Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12042 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. II, 17/05/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 17/05/2010), n.12042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonio – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5381-2005 proposto da:

R.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliare in

ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso lo studio dell’avvocato

COLUCCI ANGELO, rappresentato e difeso dall’avvocato CAROLI ANTONIO;

– ricorrente –

contro

C.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso lo studio dell’avv. COLLUCCI

MCGELO, rappresentato e difeso dall’avv. BARCHETTO FRANCESCO PAOLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 369/2004 della Corte d’Appello di Lecce, sez.

dist. CORTE D’APPELLO di TARANTO, depositata il 25/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato COLUCCI Angelo, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CAROLI Antonio, difensore del ricorrente che ha chiesto

di depositare 3^ sentenza sez. Corte Cassazione in copia e anzi per

intervenuta carenza di interesse, cessazione della materia del

contendere;

adito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per cessazione della materia del

contendere in subordine rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 14/2000 il Tribunale di Taranto, sez. dist. di Martina Franca, rigettò l’opposizione di C.S. avverso un decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di L. 10.290.00, oltre interessi e spese, che R.M. aveva ottenuto, in forza di una scrittura ricognitiva di debito, relativa a lavori di scavo eseguiti su incarico del predetto in un fondo del medesimo. Tale decisione fu riformata dalla Corte d’Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, con sentenza 7/21.12.01, che accogliendo la tesi dell’appellante, secondo cui la scrittura ricognitiva era frutto di un errore di fatto, determinato da dolo del R., il quale aveva realizzato uno scavo notevolmente inferiore, di mc. 300 anzichè degli assunti mc. 700,per di più appropriandosi del terreno vegetale di risulta, accolse l’opposizione ritenendo sufficiente a compensare l’effettivo lavoro il versato acconto di L. 2.800.000.

Avverso tale sentenza il R. adì nuovamente la suddetta Corte d’Appello,in revocazione ex art. 390 c.p.c., n. 5, con citazione del 11.3.02, sostenendo che la decisione di appello costituiva frutto di una svista incorsa nella lettura della testimonianza considerata decisiva dai giudici di appello, di tale geometra P. tecnico di fiducia del C., la cui confermata misurazione, per mc. 300, avrebbe riguardato soltanto una parte dello scavo,quella relativa ai lavori per l’allargamento della cisterna e la costruzione del garage, e non anche la rimanente, relativa allo sbancamento per la costruzione di pozzo nero,che il teste stesso aveva dichiarato di non aver misurato. La mancata valutazione di tale ultima circostanza del tutto sfuggita alla corte territoriale, avrebbe svolto un rilievo decisivo ai fini dell’accoglimento del gravame, in un contesto nel quale tutte le rimanenti risultanze concorrevano a provare che gli scavi affidati all’impresa e realizzati erano tre e non i soli due valutati dal suddetto tecnico.

A tale impugnazione resistette il C. eccependone l’inammissibilità o infondatezza. Con sentenza 3/25.11.04 la corte tarantina dichiarò la revocazione inammissibile, condannando il R. alle spese del relativo giudizio.

La corte di merito escludeva che nel caso di specie ricorressero gli estremi per la proposta impugnazione straordinaria tenendo che la stessa si fosse in realtà risolta in una proposta di riesame delle risultanze istruttorie, non evidenziando alcun errore percettivo da parte di precedenti giudici, di circostanze risultanti con obiettiva evidenza dagli atti, ma esponendo una critica alla valutazione delle acquisizioni probatorie in un contesto nel quale la testimonianza del P. non aveva costituito l’unica o decisiva prova valutata dalla Corte ma solo un ulteriore riscontro dei rimanenti elementi di prova tra i quali anche la testimonianza del genero del C., riferente che,pur consapevole della minore consistenza dello scavo aveva persuaso il suocero a sottoscrivere la dichiarazione, onde evitare che venisse alle mani con il R..

Avverso tale sentenza il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Ha resistito il C. con controricorso.

Nella pubblica udienza il difensore del ricorrente, premesso e documentato che la sentenza della Corte d’Appello di Taranto in data 21.12.01 è stata,nelle more, con sentenza di questa Corte n. 22902 del 11.11.05, adita dal R., cassata con rinvio, ha concluso chiedendo “non luogo a provvedersi sul presente ricorso”, mentre il P.G. ha chiesto dichiararsi “cessata la materia del contendere”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La sopravvenuta, caducazione nelle more del presente giudizio,della sentenza, della cui mancata revocazione da parte della corte territoriale il ricorrente si è doluto,comporta il venir meno dell’interesse alla decisione, con conseguente inammissibilità del ricorso. Questa Corte, nondimeno al fine del regolamento delle spese del giudizio di legittimità in assenza di accordi tra le parti è tenuta ad esaminare i motivi addotti a sostegno dell’impugnazione, onde stabilire la cd. “soccombenza virtuale”, rilevante ai fini dell’art. 91 c.p.c.. Con il primo motivo di ricorso si deduce “error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, perchè la corte di merito si sarebbe fermata nel suo giudizio alla fase rescindente.

Tuttavia indebitamente “spostando il requisito della decisività del dato istruttorio” indicato dal l’impugnante quale inficiato da errore, “ad altro diverso dato istruttorio” nel contempo, contraddittoriamente, esaminando nel merito le censure prospettate dal R., “così incorrendo anche nel vizio di motivazione”.

In realtà, se, come la stessa corte aveva ammesso, “il geom.

P. era, l’unico che, per competenza potesse ad occhio nudo stimare lo scavo”, poco o punto rilevava che le altre risultanze avessero “anche” confermato la ritenuta minore entità,posto che se quella deposizione fosse stata rettamente percepita dalla corte nel suo effettivo e completo contenuto, altra sarebbe stata, la sua decisione . Con il secondo motivo si deduce difetto e contraddittorietà di motivazione, per avere annesso un ruolo centrale e di autosufficienza alla deposizione di altro teste il F., attribuendo tuttavia alla stessa un contenuto diverso da quello effettivo così finendo col travisare le risultanze processuali. La Corte d’Appello avrebbe, infatti,considerato solo una parte della deposizione in questione (il cui contenuto viene riportato nel mezzo d’impugnazione) senza valutarne quelle rimanenti e decisive secondo cui lo stesso teste F. aveva dato atto e convinto il suocero “della bontà del conteggio”, poichè lo scavo,indicato in mc 700,”era notevole”, mentre la successiva diversa valutazione, in mc 400-500,ad opera di un geometra cui si era poi rivolto il C. gli era stata solo riferita da quest’ultimo.

Con il terzo motivo si deduce un ulteriore vizio di motivazione che sarebbe consistito nel non avere la corte di merito tratto coerenti conclusioni circa il riferimento della vai illazione in mc. 300 compiuta dal geometra P. ad un solo e non ai tre scavi effettivamente realizzati pur avendone riportato quasi per intero la deposizione in tale ultimo senso per poi concludere con l’apodittica affermazione che la stessa avrebbe costituito un riscontro esterno a quella del F..

Nessuna delle suesposte censure avrebbe meritato accoglimento.

La valutazione di ammissibilità dell’impugnazione revocatola da parte della corte tarantina è stata intatti compiuta contrariamente a quanto lamentato nel primo motivo, correttamente, alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali, a termini dei quali il vizio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, deve essere obiettivamente e con evidenza rilevabile dagli atti dal semplice raffronto tra il punto della decisione, che se ne assume affetto, e la risultanza processuale relativa al fatto, decisivo, erroneamente supposto dal giudice ma incontrastabilmente escluso dagli atti, o, viceversa, erroneamente escluso, pur risultando incontestabilmente sussistente, purchè il fatto stesso non abbia costituito oggetto di contrasto tra le parti (ex plurimis v. Cass. 1 1062/09, 8180/09, 6878/09, 844/09, 4015/06, 6557/05).

Nel caso di specie il ricorrente per revocazione aveva sostenuto che la deposizione di un teste ( P.), ritenuta dalla corte confermativa della minore entità dello scavo fosse stata solo in parte considerata dai giudici di appello (tesi che si ribadisce, in questa sede nel secondo e terzo motivo di ricorso) che limitando la valutazione soltanto alla prima parte della testimonianza,non avrebbero anche considerato quella successiva nella quale il teste aveva riferito che il proprio apprezzamento circa l’entità dell’opera era in realtà riferibile solo ad una parte dello scavo.

Palese era, dunque, già dalla relativa formulazione, la natura della doglianza, che non aveva evidenziato un errore percettivo ma al più un’incompleta valutazione di quella testimonianza che avrebbe potuto semmai tradursi nella insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia prospettato da una delle parti denunciabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come di fatto lo è stato con il parallelo ricorso per cassazione,poi accolto con la sentenza n. 22902/05),e non con il rimedio revocatorie, essendo quest’ultimo esperibile solo nei casi di veri e propri “abbagli” affermativi o negativi incorsi nella lettura (e non nella valutazione) delle risultanze processuali rilevabili con immediatezza dalle stesse, senza necessità di compiere ulteriori indagini induttive o ermeneuti che come pur nella specie si è proposto, prima alla corte territoriale, nuovamente adita, e poi addirittura (con i successivi motivi) in questa sede di legittimità. A questo punto la motivazione della corte, che ha ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione ben avrebbe potuto fermarsi senza anche addentrarsi, come ultroneamente è avvenuto, nel riesame della precedente motivazione, che è stato tuttavia compiuto al fine di corroborare il giudizio d’inammissibilità evidenziando come quella testimonianza non fosse stato l’unico nè il decisivo elemento di prova che aveva indotto all’accoglimento dell’appello. Da tanto consegue l’irrilevanza del secondo e del terzo motivo, con i quali si denunciano (peraltro sostanzialmente chiedendo, ancora una volta e per di più in sede di legittimità, riesame del merito) vizi della motivazione incorsi nella valutazione di risultanze processuali che i giudici della revocazione non erano tenuti a compiere nuovamente, essendosi nella specie limitati al preliminare rilievo dell’inammissibilità dell’impugnazione straordinaria già alla stregua dei termini nei quali essa era stata propostaci fine di stabilire l’effettiva entità dello scavo eseguito, fatto controverso sul quale, anche in relazione alla testimonianza de qua, si era svolto essenzialmente il dibattito tra le parti nella precedente sede di merito.

Il ricorso, dunque, se non ne fosse venuto ‘interesse,avrebbe dovuto essere respintole spese vanno pertanto poste a carico del virtuale soccombente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del resistente delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.200.00 di cui 200 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

 

 

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