Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12045 del 31/05/2011

Cassazione civile sez. III, 31/05/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 31/05/2011), n.12045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10239-2009 proposto da:

ENI S.P.A. (già AGIP PETROLI S.P.A.) (OMISSIS), in persona del

Direttore Generale della Divisione Refining e Marketing Ing. C.

A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN NICOLA DA

TOLENTINO 50, presso lo studio dell’avvocato DE TILLA ROBERTO, che la

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BRITISH AMERICAN TOBACCO ITALIA S.P.A. (già E.T.I. – ENTE TABACCHI

ITALIANI S.P.A.) (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore e amministratore delegato Dott. C.P.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10,

presso io studio dell’avvocato GHIA LUCIO, che la rappresenta e

difende giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELLE FINANZE – AMMINISTRAZIONE AUTONOMA DEI MONOPOLI DI

STATO (OMISSIS);

– intimato –

nonchè da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE AMMINISTRAZIONE AUTONOMA DEI

MONOPOLI DI STATO (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– ricorrente incidentale –

contro

BRITISH AMERICAN TOBACCO ITALIA S.P.A. (già E.T.I. – ENTE TABACCHI

ITALIANI S.P.A.) (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore e amministratore delegato Dott. C.P.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10,

presso lo studio dell’avvocato GHIA LUCIO, che la rappresenta e

difende giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

ENI S.P.A. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 805/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI –

QUARTA SEZIONE CIVILE, emessa il 10/1/2008, depositata il 03/03/2008,

R.G.N. 643 e 714/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato DANIELA CIARDO (per delega dell’Avv. LUCIO GHIA);

udito l’Avvocato ANTONIO SCINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza depositata il 3.3.2008, la Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiarava la legittimazione attiva anche del Ministero delle finanze, Amministrazione autonoma Monopoli di Stato, estendendo anche in favore di esso la condanna dell’ENI al pagamento della somma liquidata in primo grado a titolo di risarcimento dei danni conseguenti all’incendio dovuto allo scoppio di un deposito costiero dell’azienda petrolifera avvenuto in (OMISSIS).

L’ENI propone ricorso per cassazione, notificato il 17 aprile 2009, sulla base di undici motivi; resistono con controricorso la British American Tobacco Italia S.p.A. e il Ministero, Azienda autonoma Monopoli di Stato, quest’ultima proponendo anche ricorso incidentale, con atto notificato a mezzo posta e spedito il 26 maggio 2009.

Il ricorrente, a conclusione di ciascuno dei motivi proposti per violazione di legge, assume che la sentenza impugnata sarebbe viziata per la violazione o per la mancata applicazione dei seguenti principi di diritto.

1. relativamente a censura di violazione dell’art. 184 c.p.c., sarebbe stato violato il seguente principio: “il sistema processuale vigente prima dell’emanazione della riforma non consentiva udienze di rinvio in prosieguo dell’udienza fissata dal giudice a norma dell’art. 184 c.p.c. ma imponeva la decadenza dalle attività istruttorie che in tale termine avrebbero dovuto essere richieste”.

La medesima questione viene proposta, sotto il profilo del vizio motivazionale, con il secondo motivo, senza formulare, tuttavia, il prescritto “momento di sintesi”.

2. relativamente a violazione degli artt. 184, 62 e 194 e 198 c.p.c., invoca l’applicazione del seguente principio: “la C.T.U. deve essere espletata sulla base dei documenti ritualmente prodotti dalle parti e durante il suo svolgimento non è consentita la produzione di nuovi documenti in possesso delle parti di cui avrebbe potuto disporsi nei termini fissati dal giudice istruttore per tale incombenza e non è consentito al C.T.U. il riferimento a documenti contabili in assenza dell’esplicito consenso delle parti;

3. relativamente a violazione degli artt. 99, 100 e 101, sulla questione di pretesa carenza di legittimazione attiva, chiede riaffermarsi “il principio ineludibile che il processo si svolga tra le parti che ne hanno diritto, che la controversia sia introdotta dalla domanda di chi ha interesse ad agire e che il presupposto della legittimazione attiva sia affermato In limine litis e non risolto a procedimento concluso, con le ovvie conseguenze defatigato rie e confusionarie che ne sono derivate per la parte che ha dovuto contraddire ad opposte e cumulative tesi difensive”;

4. relativamente a violazione degli artt. 2947 e 1219 c.c., rigettando l’eccezione di prescrizione, sarebbe stato violato il principio secondo cui “l’efficacia interruttiva della prescrizione estesa oltre gli atti esplicitamente previsti dalla legge la cui indicazione deve ritenersi tassativa e conseguentemente, se è attribuita efficacia interruttiva all’atto di costituzione in mora, essa non può essere estesa alle richieste di risarcimento dei danni che non sono assimilabili agli atti di costituzione in mora nei casi in cui essa non è prevista”.

I motivi n. 2 e quelli dal 5 al 10, relativi a vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c. non recano il prescritto “momento di sintesi”. Nè può considerarsi tale il periodo contenuto ala fine del sesto motivo, in cui il ricorrente cosi conclude “alla luce, pertanto, dell’accertamento compiuto dal giudice penale, deve escludersi la responsabilità dell’impresa esercente l’attività pericolosa in forza dell’invocata disposizione prevista dall’art. 2050 c.c., stante la piena prova raggiunta sull’effettiva sussistenza dell’esimente prevista dalla norma e cioè di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”.

Il Ministero formula ricorso incidentale, ritenendo insufficiente la motivazione con cui la Corte territoriale ha confermato il rigetto della domanda di risarcimento dei danni da mancato introito dell’imposta IVA e di consumo sulle sigarette che si sarebbero dovute produrre durante la chiusura forzata della “Manifattura tabacchi” a seguito dello scoppio del deposito Agip. I ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

I motivi del ricorso principale dell’ENI si rivelano tutti inammissibili per mancanza del momento di sintesi nei motivi secondo e dal sesto al decimo e per inidoneità dei quesiti formulati alla fine degli altri motivi, nei quali non si da conto neppure sinteticamente della fattispecie nè delle regole applicate dal giudicante nella sentenza impugnata, con conseguente non conferenza del quesito alle questioni rispettivamente controverse.

I quesiti, come noto, non possono consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769;

26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

Invece, i motivi formulati a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3 nel ricorso principale sono inammissibili, dato che, anzichè essere conclusi con idonei quesiti, terminano con la formulazione dei principi di diritto che il ricorrente lamenta erroneamente applicati (primo e quarto motivo) o che vorrebbe vedere affermati (terzo e quinto). Deve ribadirsi che, nel caso di violazioni denunciate – come nella specie – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico- giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità; non può, pertanto, ritenersi sufficiente che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’ esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè anche una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ha inteso valorizzare (Cass., Sez. 2, 20 giugno 2008 n. 16941).

Del resto, consistendo solo nell’indicazione del principio che si vorrebbe affermato o che si assume erroneamente applicato, essi non contengono – come si è sopra rilevato – gli altri requisiti ritenuti indispensabili per la formulazione di idonei quesiti di diritto, rappresentati dalla sintesi degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e della sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice (Cass., Sez. 3, Ord. n. 19769 del 17/07/2008, cit.), o, rispettivamente, della regola che si vorrebbe vedere applicata.

Quanto ai motivi con cui si deducono vizi di motivazione, a completamento della relativa esposizione, essi devono indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (Cass. 17/7/2008 n. 19769, in motivazione).

Orbene, nel caso con riferimento al secondo ed a quelli dal sesto al decimo motivo, nonchè a parte di quelli dal terzo al quinto e dell’undicesimo, con i quali vengono denunziati vizi di motivazione, il ricorrente non ha formulato i richiesti momenti di sintesi.

Difetta, pertanto, la “chiara indicazione” del “fatto controverso” e delle “ragioni” che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, indicati dall’art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte, oltre che consistere in un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nella sentenza impugnata. La parte dell’undicesimo motivo, relativo alle spese della sentenza impugnata, nella parte in cui denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. è privo del prescritto quesito di diritto.

I motivi si rivelano pertanto privi dei requisiti richiesti a pena di inammissibilità dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.

Data l’inammissibilità del ricorso principale, si rivela inammissibile anche quello incidentale, tardivamente proposto (26 maggio 2009), rispetto al termine lungo (scaduto ill8 aprile 2009) per l’impugnazione della sentenza d’appello (depositata il 3 marzo 2008) . Si deve ribadire, al riguardo, che l’unica conseguenza sfavorevole dell’impugnazione cosiddetta “tardiva” è che essa perde efficacia se quella principale viene, come nella specie, dichiarata inammissibile (da ultimo, nella specie, dichiarata inammissibile (da ultimo, Cass. n. 15483/08; conf. Cass. n. 7827/90). Pertanto, i ricorsi vanno dichiarati entrambi inammissibili. Tenuto conto della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio vanno compensate tra l’Eni ed il Ministero, mentre l’ente petrolifero va condannato alle spese nei confronti della società resistente secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili. Compensa le spese tra l’ENI ed il Ministero. Condanna l’ENI al pagamento delle spese nei confronti della società resistente che liquida in Euro 7.200= di cui Euro 7.000= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011

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