Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12044 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. II, 17/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 17/05/2010), n.12044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PAVILINEA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del

ricorso, dall’avv. DE MATTEIS Giancarlo, elettivamente domiciliata

nello studio di quest’ultimo in Roma, Via Labicana, n. 92;

– ricorrente –

contro

PAVA s.a.s. di Mattivi P. & C., in persona del legale

rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a

margine del controricorso, dall’Avv. BREGOLI Ugo e Arturo Leone,

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

Lungotevere A. da Brescia, n. 9;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento n. 533 depositata

il 17 dicembre 2003.

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 22

aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Andrea G. Ligi, per delega dell’Avv. Arturo Leone, per

la società controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario G., che ha concluso per il rigetto del

ricorso, con condanna alle spese.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 18 maggio 2000, la Pava s.a.s. di Mattivi P. & C. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Trento, la Pavilinea s.r.l., per sentirla condannare a corrisponderle la somma di L. 18.153.450, che assumeva dovutale a titolo di corrispettivo del contratto di prestazione d’opera per la pavimentazione in porfido del piazzale di una villa privata presso il cantiere della committente convenuta.

Deduceva: che, nel corso dei lavori, la convenuta aveva apportato delle variazioni all’accordo iniziale, cosicchè nella parte centrale del piazzale essa avrebbe dovuto posare, al posto delle piastrelle in porfido, piastrelle “brasiliane” di spessore inferiore a quello delle piastrelle in porfido; che, poichè le piastrelle “brasiliane” avevano una differenza di suono nel calpestio, essa aveva ricevuto l’incarico dalla convenuta di rifare totalmente la pavimentazione e di demolire e riposizionare i “binderi”; che, per conto della committente, essa aveva sostenuto un costo per complessive L. 27.513.451, su cui la Pavilinea aveva versato solo un acconto di L. 8.653.846, oltre IVA. Si costituì la Pavilinea, resistendo alla domanda attrice e svolgendo domanda riconvenzionale, sia per il pagamento di una propria fattura di L. 8.412.020, sia per il risarcimento dei danni subiti a causa dei vizi nelle opere eseguite dalla stessa Pava.

Il Tribunale di Trento accoglieva parzialmente la domanda svolta dalla Pava e condannava la Pavilinea al pagamento della somma di Euro 4.104,31 (corrispondenti a L. 7.947.050, portati dalla fattura della Pava n. (OMISSIS)), oltre a interessi e spese nella misura del 50%, con compensazione del residuo, e respingeva le domande riconvenzionali svolte dalla Pavilinea.

2. – La Corte d’appello di Trento, con sentenza n. 533 del 17 dicembre 2003, ha rigettato il gravame principale della Pavilinea ed accolto quello incidentale della Pava e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la Pavilinea a pagare alla Pava l’importo di Euro 8.970,04, oltre interessi, ponendo a carico della soccombente i 4/5 delle spese di entrambi i gradi del giudizio, con compensazione della restante parte.

2.1. – La motivazione sentenza della Corte d’appello può essere sintetizzata nelle seguenti proposizioni.

Il contratto tra la Pavilinea e la Pava si inquadra nello schema dell’appalto.

Il difetto riscontrato consiste nella idoneità da eccessiva sottigliezza del materiale fornito dalla Pavilinea alla Pava.

L’inidoneità delle piastrelle non poteva essere percepita prima della posa in opera, in quanto l’insufficiente spessore è stato individuato come causa del suono a vuoto che esse emanavano solo dopo che si è tentato di procedere alla riparazione delle piastrelle indicate come difettate.

Non v’è la prova, che doveva essere fornita dalla Pavilinea, che il materiale fornito fosse immediatamente percepibile quale inidoneo all’uso per il quale era stato destinato, tenuto conto della funzione estetica che esso doveva ricoprire nell’ambito della complessa ed elegante ristrutturazione.

La scelta del materiale ad opera della committenza necessariamente riduceva e comprimeva la possibilità da parte dell’esecutore finale di previamente percepire la inidoneità del materiale fornito, che comunque solo ad opera eseguita è risultato effettivamente inidoneo allo scopo per il quale era stato fornito.

Siccome il rifacimento dell’opera è stato determinato dall’inidoneità del materiale fornito dalla Pavilinea, questa non poteva esimersi dal corrispondere il dovuto con riferimento anche alla nuova prestazione di posa in opera.

La Pavilinea è decaduta dalla proposizione della domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni da ritardata consegna dell’opera. La domanda riconvenzionale è stata infatti depositata in cancelleria il 12 settembre 2000 per l’udienza del 4 ottobre 2000 e quindi (secondo la regola generale applicabile ai termini che decorrono a ritroso, per cui non si conta il giorno iniziale mentre si computa quello finale), la costituzione non è tempestiva, essendo trascorsi solo 19 giorni (come eccepito fin dalla prima udienza di comparizione innanzi al giudice di primo grado), tenuto conto che la sospensione feriale dei termini si applica indifferentemente a tutti i termini processuali, a nulla rilevando come essi debbano essere computati.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso la Pavilinea, con atto notificato il 31 gennaio 2005, sulla base di due motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione degli artt. 1667 e 1668 cod. civ., in relazione all’art. 1663 cod. civ.) la ricorrente rileva che – nonostante la Pava e per essa il suo posatore si fossero accorti nel corso dell’esecuzione dell’opera che il materiale fornito dalla Pavilinea presentava dei difetti, perchè le piastrelle non potevano essere battute sulla caldana di posa – la società appaltatrice non ha dato il pronto avviso alla committente, in violazione dell’art. 1663 cod. civ., anzi ha continuato ed ultimato l’opera di pavimentazione, assumendosene ogni responsabilità.

La motivazione della sentenza della Corte d’appello sarebbe illogica e contraddittoria. Si assume che da un lato i giudici del gravame hanno rilevato che l’insufficiente spessore è stato individuato come causa del suono a vuoto che emanavano solo dopo che si è tentato di procedere alla riparazione delle piastrelle indicate come difettose;

dall’altro, hanno sottolineato che l’inidoneità del materiale è stata desunta dal fatto che, in corso d’opera, le piastrelle non potevano essere battute dal posatore sulla caldana di posa perchè troppo sottili. Si sostiene che ciò che la Pava avrebbe dovuto denunciare, ai sensi dell’art. 1663 cod. civ., non era la scelta estetica dell’opera o il tipo o colore del materiale, bensì lo spessore insufficiente delle piastrelle fornite, come accertato in corso d’opera.

Insufficiente sarebbe poi la motivazione della sentenza impugnata in merito alla irrilevanza degli ulteriori difetti della posa, individuati nel fatto che le piastrelle avevano quote diverse e presentavano fughe non regolari. Invero, anche se le piastrelle avessero avuto uno spessore sufficiente, la posa delle stesse a quote diverse e con fughe non regolari avrebbe comportato necessariamente il rifacimento del lavoro. Di qui l’erroneità della decisione della Corte d’appello, che ha condannato la Pavilinea a pagare alla Pava anche la successiva prestazione per il rifacimento della posa.

La sentenza della. Corte di merito sarebbe censurabile anche per violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 e 1668 cod. civ., in relazione all’art. 1663 cod. civ., avendo erroneamente ritenuto che fosse onere della società appellante fornire la prova che il materiale fosse immediatamente percepibile quale inidoneo all’uso per il quale era stato destinato.

2. – Il motivo è fondato, nei termini di seguito precisati.

Se i materiali sono forniti dal committente, l’appaltatore, oltre che un interesse, ha un onere ad eseguire il controllo sulla loro qualità e specifica idoneità, perchè tale verifica gli permette di evitare di incorrere nella responsabilità derivante da vizi e difformità dell’opera dovuta a difetti del materiale. Per liberarsi dalla responsabilità verso il committente, l’appaltatore è tenuto, ai sensi dell’art. 1663 cod. civ., a metterlo sull’avviso: prima dell’impiego dei materiali, se i difetti, le difformità o l’inidoneità degli stessi erano riconoscibili da un tecnico dell’arte già all’atto della consegna; in corso di esecuzione, se quei vizi o quella inidoneità, occulti (cioè non riconoscibili neppure con l’impiego della diligenza professionale) al momento della consegna, siano stati scoperti durante l’impiego dei materiali medesimi (cfr. Cass., Sez. 2^, 10 dicembre 1994, n. 10580; Cass., Sez. 2^, 14 gennaio 2010, n. 470).

Tanto premesso, la sentenza impugnata è affetta da contraddittorietà della motivazione in punto di fatto.

Invero, la conclusione – alla quale è giunta la Corte territoriale – che “la inidoneità del materiale fornito è emersa in tutta la sua realtà soltanto dopo che esso era stato posato”, si pone in contraddizione con quanto affermato in altro luogo dalla stessa sentenza, dove, riportandosi la deposizione testimoniale del posatore, si riferisce “che non era possibile battere le piastrelle per il loro insufficiente spessore che rischiava di determinare la rottura se violentemente compresse sulla caldana di posa”.

Tale deposizione testimoniale, valorizzata dalla Corte di Trento in relazione alla prova della riconducibilità del difetto dell’opera di pavimentazione alla inidoneità del materiale fornito dalla committente, appare indicativa del fatto che l’appaltatore si è accorto della inidoneità di quel materiale, non già ad esecuzione avvenuta, ma via via che esso veniva adoperato, nel corso della posa in opera, ove si consideri che la battitura sulla caldana di posa è operazione che viene eseguita durante l’opera di pavimentazione.

La contraddittoria motivazione afferisce ad un punto decisivo della controversia, tenuto conto che, in tema di appalto, ai sensi dell’art. 1663 cod. civ., se il difetto o l’inidoneità dei materiali forniti dal committente è tale da compromettere la regolare esecuzione dell’opera e viene scoperto quando questi non siano stati ancora del tutto impiegati, l’appaltatore, oltre a darne avviso al committente, ha l’obbligo di sospendere i lavori, o comunque di non continuare ad utilizzare i materiali difettosi, essendo tenuto a proseguire comunque l’opera impiegando quei materiali soltanto se il committente non acconsente a sostituirli e insiste per il loro impiego.

3. – Con il secondo mezzo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 166 cod. proc, civ., in relazione alla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1. Avrebbe errato la Corte di merito a ritenere non tempestiva la proposizione della domanda riconvenzionale: poichè il termine per la costituzione del convenuto va computato a ritroso, ad esso non sarebbe applicabile la sospensione feriale, considerato che questa si proietta verso il futuro e non verso il passato. Una tale interpretazione comporterebbe un danno per l’avvocato, che vedrebbe risolversi a proprio danno la sospensione, che la legge impone invece a sua tutela.

4. – Il motivo è privo di fondamento.

La sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, ai sensi della L. 7 ottobre 1969, n. 742, comporta la sottrazione del relativo computo dal medesimo, sicchè il termine, di venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, per la tempestiva costituzione da parte del convenuto con comparsa di risposta, che è necessario rispettare per la proposizione, da parte del medesimo, di domanda riconvenzionale, va calcolato – ove detta udienza sia indicata in una data successiva al compimento del periodo feriale, ma tale che il termine di venti giorni prima di essa cada in questo periodo – mediante un conteggio a ritroso che nel periodo feriale incontra una parentesi, oltre la quale il conteggio deve proseguire fino ad esaurimento.

Detto principio – al quale si è attenuta la Corte di merito, giudicando preclusa la possibilità per il convenuto di proporre la domanda riconvenzionale, essendo la comparsa di risposta che la conteneva stata depositata il 12 settembre 2000, a fronte di un’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione per il 4 ottobre 2000 – è conforme all’orientamento di questa Corte, che ha ritenuto applicabile la sospensione feriale anche ai termini processuali da computarsi a ritroso, come si ricava dalle seguenti pronunce:

– da Cass., Sez. 2^, 28 maggio 2007, n. 12490, che, “tenuto conto della sospensione dei termini per il periodo feriale”, ha giudicato tardiva “la costituzione … avvenuta soltanto diciotto giorni prima dell’udienza indicata in citazione (udienza 3 ottobre 1996, costituzione depositata il 13 settembre 1996)”, e ritenute maturate le “preclusioni di legge, tra cui l’impossibilità di chiamare in causa un terzo”;

da Cass., Sez. 1^, 12 settembre 2003, n. 13444, la quale ha sottolineato che il termine per la costituzione del convenuto ha la funzione “di consentire all’altra parte di prendere visione della comparsa di risposta in tempo utile per l’udienza di prima comparizione. Il che, necessariamente, impone di tenere conto della sospensione dei termini nel periodo feriale”;

da Cass., Sez. 1^, 11 giugno 2003, n. 9351, la quale – con riguardo al termine decadenziale di venti giorni prima per la proposizione dell’appello incidentale, ai sensi dell’art. 343 cod. proc. civ. – ha ritenuto, in un caso nel quale l’udienza di comparizione era stata fissata nell’appello principale per il 5 ottobre, che, “ricadendo il 15 settembre .. nell’ambito del periodo di sospensione feriale dei termini, esso non possa essere assunto in alcun modo in considerazione a nessun fine, tanto meno a quello di integrare il termine dei venti giorni prima, fissato dall’art. 166 cod. proc. civ.”;

– da Cass., Sez. 3^, 20 maggio 1983, n. 3494, con riguardo al termine di dieci giorni prima dell’udienza di discussione, fissato dall’art. 436 cod. proc. civ., per la proposizione dell’appello incidentale nel rito del lavoro;

– da Cass., Sez. 2^, 7 ottobre 2005, n. 19530, in relazione al termine di cinque giorni prima dell’udienza di discussione, entro il quale, ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., le parti, nel giudizio di cassazione, possono depositare memorie illustrative (nel caso, la Corte ha ritenuto tardiva una memoria depositata il giorno 15 settembre per l’udienza del giorno 20 successivo).

5. – Per effetto dell’accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata è cassata.

La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Trento, che la deciderà in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà ache sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta, il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

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