In particolare, sul piano più strettamente funzionale, il rimedio revocatorio incide unicamente sull’efficacia dell’atto, e non già sulla sua validità, ciò che consentirebbe di individuare un diverso ambito di rilevanza all’art. 2901 c.c., rispetto all’art. 2504-quater c.c., comma 1.

4.3. In terzo luogo, viene sottolineata l’utilità della coesistenza tra l’azione revocatoria e la previsione della responsabilità delle società beneficiarie alla luce della evidente strumentalità della prima all’attuazione della responsabilità sussidiaria dell’art. 2506-quater c.c., comma 3: in tale prospettiva, la revoca della scissione non comporterebbe la restituzione alla società-madre delle consistenze patrimoniali assegnate alle beneficiarie, limitandosi soltanto ad autorizzare l’escussione oltre il limite del patrimonio attribuito.

4.4. Infine, nella prospettiva che tende a ravvisare un'(autonoma) utilità all’azione revocatoria rispetto alla tutela ex lege assicurata dall’art. 2506-quater c.c., comma 3, il creditore vittorioso in revocatoria avrebbe prelazione, in fase di esecuzione, sul valore del bene, e ciò nei confronti, oltre che del terzo revocato, anche dei suoi creditori (l’argomento si espone, tuttavia, all’obiezione secondo cui, nel caso della scissione, non viene meno la possibilità, almeno per gli altri creditori della società scissa, di escutere, nei limiti del valore effettivo netto assegnato, il patrimonio della beneficiaria contro la quale sia stata esercitata vittoriosamente la revocatoria in forza della sua perdurante responsabilità).

5. Come osservato in premessa, la questione è stata oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea.

5.1. Nelle more della decisione, la prima sezione di questa Corte, investita di una analoga vicenda, ha affermato il principio di diritto secondo il quale la revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria deve ritenersi sempre esperibile, in quanto mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, che lo rende inopponibile al solo creditore pregiudicato, al contrario di ciò che si verifica nell’opposizione dei creditori sociali prevista dall’art. 2503 c.c., finalizzata, viceversa, a farne valere l’invalidità” (Cass., 1, ord. 4 dicembre 2019, n. 31654).

5.2. In motivazione, la pronuncia ha respinto la tesi che pretendeva di ricavare sistematicamente dalla norma che esclude solo una dichiarazione di invalidità (per nullità o annullamento) dell’atto di fusione o scissione l’inesperibilità dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., che, come è noto, non determina alcuna invalidità dell’atto ma la sua semplice inefficacia relativa rendendolo in opponibile al creditore pregiudicato. La regola in questione, introdotta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, art. 15, in attuazione delle direttive 09/10/1978 n. 855 – 1978/855/CEE (art. 22) e 17/12/1982 n. 891 1982/891/CEE (art. 19), presuppone una fusione o scissione efficace, supera la distinzione fra nullità e annullabilità, accomunate nella nozione di invalidità, e mira ad evitare la demolizione dell’operazione di trasformazione e la reviviscenza delle società originarie, ma appare pienamente compatibile con la natura e gli effetti dell’azione revocatoria, strumento di conservazione della garanzia patrimoniale, che agisce sul diverso piano della mera inopponibilità dell’atto al creditore pregiudicato. In difetto di adeguato fondamento normativo – da escludersi alla luce del riferimento alla categoria dell’invalidità e non a quelle dell’inefficacia e dell’inopponibilità – non può quindi ritenersi che l’opposizione che compete ai creditori sia un rimedio sostitutivo e necessario, e non solo aggiuntivo, rispetto all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria, ove di essa ne sussistano i presupposti. Altra questione, ovviamente, è quella della configurabilità di un pregiudizio derivante dall’atto di scissione, alla luce del disposto dell’art. 2504-bis c.c., comma 1, in forza del quale la società che risulta dalla fusione (o scissione) o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione o scissione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori.

6. Il principio di diritto così affermato sembra aver poi ricevuto, sia pur indirettamente, una significativa conferma da parte della stessa Corte di giustizia, II Sezione, con la sentenza 30 gennaio 2020, C-394/18.

6.1. Il rinvio pregiudiziale disposto dalla Corte d’Appello di Napoli con provvedimento del 20 marzo 2018 aveva sottoposto alla Corte del Lussemburgo un quesito circa l’interpretazione degli artt. 12 e 19 della sesta Direttiva comunitaria (82/891 CEE), rispettivamente dedicati alla predisposizione di un “adeguato sistema di tutela degli interessi dei creditori” anteriori delle società partecipanti, ed ai limiti della definizione di “nullità” della scissione.

6.2. La questione, con riferimento al diritto interno, si articolava su due piani: da un lato, la presunta autosufficienza del sottosistema di tutela dei creditori predisposto dalla disciplina della scissione, costituito segnatamente dal diritto di opposizione e dalla responsabilità solidale delle beneficiarie nei limiti del patrimonio netto (art. 2503 c.c. e art. 2506-quater c.c., u.c.); dall’altro, il tema dell’irregredibilità degli effetti (art. 2504-quater c.c.), e quindi del rapporto fra le categorie dell’invalidità e dell’inefficacia – i.e. il preteso “assorbimento” della seconda nella prima, ovvero l’indipendenza dei due rimedi.

6.3. Rispetto al primo dei due quesiti, viene chiarito dal giudice sovranazionale – coerentemente con l’obiettivo enunciato all’ottavo considerando della direttiva, volto a garantire un’adeguata tutela ai creditori della società scissa che le alternative predisposte dall’art. 12, par. 2 costituiscono soltanto un “sistema minimo di tutela degli interessi dei creditori della scissa”, come confermato dall’utilizzo dell’espressione “quanto meno” nella disposizione in parola. In questa prospettiva, la mancata previsione dell’azione revocatoria fra gli strumenti di reazione del creditore della società scissa non poteva essere interpretato, ipso facto, in termini di esclusione del rimedio.

6.4. Dall’accoglimento della domanda di revoca ex art. 2901 c.c., deriverebbe prosegue la Corte – nell’ambito dell’esecuzione forzata, una posizione preferenziale del revocante rispetto ai creditori della (o delle) società beneficiarie, il che risulta coerente con la constatazione che la Direttiva non prevede, nè richiede, una protezione equivalente per i creditori delle beneficiarie stesse – non è di poco momento l’importanza di quest’ultimo passaggio motivazionale, perchè la Corte colloca la questione sul piano del rapporto di preferenza fra creditori delle società coinvolte, risolvendola a favore dei creditori della scissa (come è noto, sul piano sistematico, la questione si intreccia con il più vasto tema della stabilità degli atti societari e dell’affidamento che i terzi hanno riposto sugli stessi, ex artt. 2332,2377 c.c., art. 2384 c.c., comma 2, artt. 2500-bis e 2504-quater c.c.).

6.5. Con riferimento alla seconda questione – relativa alla definizione della nozione di nullità – la Corte, posto che la Direttiva non fornisce esplicitamente un’indicazione tranchant, ritiene di doverla ricavare in ottica funzionale. Si legge, difatti, in sentenza, che i tre casi di nullità delineati dall’art. 19 (mancanza di controllo preventivo di legittimità, giudiziario o amministrativo; difetto di atto pubblico; invalidità della Delibera assembleare di approvazione del progetto) attengono alla formazione della scissione e incidono sull’esistenza stessa di quest’ultima, trattandosi di ipotesi che ne comportano la scomparsa. Corollario di tale affermazione, quello per cui un rimedio che non demolisca l’operazione, non ne comporti la scomparsa, e non produca effetti nei confronti di tutti non contrasta con la nozione di nullità come intesa dalla Direttiva.

7. Alla luce delle considerazioni che precedono, il collegio intende dare continuità all’orientamento espresso da questa Corte con la già ricordata sentenza n. 31654 del 2019, richiamandosi alle motivazioni in essa contenute ed a quelle, poco sopra esposte, della Corte di giustizia con la sentenza 30 gennaio 2020, dalla quale sembra potersi evincere il principio secondo cui la tutela dei creditori, a fronte di atti societari, si estende sino a ricomprendervi, sia pur indirettamente e in via mediata, qualsiasi attribuzione patrimoniale a sua volta “indiretta”, in guisa di “contenuto” (i.e., le attribuzioni patrimoniali destinate alle singole società di nuova formazione) di un più ampio “contenitore” (la scissione societaria).

7.1. Il motivo di ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

8. Il terzo motivo non pare meritevole di accoglimento in relazione ad entrambe le censure in cui si articola.

8.1. E’ infondata la prima censura, relativa alla pretesa insussistenza del requisito dell’eventus damni, e ad una asserita carenza di motivazione in relazione ad esso. La Corte siciliana, difatti, pur affermando che la B.V. era rimasta, dopo la scissione, titolare di un “cospicuo patrimonio mobiliare”, precisa poi, del tutto correttamente, che, “sottoposta a pignoramento preso terzi, non risultava creditrice di alcuna somma tale da poter essere soddisfatto il credito fatto valere” (recte: tale da consentire il soddisfacimento del credito a garanzia del quale l’azione revocatoria era stata esperita), e ciò anche in ragione del fatto che restavano ad essa intestati “solo alcuni terreni di valore del tutto incapiente a garantire il credito”. Tanto basta a ritenere integrata l’esistenza di un’idonea motivazione, del tutto conforme a diritto, in ordine al requisito del cd. eventus damni (e ciò a prescindere dal rilevo che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ratione temporis al presente giudizio, il vizio motivazionale è circoscritto al solo caso in cui la parte motiva “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento: Cass. S.U. 3 novembre 2016, n. 22232), alla stregua del consolidato principio secondo cui l’azione revocatoria tutela non solo l’interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale costituita dai beni del debitore, ma anche all’assicurazione di uno stato di maggiore fruttuosità e speditezza dell’azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia (tra le molte conformi, funditus, Cass. 3, 9 marzo 2006, n. 5105).

8.2. Quanto alla seconda censura, relativa al consilium fraudis, essa neppure si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata – donde la sua inammissibilità.

8.3. La Corte territoriale, avendo qualificato l’atto oggetto di revocatoria in termini di gratuità, ha ritenuto – del tutto correttamente – che la parte appellata non fosse onerata di fornire la prova del consilium fraudis, e tale affermazione non risulta specificamente impugnata con il motivo in esame, onde l’applicazione del consolidato principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19989), sicchè la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso (Cass. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910).

IL RICORSO INCIDENTALE.

1. Il rigetto della domanda risarcitoria – fondato, dalla Corte territoriale, unicamente sul rilievo che l’atto di scissione presenterebbe natura gratuita, non richiedendosi tra i presupposti per la sua revocabilità il consilium fraudis si pone, a giudizio del collegio, al di sotto del limite motivazionale costituito, giusta il già ricordato insegnamento delle sezioni unite di questa Corte, dal cd. “minimo costituzionale”.

1.1. La circostanza (correttamente evidenziata dal giudice di appello) per la quale, nella specie, sarebbe stato necessario e sufficiente il requisito della sola scientia damni ai fini dell’accoglimento dell’esperita azione revocatoria non esimeva la Corte territoriale dal dovere di verificare (autonomamente) l’esistenza dei presupposti ai quali la giurisprudenza di questa Corte subordina la possibilità di conseguire, dal beneficiario dell’atto dispositivo revocato, il risarcimento del danno secondo i criteri generali dettati dall’art. 2043 c.c..

1.2. Questa Corte ha da tempo evidenziato come l’aspetto genetico dell’obbligazione risarcitoria abbia, nella specie, natura complessa, essendo, all’uopo, necessario:

– che l’originario atto di disposizione patrimoniale contenga tutti i requisiti che lo rendono assoggettabile ad un utile esercizio dell’azione revocatoria, ed alla conseguente declaratoria della sua inefficacia a favore del creditore e nei confronti del debitore e del terzo acquirente;

– che, successivamente alla sua stipulazione, il terzo abbia compiuto, in modo totale o parziale, atti elusivi della garanzia patrimoniale al cui ripristino è volto l’esercizio dell’azione revocatoria;

– che il fatto del terzo si caratterizzi per una originaria connotazione di illiceità, concorrente con quella del debitore (consilium fraudis) ovvero per una autonoma posizione di illiceità;

– che sussista un eventus damni a carico del creditore procedente (per l’affermazione di tali principi, in motivazione, Cass. 3, 13 gennaio 1996, n. 251; in senso conforme, più di recente, Cass. 3, ord. 19 febbraio 2019, n. 4721).

1.3. Nella specie, la Corte territoriale, chiamata a valutare la domanda risarcitoria avanzata dagli odierni controricorrenti, era investita del compito di procedere, funditus, ad un tale, complesso accertamento, senza potersi limitare alla sincopata affermazione (rilevante ad altri fini) secondo cui, per l’accoglimento dell’azione revocatoria, nella specie, si potesse prescindere dal consilium fraudis, la cui ricorrenza, di converso, avrebbe dovuto in concreto accertare quale (autonomo) presupposto per pronunciarsi sulla concorrente domanda risarcitoria.

P.Q.M.

La Corte:

RIGETTA il ricorso principale.

ACCOGLIE il ricorso incidentale, nei limiti di cui in motivazione.

CASSA la sentenza impugnata e rinvia il procedimento alla Corte di appello di Messina che, in diversa composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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