Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12043 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 06/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 06/05/2021), n.12043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16891/2019 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI, 123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALMAVIVA CONTACT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 66,

presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1335/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/03/2019 R.G.N. 3378/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BENEDETTO SPINOSA;

udito l’Avvocato GIAMPIERO FALASCA.

 

Fatto

1. Con sentenza del 22 marzo 2019, la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo proposto da R.A. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione delle sue domande di nullità, o in subordine di illegittimità per violazione dei criteri di scelta e comunque della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, del licenziamento intimatole dalla datrice con effetto dal 30 dicembre 2016 e di conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria, oltre che di versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

2. In esito ad ampia ricostruzione del fatto e disamina dei motivi di gravame, la Corte capitolina, preliminarmente chiarita la revoca (con accordo sindacale del 31 maggio 2016) della comunicazione 21 marzo 2016 di avvio della prima procedura di riduzione del personale, accertava la rispondenza della successiva in data 5 ottobre 2016 ai requisiti prescritti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, che illustrava le ragioni della crisi che rendeva necessaria la procedura di licenziamento collettivo interessante 1.666 lavoratori delle Divisioni (OMISSIS) e tutti gli 845 dell’unità produttiva di (OMISSIS), con applicazione dei criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei predetti siti interessati dagli esuberi. Essa dava altresì conto della conclusione dell’accordo con verbale del 21 e 22 dicembre 2016, sottoscritto da tutte le parti sociali, con esclusione della sottoscrizione soltanto delle RSU di Roma, tuttavia non ostativa, per la rappresentatività garantita dai firmatari di tutti i lavoratori interessati.

3. La Corte d’appello negava quindi che la suindicata limitazione della platea degli esuberi alle due divisioni di (OMISSIS) e all’unità produttiva di (OMISSIS) costituisse vizio della procedura, avuto riguardo all’esplicita illustrazione delle sue ragioni nella comunicazione di avvio, per l’ubicazione ad almeno 500 km di distanza delle sedi non interessate (in particolare: (OMISSIS)), tale da rendere antieconomico, rispetto alle esigenze riorganizzative della società, in luogo di un licenziamento, un trasferimento collettivo (avendo peraltro soltanto diciassette lavoratori accettato un trasferimento individuale in diversa sede, rispetto all’offerta di revoca fino ad un massimo di 75 licenziamenti in favore di chi per iscritto avesse richiesto di essere trasferito). Nè, infine, potevano ritenersi fungibili le mansioni degli operatori inbound (aventi accesso ai programmi della cliente e dediti ad attività più complessa di risoluzione di problemi della chiamante), quale R.A., assunti con contratto di lavoro subordinato addetti alle divisioni e unità soppresse, e quelle degli operatori outbound, adibiti a ricerche di mercato e rilevazioni statistiche ed essenzialmente reclutati come collaboratori coordinati e continuativi: senza alcuna promiscuità di personale in riferimento ad attività tipologicamente diverse.

4. Con atto notificato il 21 maggio 2019, il lavoratore ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui la società resisteva con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, per erroneo assunto della possibilità di comunicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, diversi da quelli legali, nella comunicazione di apertura della procedura, prima dell’esame congiunto con le organizzazioni sindacali, in virtù della delimitazione dell’ambito dei licenziamenti fin dalla enunciazione delle ragioni della crisi.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, per erronea individuazione, in contrasto con l’insegnamento giurisprudenziale di legittimità, dell’ambito delle esigenze tecniche, produttive e organizzative determinanti l’entità della riduzione di personale, entro il quale operare la selezione degli esuberi, anzichè nell’intero complesso aziendale, in specifiche strutture aziendali (le due Divisioni romane e l’intera unità produttiva di (OMISSIS)), cui delimitabile soltanto in presenza di professionalità infungibili rispetto alle altre.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, omessa pronuncia e nullità della sentenza, per la falsità e l’insufficienza, non considerate, della comunicazione del 5 ottobre 2016, in relazione a trasferimenti collettivi e ammortizzatori sociali adottati per la sistemazione dell’eccedenza di personale nell’unità di (OMISSIS), con valutazioni contraddittorie in relazione alla contemporanea loro compatibilità per la situazione di (OMISSIS) e invece incompatibilità per quella invece di (OMISSIS) e di (OMISSIS).

4. Con il quarto, il ricorrente deduce falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, per la mancata indicazione nella comunicazione di apertura, nè nel corso della procedura, della possibilità di evitare il licenziamento per 75 persone (ma soltanto nella lettera di licenziamento, colta da diciassette lavoratori, che hanno richiesto il trasferimento volontario), senza esplicitazione delle modalità di attuazione dei criteri di scelta, in particolare senza valorizzazione di quello delle esigenze tecnico-produttive; così pure in riferimento alle lavoratrici madri, alcune delle quali trasferite (almeno quindici nell’arco dei centoventi giorni dalla chiusura della procedura), mentre altre licenziate al termine delle tutele; essendo poi in re ipsa la fungibilità dei lavoratori delle commesse ENI e Trenitalia, avendo continuato a svolgere il lavoro di quelli licenziati; con violazione ancora dei criteri di scelta in base alla illecita delimitazione della platea degli esuberi, ancora una volta senza esplicitazione del criterio delle esigenze tecnico-produttive, anche in riferimento al licenziamento nella Business Unit di (OMISSIS) di quattro operatori di call center, per posizioni fungibili con quelle degli operatori delle Divisioni (OMISSIS), senza indicazione nella comunicazione delle puntuali modalità di attuazione dei criteri di scelta, ma solo nella dichiarazione di apertura (e nella memoria in fase sommaria della società).

5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, per la recessività della legittimità, quand’anche ritenuta, dell’accordo del 22 dicembre 2016, rispetto alla ravvisata necessità di delimitazione (alle due Divisioni romane e all’intera unità produttiva di (OMISSIS)) della platea degli esuberi (per la distanza chilometrica delle sedi escluse, l’antieconomicità, incompatibile con la riorganizzazione programmata, del trasferimento collettivo di lavoratori presso altre sedi, ulteriormente complicato dalla vigenza ivi di regimi orari lavorativi molto diversificati), sull’indimostrato presupposto della necessità di trasferire lavoratori e commesse da (OMISSIS), con ragionamento pure contraddittorio e illogico anche per la necessità comunque di addestramento del personale dei siti di trasferimento delle commesse per continuare a rendere al committente il servizio già reso nel sito chiuso; senza neppure menzione nella dichiarazione di apertura della procedura del trasferimento collettivo di lavoratori da (OMISSIS).

6. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

7. Nella verifica di legittimità del licenziamento collettivo attuato da Almaviva Contact s.p.a., in esito alla comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016, con intimazione di recesso ai singoli lavoratori delle Divisioni (OMISSIS) con lettere del 22 dicembre 2016 e decorrenza dal 30 dicembre 2016, ritenuta dalla sentenza della Corte d’appello di Roma impugnata, giova muovere da un principio orientativo unanimemente condiviso: la cessazione dell’attività è scelta dell’imprenditore, che costituisce esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. 22 dicembre 2008, n. 29936). Sicchè, la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi che ne derivino, secondo le regole dettate per il collocamento dei lavoratori in mobilità dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, applicabili per effetto dell’art. 24 della stessa legge, ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività di tale scelta (Cass. 22 marzo 2004, n. 5700; Cass. 6 settembre 2019, n. 22366).

E la previsione degli artt. 4 e 5 L. cit. di una puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda; sicchè, i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione (compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso): con la conseguente inammissibilità, in sede giudiziaria, di censure intese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, che investano l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; Cass. 3 marzo 2009, n. 5089; Cass. 26 novembre 2018, n. 30550).

8. Sulla base di questa premessa condivisa occorre allora scrutinare la legittimità dell’operazione compiuta da Almaviva Contact s.p.a., che, dopo una prima procedura, avviata con la comunicazione del 21 marzo 2016, riguardante 2.988 lavoratori in esubero dislocati presso le sedi di (OMISSIS) e revocata per accordo con le organizzazioni sindacali il 31 maggio 2016, ha aperto la procedura in esame, a seguito di un peggioramento della crisi nei siti di (OMISSIS) e (OMISSIS). E ciò essa ha disposto con la suddetta comunicazione del 5 ottobre 2016, che ha illustrato le ragioni che rendevano necessario il licenziamento di 1.666 lavoratori delle Divisioni (OMISSIS) e di tutti gli 845 dell’unità produttiva di (OMISSIS), con applicazione dei criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei predetti siti interessati dagli esuberi: così limitandone la platea alle due divisioni romane e all’unità produttiva partenopea e applicando i criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti.

8.1. In applicazione del principio generale suenunciato, va subito detto che le ragioni tecniche, organizzative e produttive, salva la ricorrenza delle ipotesi sopra indicate, non possono essere sindacate: invero neppure sono state oggetto di contestazione, avendone la sentenza impugnata dato atto.

Le questioni che si pongono all’esame di questa Corte attengono allora, in scansione logicamente sequenziale: a) alla completezza informativa della comunicazione di apertura; b) alla legittimità di individuazione della platea degli esuberi limitatamente a singole unità produttive (per quel che qui interessa: le due divisioni romane), anzichè in riferimento all’intero complesso aziendale; c) all’individuazione e applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori, anche in correlazione con la fungibilità o meno delle loro mansioni.

9. Come noto, la comunicazione di apertura della procedura, con la quale l’impresa manifesti la volontà di esercitare la facoltà di procedere ad una riduzione del personale alle organizzazioni sindacali aziendali e alle rispettive associazioni di categoria (L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2), deve contenere le indicazioni prescritte dall’art. 4, comma 3 L. cit. E segnatamente: a) i motivi che determinano la situazione di eccedenza; b) i motivi tecnici, organizzativi e produttivi per i quali non risultino possibili rimedi alternativi ai licenziamenti; c) il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente e di quello abitualmente impiegato; d) i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale e delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dei licenziamenti.

Essa deve, infatti, adempiere compiutamente l’obbligo di fornire le informazioni specificate dal citato art. 4, comma 3, così da consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero: sicchè, l’inadeguatezza delle informazioni, che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni del medesimo art. 4, determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a norma dell’art. 4, comma 12 (Cass. 16 gennaio 2013, n. 880; Cass. 3 luglio 2015, n. 13794). Ciò che comunque conta, in funzione dell’esercizio del controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa (non più, come detto, esercitato ex post dal giudice, ma) devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, è l’idoneità in concreto della comunicazione a renderle effettivamente edotte degli aspetti individuati nel citato art. 4, comma 3, in modo da escludere maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali (Cass. 18 novembre 2016, n. 23526, con richiamo, tra le altre, di: Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; Cass. 21 febbraio 2012, n. 2516).

9.1. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato la completezza della comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016, ritenendola esaustiva per la sua ampia articolazione nei punti specificamente enumerati, sviluppati in ben tredici pagine (come indicato a pg. 8 della sentenza), sulla scorta di argomentazione congrua, a sostegno di un’interpretazione, riservata esclusivamente al giudice di merito, assolutamente plausibile (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044), neppure censurata con indicazione dei canoni interpretativi violati, nè tanto meno di specificazione delle ragioni nè del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350), così contestando il risultato interpretativo in sè (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891), pertanto insindacabile in sede di legittimità.

10. In particolare, nella comunicazione in esame, Almaviva Contact s.p.a. ha specificamente circoscritto il progetto di ristrutturazione e ridimensionamento aziendale alle unità produttive di (OMISSIS) e (OMISSIS), indicando analiticamente le ragioni ostative ad un’estensione della comparazione al personale impiegato presso le unità produttive non toccate da tale progetto ((OMISSIS)): con delimitazione pertanto della platea “al personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti produttivi interessati dagli esuberi ((OMISSIS) e (OMISSIS)), in ragione della chiusura totale delle Divisioni (OMISSIS) (per quanto riguarda (OMISSIS)) e dell’intero sito (per quanto riguarda (OMISSIS))”. In particolare, in essa si legge che “la società ritiene incompatibile con l’attuale situazione di grave criticità aziendale l’applicazione dei criteri di scelta all’intero organico aziendale”; e ciò per “la distanza geografica di queste due unità produttive dagli altri siti aziendali”, che renderebbe “insostenibile sul piano economico, produttivo e organizzativo l’applicazione dei criteri di scelta sull’intero organico aziendale, richiedendo tempi di attuazione e delle modifiche organizzative talmente complesse da compromettere il regolare svolgimento dei servizi… finendo per aggravare ulteriormente la situazione di squilibrio strutturale in cui versa l’azienda…”; inoltre, l’impossibilità di una comparazione del personale a livello dell’intera azienda è giustificata dall’avere “ciascun sito produttivo… caratteristiche tali da rendere infungibili le risorse ivi presenti con il personale collocato presso le altre sedi, in quanto le commesse… non possono essere agevolmente spostate da un sito all’altro (e quindi da una popolazione professionale all’altra) senza l’attuazione di interventi formativi, organizzativi e logistici incompatibili con la situazione economica in cui versa l’azienda” (come si legge a pg. 14 della sentenza).

10.1. E’ risaputo che l’individuazione dei lavoratori da licenziare debba avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi o con accordi sindacali, ovvero, in mancanza, dei criteri, tra loro concorrenti, dei carichi di famiglia, di anzianità e (nuovamente) delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative (L. n. 223 del 1991, art. 5).

Sicchè, “in via preliminare, la delimitazione del personale “a rischio” si opera in relazione a quelle esigenze tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la comunicazione di cui all’art. 4, comma 3 cit.; è ovvio che, essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell’impresa per addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare. Ma va attribuito il debito rilievo anche alla previsione testuale della norma secondo cui le medesime esigenze tecnico produttive devono essere riferite al “complesso aziendale”; ciò in forza dell’esigenza di ampliare al massimo l’area in cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più si restringe l’ambito della selezione… La delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta. Per converso, non si può, invece, riconoscere, in tutti i casi, una necessaria corrispondenza tra il dato relativo alla “collocazione del personale” indicato dal datore nella comunicazione di cui all’art. 4 e la precostituzione dell’area di scelta. Il datore infatti segnala la collocazione del personale da espungere (reparto, settore produttivo…), ma ciò non comporta automaticamente che l’applicazione dei criteri di scelta coincida sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori interessati siano sempre esclusi dal concorso con tutti gli altri, giacchè ogni delimitazione dell’area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano. ove il datore, nella comunicazione di cui all’art. 4, indicasse che tutto il personale in esubero è collocato all’interno di un unico reparto, essendo solo questo oggetto di soppressione o di ristrutturazione, non sarebbe giustificato limitare l’ambito di applicazione dei criteri di scelta a quegli stessi lavoratori nel caso in cui svolgessero mansioni assolutamente identiche a quelle ordinariamente svolte anche in altri reparti, salva la dimostrazione di ulteriori ragioni tecnico-produttive ed organizzative comportanti la limitazione della selezione. Ed ancora, quando la riduzione del personale fosse necessitata dall’esistenza di una crisi che induca alla riduzione, genericamente, dei costi, non vi sarebbe, quanto meno in via teorica, alcun motivo di limitare la scelta ad uno dei settori dell’impresa, e quindi la selezione andrebbe operata in relazione al complesso aziendale. Con il che si può spiegare, nell’art. 5 citato, la duplicità – altrimenti scarsamente comprensibile – del richiamo alle “esigenze tecnico produttive ed organizzative”, perchè, nella prima parte, esse si riferiscono all’ambito di selezione, mentre, nella seconda parte, le medesime esigenze concorrono poi nel momento successivo, con gli altri criteri… alla individuazione del singolo lavoratore (salvo che non operino altri criteri concordati con i sindacati)…. pertanto, va dato rilievo non alla categoria di inquadramento, ma al profilo professionale…” (Cass. 19 maggio 2005, n. 10590, che ha ritenuto corretta la soluzione della Corte di appello di Roma, di valorizzazione dell’accordo sindacale nella parte in cui aveva individuato l’ambito dei reparti interessati dall’eccedenza di personale, con accertamento in fatto dell’inesistenza di posizioni lavorative fungibili e conseguente esclusione della possibilità di comparazione anche con gli altri operai, siccome in possesso di una diversa professionalità).

Nella prospettiva così prefigurata, questa Corte ha affermato, con indirizzo interpretativo consolidato: a) la legittima delimitazione della platea, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, ben potendo le esigenze tecnico-produttive ed organizzative costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purchè il datore indichi nella comunicazione prevista dall’art. 4, comma 3 citato sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. 9 marzo 2015, n. 4678; Cass. 12 settembre 2018, n. 22178; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387); b) la funzione dell’accordo sindacale (che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentino, senza che occorra l’unanimità) di determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, nella regolamentazione delegata dalla legge (come evidenziato dalla sentenza Corte Cost. 22 giugno 1994, n. 268), dovendo rispettare non solo il principio di non discriminazione (L. n. 300 del 1970, art. 15), ma anche il principio di razionalità, sicchè i criteri concordati devono avere caratteri di obiettività e di generalità, oltre che di coerenza con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori (Cass. 20 marzo 2013, n. 6959; Cass. 5 febbraio 2018, n. 2694); c) la legittima limitazione della platea dei lavoratori interessati, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, agli addetti ad essi sulla base soltanto di oggettive esigenze aziendali, purchè siano dotati di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle atre (Cass. 11 luglio 2013, n. 17177; Cass. 12 gennaio 2015, n. 203; Cass. 1 agosto 2017, n. 19105; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387).

10.2. Ebbene, nel caso di specie, la Corte capitolina, con argomentazione congrua, articolata e attenta ad ogni sviluppo della fase negoziale (così risultando la sua interpretazione insindacabile in sede di legittimità, per le ragioni più sopra illustrate in riferimento alla comunicazione di apertura), ha accertato la conclusione di un accordo della società datrice con le organizzazioni sindacali sulla “limitazione di applicazione dei criteri legali alle sole sedi da sopprimere di (OMISSIS) e di (OMISSIS), meglio specificandolo come “legittima determinazione di criteri di scelta diversi da quelli stabiliti per legge, e, in particolare, il legittimo rilievo soltanto alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, senza considerare i criteri del carico di famiglia e dell’anzianità di servizio, così limitando la scelta ad un solo settore o ad una sola o più sedi e non con riferimento a tutti i dipendenti in servizio nell’azienda” (come si legge a pg. 22 della sentenza): in corrispondenza con quanto comunicato nella lettera di apertura (“Si precisa sin d’ora che i criteri di scelta saranno applicati comparando il personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti produttivi interessati dagli esuberi ((OMISSIS) e (OMISSIS)), in ragione della chiusura totale delle Divisioni (OMISSIS) (per quanto riguarda (OMISSIS)) e dell’intero sito (per quanto riguarda (OMISSIS))”). E ciò in applicazione del principio, secondo la previsione della L. n. 223 del 1991, artt. 5 e 24 (in base ai quali i criteri di selezione del personale da licenziare, ove non predeterminati secondo uno specifico ordine stabilito da accordi collettivi, devono essere osservati in concorso tra loro), il quale, se impone al datore di lavoro una loro valutazione globale, non esclude tuttavia che il risultato comparativo possa essere quello di accordare prevalenza ad uno e, in particolare, alle esigenze tecnico-produttive, essendo questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione del personale: sempre che naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie (Cass. 19 maggio 2006, n. 11886).

Inoltre, la corte d’appello ha ritenuto che tale accordo non sia discriminatorio, nè contrario a ragionevolezza (Cass. 20 marzo 2013, n. 6959).

Non appare poi corretto il riferimento, pure adombrato, ad una sorta di identificazione “fotografica” dei dipendenti prescelti, posto che essa si configura nell’ipotesi, qui non ricorrente, di una comunicazione datoriale contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le relative qualifiche, un semplice cenno a precedenti incontri con le organizzazioni sindacali, solo marginalmente relativi ai motivi tecnici della necessaria riduzione, in violazione delle dettagliate prescrizioni, funzionali alla valutazione da parte sindacale dell’opportunità di chiedere l’esame congiunto della situazione e dei possibili rimedi (Cass. 30 ottobre 1997, n. 10716; Cass. 29 dicembre 2004, n. 24116).

10.3. Benchè la questione in esame potesse già ritenersi risolta, la Corte capitolina si è tuttavia onerata di rispondere alla doglianza di non ragionevolezza della limitazione della platea dei lavoratori da licenziare.

E ciò ha fatto, sempre con argomentazioni adeguate e coerenti con la fattispecie in esame e i principi di diritto regolanti la materia, sul ravvisato presupposto della distanza geografica (oltre cinquecento chilometri) di queste due unità produttive dagli altri siti aziendali (criterio ritenuto sufficiente da: Cass. 31 luglio 2012, n. 13705), combinato con quello della infungibilità delle mansioni.

Secondo l’insegnamento giurisprudenziale di legittimità sopra richiamato, qualora la ricorrenza delle effettive ragioni tecnico-produttive e organizzative sia stata giustificata (e comunicata), la delimitazione della platea è legittima, ove appunto non sia trascurato, nella scelta dei lavoratori impiegati nel sito soppresso o ridotto, “il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative” (così: Cass. 11 luglio 2013, n. 17177, in motivazione con ampi richiami di precedenti conformi; cui adde: Cass. 19 maggio 2005, n. 10590; Cass. 9 marzo 2015, n. 4678; Cass. 12 settembre 2018, n. 22178).

Nel caso di specie, l’infungibilità delle mansioni è stata individuata nella peculiarità di ogni sito produttivo, in ragione delle commesse trattate (in particolare: Trenitalia, Eni), ognuna esigente una diversa e specifica formazione: dovendo il personale inbound avere una conoscenza della committente, tale da porlo in grado di rispondere alle domande della clientela telefonica, specificamente calibrate sul servizio reso, nè consistendo l’attività di addetti al settore interno, appunto inbound, in una omogenea e neutrale ricezione di telefonate. E ciò per l’impossibilità di un loro agevole spostamento dall’uno all’altro sito (e quindi da una popolazione professionale all’altra), senza l’attuazione di interventi formativi, organizzativi e logistici incompatibili con la situazione economica dell’azienda, in quanto “insostenibile sul piano economico, produttivo e organizzativo, richiedendo tempi di attuazione e delle modifiche organizzative talmente complesse da compromettere il regolare svolgimento dei servizi… finendo per aggravare ulteriormente la situazione di squilibrio strutturale in cui versa l’azienda… “: per giunta, tra sedi aventi regimi di orario molto diversificati (dal tempo parziale da quattro a sei ore, al tempo pieno).

Occorre poi osservare come l’esigenza formativa di ogni lavoratore, se comporti, da una parte, un costo indubbio per l’azienda, induca, dall’altra, per il primo l’acquisizione di un bagaglio di conoscenze e di esperienze nuovo, che ne diversifica e incrementa la professionalità, così rendendolo idoneo a mansioni che non sono più omogenee alle precedenti svolte. Sicchè, l’equivalenza delle mansioni, tale da configurare un mero passaggio indifferenziato tra lavoratori su diverse commesse, neppure risponde a un dato di realtà.

In ogni caso, esso costituisce accertamento in fatto, che il giudice di merito, cui è riservato in via esclusiva, ha compiuto dandone adeguato conto, in esatta applicazione dei principi di diritto enunciati: pertanto, esso è insindacabile in sede di legittimità.

Infine, neppure calza il riferimento, sempre nel caso in cui sia mancato l’accordo con i sindacati sui criteri di scelta, all’irrilevanza dei costi aggiuntivi connessi al trasferimento del personale già assegnato alle sedi soppresse siccome argomento estraneo al tenore testuale della L. n. 223 del 1991, art. 5 (Cass. 11 luglio 2013, n. 17177; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387).

Nel caso di specie, non si tratta, infatti, di singoli e ben individuati trasferimenti personali, bensì di 1.666 lavoratori, e quindi di un trasferimento collettivo, il quale presuppone una procedura concordata in sede sindacale con formazione di graduatorie redatte in base a criteri predeterminati (Cass. 23 novembre 2010, n. 23675; Cass. 19 marzo 2014, n. 6325); ma le organizzazioni sindacali neppure si sono mostrate interessate alle misure organizzative (anche trasferimenti, se compatibili con le esigenze aziendali), per le quali la società aveva dichiarato la propria disponibilità (al punto V della comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016), non raccolta dalle prime.

L’alternativa prospettata (anche se poi non concretamente praticata dai lavoratori neppure nella limitata forma proposta dall’impresa di disponibilità, comunicata con la lettera di recesso, di revocare, in via collaborativa per ridurre sia pure minimamente l’impatto sociale, fino a settantacinque licenziamenti nei confronti dei lavoratori richiedenti per iscritto di essere trasferiti presso i siti di (OMISSIS): risultati soltanto diciassette) è stata rappresentata, per l’entità della sua dimensione, fin dalla comunicazione di apertura della procedura, come insostenibile sul piano economico, produttivo e organizzativo, siccome esigente tempi di attuazione e modifiche organizzative talmente complesse da compromettere il regolare svolgimento dei servizi, con aggravamento ulteriormente della situazione di squilibrio strutturale dell’azienda.

Sicchè, di fronte ad una situazione, comunicata in modo esplicito ed esauriente alle organizzazioni sindacali e con le medesime negoziata, talmente grave da pregiudicare la stessa sostenibilità dell’attività d’impresa e quindi da comportarne la cessazione, qualora diversamente affrontata, risulta inammissibile (come anticipato all’esordio del ragionamento motivo) ogni censura intesa ad investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (nè tanto meno di ragioni per una diversa allocazione delle commesse nell’ambito della propria organizzazione territoriale), senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e di un’adozione discriminatoria dei lavoratori delle procedure: ciò davvero impingendo direttamente sulla libertà di iniziativa di impresa, garantita dall’art. 41 Cost..

11. Il ragionamento argomentativo svolto ha il suo coerente sviluppo finale nella conclusione di una corretta individuazione ed applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori.

Infatti, la limitazione alla sola platea dei lavoratori inbound delle due divisioni romane, per accordo sindacale e comunque per ragionevole misura in riferimento alla verificata infungibilità delle mansioni svolte dai predetti e con quelle del personale inbound delle altre sedi, ha comportato l’adozione (comunicata sia in sede di apertura che di chiusura della procedura di mobilità, a norma della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9: Cass. 28 ottobre 2009, n. 22825) di un criterio (puntualmente indicato anche nelle modalità applicative, oltre che nell’individuazione dei criteri di selezione del personale, anche nella specificazione del suo concreto modo di operare: Cass. 19 settembre 2016, n. 18306; Cass. 10 ottobre 2018, n. 25100) diverso da quelli legali operanti sull’intero complesso aziendale, consistente nelle esigenze tecnico-produttive e organizzative (legittimo, ancorchè difforme da quelli, perchè rispondente a requisiti di obiettività e razionalità: Cass. 20 febbraio 2013, n. 4186; Cass. 28 marzo 2018, n. 7710; Cass. 10 ottobre 2018, n. 25100).

Ed esso ne esaurisce ogni altro, posto che, per effetto della deliberata chiusura delle due divisioni romane, tutti i lavoratori addetti ad esse sono stati licenziati, ad eccezione di quarantaquattro lavoratrici madri, per il divieto posto dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54.

12. Ogni altra questione è evidentemente assorbita, salvo alcune puntualizzazioni in riferimento più specifico al terzo e al quarto motivo.

12.1. Quanto al terzo, non si configurano le violazioni di norme di diritto denunciate, in assenza di un’erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina, integrante vizio del procedimento di sussunzione (Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass. 14 settembre 2020, n. 19059).

12.1.1. Nè, in particolare, sussiste la violazione del principio di corrispondenza della pronuncia alla domanda, ricorrente quando sia omessa qualsiasi decisione su un capo di domanda, per tale intendendosi ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica sulla quale debba essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. 27 novembre 2017, n. 28308; Cass. 16 luglio 2018, n. 18797; Cass. 18 marzo 2019, n. 7601); non quando la critica si indirizzi, come nel caso di specie, a passaggi argomentativi del procedimento decisorio.

12.1.2. Neppure sussiste la denunciata nullità della sentenza, requisito da apprezzare esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 15 novembre 2019, n. 29721): palesemente non ricorrente nel caso di specie, per l’ampia ed argomentata giustificazione del percorso decisionale, nell’attenta e completa risposta della sentenza impugnata a tutte le censure devolute.

12.2. Quanto al quarto, esso difetta di specificità, in violazione del principio prescritto, appunto a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 26 settembre 2016, n. 18860; Cass. 9 ottobre 2019, n. 25354). Ed infatti, omette di confutare, tanto meno specificamente, le puntuali e argomentate ragioni giustificanti il percorso decisionale al riguardo della Corte d’appello, con le quali il ricorrente neppure si confronta, in riferimento: alle 75 posizioni, erroneamente supposte come di personale non in esubero, non indicate nella comunicazione di apertura, con la puntuale qualificazione della Corte territoriale alla stregua di misure riduttive, sia pure in ridottissimi termini, dell’impatto sociale del recesso (ai p.ti da 7.2 a 7.5, secondo capoverso di pgg. 9 e 10 e al p.to 11.2 di pg. 24 della sentenza); alle apodittiche affermazioni riguardanti i trasferimenti di alcune lavoratrici madri (giustificati, rispetto ai licenziamenti di altre, all’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza) e di fungibilità in re ipsa dei lavoratori delle commesse ENI e Trenitalia con quelli licenziati, totalmente ignoranti il ragionamento svolto in ordine alla riallocazione organizzativa delle commesse dal sito di (OMISSIS) altrove (ai p.ti da 8.11 a 8.13 di pgg. da 15 a 17 della sentenza); alla supposta fungibilità delle mansioni tra operatori inbound e outbound, al di là della formalizzazione della loro attività con diversi contratti, per le puntuali ed esaustive ragioni esposte al p.to 10 di pgg. 23 e 24 della sentenza).

13. Dalle superiori argomentazioni discende allora il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte

rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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