Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12042 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 22/06/2020), n.12042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35712-2018 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SALVATORE LOGGIA;

– ricorrente –

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARMELO CASUCCIO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.T., P.A., F.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 916/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata l’08/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. P.C. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo, intervenuta nella causa intrapresa dal medesimo e dalla sorella P.T. nei confronti della madre F.C. e dei fratelli P.G. e P.A., in relazione alla successione ereditaria di P.L..

P.G. resistite con controricorso contenente ricorso incidentale affidato a due motivi.

P.A. e P.T. rimangono intimati.

La causa è stata fissata per l’adunanza camerale presso la sesta sezione civile della Corte di Cassazione a seguito di proposta del relatore di manifesta infondatezza del ricorso principale e del ricorso incidentale.

Il ricorrente principale ha depositato memoria.

2. I fatti rilevanti nella presente sede sono i seguenti.

Il giorno (OMISSIS) è deceduto ab intestato P.L., cui subentravano, quali eredi ex lege, il coniuge F.C. e i quattro figli P.C., P.G., P.T. e P.A..

E’ compreso nell’asse la quota indivisa di un mezzo di un fabbricato in (OMISSIS), composto di due piani in comproprietà con il coniuge F.C..

Il coniuge superstite F.C., a seguito della successione, per effetto del cumulo della quota originaria con quella acquisita per titolo ereditari, è diventato proprietario del bene per 666/1000, mentre ciascuno di quattro figli ha acquistato la quota di 83/1000. Con atto pubblico (OMISSIS) F.C. ha venduto al figlio P.G. la propria quota di 666/1000 di proprietà dell’immobile.

In questa situazione P.C. e P.T. hanno agito in giudizio lamentando che l’immobile era occupato, oltre che dal coniuge del de cuius al piano terra, da P.G. al piano primo e al secondo piano da P.M. e A.M., rispettivamente figlio e genero di P.G.. Gli occupanti avevano sostituito la serratura, impedendo l’accesso agli altri aventi diritto.

Gli attori hanno quindi richiesto la divisione dell’immobile, il ristoro dei frutti e la consegna delle chiavi.

P.G., costituendosi, ha reso noto la situazione proprietaria del bene derivante dall’atto del 2007 e ha replicato che gli attori non avevano diritto ai frutti essendo l’immobile oggetto del diritto di abitazione in favore del coniuge superstite.

Il giudice di primo grado ha rigettato sia la domanda di divisione, sia la domanda volta a ottenere il pagamento dei frutti.

La corte d’appello, adita da P.C. e P.T., i quali avevano impugnato la decisione limitatamente al mancato riconoscimento dei frutti e alla omessa pronuncia sulla consegna delle chiavi, ha confermato la sentenza.

Essa ha riconosciuto che l’applicabilità dell’art. 540 c.c., comma 2, in favore della F.C. escludeva che i coeredi potessero rivendicare diritti a causa del mancato godimento dell’immobile, spettando il godimento al solo coniuge in forza del diritto di abitazione riconosciuto al coniuge superstite dalla norma.

La Corte di merito ha osservato che ai diritti del coniuge non sono applicabili gli artt. 1021 e 1022 c.c., nella parte in cui limitano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare. Ha aggiunto che “tale principio amplia lo spazio della fruizione assicurata al coniuge superstite, che ben può esercitare tale diritto anche ammettendo gli altri nel godimento del bene”.

Secondo la corte tale principio rendeva infondata la pretesa dei coeredi ai frutti anche nel caso in cui l’atto intercorso fra la F. e il figlio P.G. avesse avuto ad oggetto la nuda proprietà e non anche il diritto di abitazione.

3. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 820,1102,1022 c.c., in relazione all’art. 540 c.c., comma 2; si denuncia inoltre omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e motivazione apparente, ipotetica e contraddittoria rispetto alle prove processuali.

La tesi sostenuta con la complessa censura è la seguente.

Attraverso l’atto del 2007 P.G. aveva acquistato la quota di proprietà della madre, il che non lo abilitava al possesso della cosa intera con esclusione degli altri, essendo invece applicabili i principi e le regole della comunione, che impediscono al comunista di estendere il suo diritto in danno degli altri. Il diritto di abitazione spetta al coniuge e non anche agli altri eredi.

Il ricorrente sostiene ancora che la corte d’appello, laddove ha ipotizzato che P.G., a seguito dell’atto traslativo intercorso con la madre non fosse subentrato nella piena proprietà ma solo nella nuda proprietà, ha proposto una ricostruzione ipotetica e comunque errata, sotto un duplice profilo:

a) a seguito del trasferimento il coniuge avrebbe rinunciato al suo diritto di abitazione acquistato per legge;

b) il diritto di abitazione riguarda solo la casa familiare fissata prima della morte del de cuius con limitazione ai bisogni individuali. Il diritto non può estendersi a una parte autonoma e diversa della casa abitativa, ancorchè ricompresa nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze dell’abitante. “Il corso del precedente giudizio ha pienamente provato che la F., titolare del diritto di abitazione, adibiva solo il piano terra ad abitazione familiare, mentre il primo piano era abitato da P.G. ed il secondo era occupato dalla figlia P.M. che ivi conviveva con la sua famiglia”.

Il secondo motivo denuncia omissione di pronuncia sulla domanda di consegna delle chiavi dell’immobile, nonchè violazione degli artt. 1140-1146 c.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

4. Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

E’ pacifico che nella specie vi fossero i presupposti per l’acquisto dei diritti del coniuge sull’immobile, non essendo infatti controverso che l’immobile fosse in comproprietà del coniuge e del de cuius (art. 540 c.c., comma 2).

Nella successione legittima i diritti del coniuge si acquistano automaticamente secondo la regola dei legati di specie (art. 649 c.c.), (Cass., S.U., n. 4847/2013). L’automaticità dell’acquisto fa sì che, sin dall’apertura della successione, sia compresa nella comunione la sola nuda proprietà dell’alloggio. I coeredi, nudi proprietari, non hanno diritti dipendenti dal mancato godimento dell’immobile, che compete al coniuge.

E’ altrettanto pacifico che la misura dell’acquisto non è definita in relazione ai bisogni dell’abitatore, non applicandosi l’art. 1022 c.c., (Cass. n. 6231/2000; n. 2263/1999). L’oggetto del diritto di abitazione del coniuge è definito invariabilmente dalla misura in cui la casa di proprietà del defunto era destinata a residenza familiare. Il successore nella nuda proprietà non può costringere il coniuge a concentrare l’esercizio del suo diritto solo sulla parte della cosa sufficiente a soddisfarne lo stretto bisogno dell’alloggio.

La giurisprudenza di legittimità ha avuto cura di precisare che “Il diritto di abitazione, che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540 c.c., comma 2), può avere ad oggetto soltanto l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del de cuius come residenza familiare. Il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita domestica, ancorchè ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare” (Cass. n. 4088/2012).

Il ricorrente richiama tale principio, ma pretende di utilizzarlo non quale misura dell’acquisto, ma misura della legittima utilizzazione del bene da parte del coniuge, che si dovrebbe “limitare all’appartamento posto al piano terra a sua uso esclusivo”.

In questo senso il ricorrente attribuisce al principio di giurisprudenza un significato assai diverso da quello effettivo. Esso andava riferito non alla situazione instauratosi di fatto dopo la morte, una volta avvenuto l’acquisto nella misura predefinita dalla precedente utilizzazione, ma in considerazione della destinazione dell’immobile prima che si aprisse la successione, non essendo applicabile l’art. 1022 c.c..

In altre parole, nella situazione che emerge dalla sentenza impugnata, nella quale si danno per acquisiti presupposti per l’acquisto del diritto sula cosa intera, non c’era spazio che per una sola censura, che andava in ipotesi formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei seguenti termini: la corte di merito, nel supporre che i coniugi utilizzassero l’intero immobile quale residenza della famiglia, aveva omesso la considerazione di fatti decisivi, dedotti nel giudizio, che dimostravano il contrario, e cioè che solo una singola porzione era adibita a residenza della famiglia. Il ricorso, invece, sovrappone le due situazioni, perpetuando l’equivoco anche nella memoria depositata in vista dell’udienza, nonostante nel controricorso, in conformità alla ricostruzione presupposta dalla sentenza, vi siano una pluralità di riferimenti al fatto che l’immobile, per intero, costituiva la residenza familiare dei coniugi P.- F. (ad es. pag. 6, 10 e 11). Insomma la censura non si confronta con il principio, pacifico nella dottrina e nella giurisprudenza e applicato dalla corte di merito, che unico e solo parametro per determinare la misura dell’acquisto in favore del coniuge è dato dalla destinazione al momento della morte del coniuge.

Le successive scelte del coniuge, di consentire l’utilizzazione del bene al uno dei figli e ad altri congiunti, restringendo il proprio godimento a una parte della cosa, non configurano una causa di estinzione neanche parziale dei diritti acquistati ai sensi dell’art. 5640 c.c., comma 2. In dottrina si ritiene che i diritti in questione non si estinguono nemmeno nel caso di passaggio del coniuge a nuove nozze.

In quanto all’atto del (OMISSIS), intercorso fra madre e il figlio P.G., sono in linea di principio ipotizzabili due diverse ipotesi, entrambe prospettate dalla Corte d’appello. O l’atto aveva avuto ad oggetto la sola nuda proprietà, essendosi riservato il coniuge il diritto di abitazione, e allora esso non avrebbe importato variazioni rispetto alla situazione precedente. Oppure il coniuge aveva trasferito al figlio la piena proprietà della sua quota complessiva, sia di quella di cui era proprietaria originariamente, sia della ulteriore quota acquistata per titolo ereditario, e allora, sarebbe rimasta titolare del diritto di abitazione sulle restanti quote ereditate dai figli: in questo secondo caso, sulla comunione di proprietà, intercorrente a seguito di quell’atto fra P.G. e i fratelli, si sarebbe innestata una comunione di godimento fra P.G., pieno proprietario pro quota, e il coniuge, titolare del diritto di abitazione.

Nell’uno e nell’altro caso la situazione degli altri coeredi rimane immutata. Costoro non possono prendere a pretesto tale atto nè per inferirne una rinuncia al diritto di abitazione (non configurabile neanche in via di ipotesi), nè tanto meno per giustificare ex post l’applicazione dell’art. 1022 c.c., ai diritti acquistati dal coniuge ai sensi dell’art. 540 c.c., comma 2.

In quanto al rilievo che i diritti del coniuge si sono nel frattempo estinti, essendo la F. deceduta, è ovvio che la relativa circostanza, non dedotta nel giudizio di merito e anzi verificatasi, successivamente alla definizione della lite in appello, è del tutto irrilevante in questa sede.

4. E’ conseguentemente infondato anche il secondo motivo. Una volta che la corte ha negato che i coeredi avessero diritto al possesso dell’immobile, in quanto nudi proprietari per effetto del diritto del coniuge, da ciò seguiva il rigetto implicito della domanda intesa a ottenere la consegna delle chiavi.

Il richiamo operato all’art. 1146 c.c., è fuori luogo. La norma, letta in correlazione con l’art. 649 c.c., vuole dire che il legatario di specie, pur subentrando nella titolarità del diritto sulla cosa determinata, non ne acquista anche il possesso, che è acquistato dall’erede ai sensi dell’art. 1146 c.c.. Nella fattispecie cui si riferisce il principio richiamato nella memoria (Cass. n. 5731/1994 e non Cass. n. 5226/2002, che attiene a diversa materia) si discuteva di una lite possessoria in relazione all’alloggio familiare insorta dopo la morte del titolare del diritto di abitazione. Senza che sia minimamente necessario approfondire il senso giuridico e la correttezza della soluzione adottata, ai nostri fini è sufficiente rilevare che, nel pronunciamento della Corte, non c’è alcun accenno che possa lontanamente giustificare l’affermazione che, nella vigenza del diritto di abitazione, la casa è in compossesso fra il coniuge e gli eredi nudi proprietari.

Insomma ancora una volta il ricorrente pretende di disconoscere le conseguenze dell’acquisto della madre sulla base di argomenti impropri, senza attaccare il presupposto (di fatto) su cui si regge la sentenza d’appello: cioè l’esistenza, al momento della morte di P.L., dei presupposti per la nascita dei diritti del coniuge sull’intero immobile.

L’intero ricorso principale è pertanto infondato.

5. Il primo motivo del ricorso incidentale si esaurisce nel proporre la domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., nei confronti del ricorrente e di P.T..

Il secondo motivo censura la sentenza nella parte relativa alla liquidazione delle spese di lite, che doveva essere commisurata sui valori medi dello scaglione delle cause da Euro 52.000,01 a Euro 260.000,00. Il ricorrente incidentale determina il valore della causa in base al valore dell’immobile di Euro 157.632,50, cui aggiunge l’importo dei frutti richiesti per l’importo di Euro 22.302,00.

E’ prioritario l’esame del secondo motivo, che è infondato. In appello si discuteva solo dei frutti, laddove il ricorrente incidentale, onde suffragare la pretesa all’applicabilità dello scaglione superiore, pretende di determinare il valore della causa computando anche il valore dell’immobile (Cass. n. 27871/2017; n. 536/2011). Si ricorda inoltre che in cassazione è denunciabile solo la violazione dei minimi, mentre il ricorrente incidentale censura la mancata liquidazione dei valori medi (Cass. n. 20289/2011).

Va rigettata infine la domanda del controricorrente ex art. 96 c.p.c., non ravvisandosi i presupposti della mala fede e della colpa grave.

Il rigetto di entrambi i ricorsi giustifica la compensazione delle spese e il raddoppio del contributo a carico anche di entrambe le parti.

PQM

rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; dichiara interamente compensate le spese del giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- n, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Caamera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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