Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12041 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. II, 17/05/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 17/05/2010), n.12041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonio – rel. Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20503-2008 proposto da:

S.P.E., (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio

dell’avvocato MANCA BITTI DANIELE, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MINA ANDREA, MERLO PIERGIORGIO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS) (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI 13, presso

lo studio dell’avvocato RAMADORI GIUSEPPE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato RENATO SIRNA;

G.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato

RAMADORI GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MAURO BALLERINI;

– controricorrenti –

e contro

L.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 506/2007 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 11/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato Daniele MANCA BITTI, con delega depositata in

udienza dell’Avvocato Andrea MINA, difensore del ricorrente che ha

chiesto di riportarsi agli atti depositati;

udito l’Avvocato Fausto BUCCELLATO, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato RAMADORI Giuseppe, difensore dei resistenti che ha

chiesto di riportarsi anch’egli;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 27.10.83 S.E., proprietaria di un suolo in (OMISSIS) sul quale era stato costruito un fabbricatoci tenuto abusivo dal locale Comune e demolito, a seguito di ordinanza del 13.4.81, di ufficio ed a spese del presunto contravventore P.R., marito di essa attrice, citò al giudizio del Tribunale di Brescia detta amministrazione, nonchè personalmente G.F. sindaco firmatario del suddetto provvedimento e L.D. titolare della ditta esecutrice della demolizione, per sentirli solidalmente condannare al risarcimento dei danni, che assumeva aver subito per effetto di un atto illegittimo.

La domanda, alla quale avevano resistito il Comune ed il G., contumace il L. fu respinta dall’adito Tribunale con sentenza n. 3722/95, confermata dalla Corte di Brescia con sentenza n. 691/00.

Ma, a seguito del ricorso per cassazione della S. resistito dal Comune e dal G. questa Corte con sentenza n. 6783/04, in accoglimento del primo motivo, cassava quella impugnata con rinvio,avendone rilevato l’insufficienza della motivazione in quanto verosimilmente pregiudicata da un possibile difetto di giurisdizione, in punto di accertamento della causa petendi della domanda,poco convincentemente individuata in un titolo palesemente inconferente.costituito dall’annullamento,in sede giurisdizionale amministrati va, del provvedimento impositivo delle spese di demolizione a carico del marito della S. quale autore dell’abuso. Richiamato il principio enunciato dalle S.U. nella nota ed innovativa sentenza n. 500 del 1999 (che aveva ammesso la risarcibilità, a titolo di responsabilità aquiliana, anche dei danni derivati dalla lesione di interessi giuridicamente rilevanti diversi dai diritti soggettivi,quali quelli ed “pretensivi o oppositivi”), questa Corte demandava ad altra sezione di quella bresciana il rinnovo dell’interpretazione della domanda, da compiersi “non tanto in base alla formulazione letterale dell’atto di citazione, ma anche in relazione al contenuto sostanziale della pretesa ed alle finalità perseguite dalla parte”.

Riassunta la causa dalla S. che reiterava i motivi di gravame costituitisi distintamente i Comune ed il G., che resistevano, contumace il L., con sentenza dei 28.2-11.7.07.

Riassunta la causa dalla S. che reiterava i motivi di gravame costituitisi distintamente il Comune ed il G., che resistevano, contumace il L., con sentenza dei 28.2-11.7.07 la Corte di Brescia rigettava l’appello, condannando la S. alle spese del giudizio di rinvio e compensando interamente quelle del precedente grado d’appello e di quello di legittimità. Tali in sintesi le essenziali ragioni: a) la causa petendi era da individuarsi nell’assunta illegittimità dell’operato del Comune, del sindaco e dell’impresa esecutrice della demolizione, in considerazione del fatto che la relativa procedura amministrativa si era svolta non nei confronti della proprietaria, bensì del solo autore dell’assunto illecito, mentre il petitum era costituito dai danni lamentati per demolizione dell’immobile di proprietà dell’attrice; b) non sarebbe stato necessario, conseguentemente nel solco del principio enunciato nella sentenza S.U. 500/99, preventivamente impugnare l’ordine di demolizione, potendo il giudice ordinario,ai tini dell’accertamento della dedotta lesione, funzionale al diritto soggettivo risarcitorio.

accertare incidentalmente la legittimità o meno del provvedimento amministrativo; c) tale provvedimento era tuttavia legittimo ed efficace, non solo perchè emesso nei confronti dell’esecutore degli abusi, da considerarsi legittimato passivo indipendentemente dalla sua qualità di proprietario, ma anche perchè la S. ne era venuta a conoscenza e non aveva ritenuto di impugnarlo essendosi in data 4.5.81 limitata a diffidare il sindaco dall’eseguirlo: d) anche nella sostanza il provvedimento era da ritenersi legittimo perchè la tesi della preesistenza del fabbricato all’epoca dell’acquisto (avvenuto nel (OMISSIS), a seguito di vendita da parte dello stesso Comune) era rimasta priva di riscontro probatorio e addirittura smentita dalle risultanze dell’atto di acquisto e della domanda di licenza, poi presentata per la costruzione di un distinto nuovo fabbricato (legittimamente realizzato) nelle quali non vi era alcuna menzione dell’assunto preesistente “rustico” non accatastato da ristrutturare sicchè la demolizione aveva interessato un immobile de tutto abusivo e non sanabile all’epoca del provvedimento.

Avverso tale sentenza la S. ha proposto ricorso affidato ad otto motivi illustrati con successiva memoria. Hanno resistito con distinti controricorsi il Comune di (OMISSIS) ed il G..

Neppure in questa sede il L. ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., artt. 116 e 132 c.p.c., L. n. 47 del 1985, art. 13, L. n. 1150 del 1942, art. 32, L. n. 10 del 1977, art. 15, L.R. Lombardia n. 63 del 1978, art. 22 e art. 52, Reg. Ed. Comune di (OMISSIS), essenzialmente censurandosi, come si desume anche dal formulato quesito finale di diritto ex art. 366 bis c.p.c. l’identificazione del P. quale autore materiale dell’abuso edilizio pertanto legittimato passivo dell’ordine di demolizione,senza tener conto che tale qualità era stata ritenuta non provata dalla sentenza 96/83 del competente T.A.R. e che non desumibile altri elementi certi non avrebbe potuto essere presunta sulla base della sola circostanza che il suddetto avesse presentato un’istanza di concessione per il rifacimento del tetto. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 2909 c.c., art. 116 c.p.c., L. n. 47 del 1985, art. 13, L. n. 1150 del 1942, art. 32, L. n. 10 del 1977, art. 15, L.R. citata n. 63 del 1978, art. 22 e art. 52 Reg. Ed. citata per aver disconosciuto l’efficacia di giudicato della suddetta sentenza che, pronunziando l’illegittimità dell’ordine di pagamento delle spese di demolizione di ufficio nei confronti del P., avrebbe fatto stato anche in ordine alla non raggiunta identificazione dell’autore del l’abuso, costituente antecedente logico – giuridico della decisione.

Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 2697 c.c., art. 116 c.p.c., L. n. 47 del 1985, art. 13, L. n. 1150 del 1942, art. 32, L. n. 10 del 1977, art. 15, Reg. n. 63 del 1978, art. 22 e art. 52 Reg. Ed. cit., per aver ritenuto che l’intervento edilizio in questione avesse dato luogo ad una nuova costruzione senza tener conto delle risultanze probatorie (della consulenza tecnica, degli atti di acquisto e di quelli dei procedimenti, amministrativo giurisdizionale amministrativo e penale,scaturiti dalla vicenda), comprovanti che in realtà si era trattato del parziale rifacimento del tetto di una preesistente costruzionexhe era stato danneggiato da eventi meteorologici.

Con il quarto motivo si lamenta con richiamo anche agli artt. 116 e 132 c.p.c. insufficienza di motivazione “in quanto non consente di ricostruire l’iter logico-giuridico che ha portato il Giudice di merito a ritenere che il rustico di cui è causa sia stato edificato dopo il (OMISSIS) e non spiega perchè sono stati disattesi elementi probatori importanti (scritto P. (OMISSIS); nulla – osta ed ampliamento edificio esistente, doc. (OMISSIS); scritti P. (OMISSIS). cf. sentenza TAR 96/93; perizie Ing. P. doc. (OMISSIS); circostanza che il mappale (OMISSIS) era stato pagato più degli altri in sede di acquisto) e invece ritenuti decisivi altri (c.t.p. ing. F., mancato accatastamento del rustico mancata menzione del rustico nella compravendita del (OMISSIS))”.

Con il quinto motivo si deduce violazione dell’art. 2043 c.c., art. 112 c.p.c., R.D. 12 luglio 1934, art. 52, L. n. 10 del 1977, art. 15, L. n. 47 del 1985, art. 13 censurandosi “la parte della sentenza che ha ritenuto assorbito il motivo (implicitamente rigettandolo) essendo il danno subito dalla S. pari al valore dell’immobile demolito per il quale la stessa ha già chiesto (in 1^ grado) ammissione di c.t.u.”; si sostiene che il comportamento, quanto meno colposo,del Comune, produttivo di tale danno avrebbe dovuto essere desunto dalla già citata sentenza del TAR che aveva annullato per eccesso di potere l’atto impugnato dal P., da quella penale di applicazione di amnistia a carico del denunciato sindaco,il quale accettando tale provvedimento avrebbe ammesso la propria responsabilità; si conclude formulando un quesito in cui si chiede a questo Corte di stabilire se nel caso di specie, nel quale il provvedimento demolitorio non era stato notificato alla proprietaria.nc all’esecutore materiale dell’opera abusi va, vi fosse stato o meno malgoverno della L. n. 150 del 1942, art. 32, e L. n. 47 del 1985, art. 13 non rilevato dai giudici di merito.

Con il sesto motivo si deduce in via subordinata e per l’ipotesi di conferma dell’abusività dell’immobile violazione delle norme sopra citate, censurandosi l’afformazione della corte di merito secondo cui lo stesso era privo di valore venale in quanto non condonabile o sanabile al momento della demolizione, in contrario sostenendosi che “se il Comune non avesse proceduto alla demolizione di fatto – che si ripete era illegittima – avrebbe comunque ed in ogni caso potuto chiedere la concessione in sanatoria L. n. 47 del 1985, ex art. 13 e/o ricorrere al successivo “condono” in forza della normativa nazionale emanata in materia essendo l’immobile in linea con i parametri del Comune di (OMISSIS) (cfr. scritto (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS) che fa riferimento alle norme del P.R.G. approvato dal Comune nel (OMISSIS)) e comunque provvedere ad impugnare eventuali atti sanzionateci”; conclusivamente si formula quesito con il quale si chiede di stabilire se,in siffatto contesto, “la P.A. i suoi rappresentanti e funzionali” rispondessero ex art. 2043 c.c., come erroneamente non ritenuto dai giudici di merito del danno cagionato dall’illegittima demolizione.

Infine, con il settimo e l’ottavo motivo,strettamente connessi, vengono rispettivamente dedotte, formulando un quesito ed un “riassunto della censura motivazionale”, violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 7, artt. 244 e 245 c.p.c. ed insufficiente motivazione su fatto decisivo della controversia, per illegittimo ed immotivato diniego di ammissione delle prove testimoniali e della consulenza tecnica,richieste al fine di provare l’ammontare del danno per la subita privazione dell’immobile, senza esplicitazione dell’iter logico – giuridico seguito e non considerando che l’opera in quanto realizzata prima del (OMISSIS), avrebbe conservato “valore venale e di commercio”.

Nessuno dei motivi merita accoglimento.

Il primo ed il secondo entrambi attinenti all’identificazione del P. quale autore della violazione costituente il contestato presupposto di legittimità dell’emanazione dell’ordine di demolizione, fanno leva essenzialmente sull’assunta efficacia vincolante e negativa del giudicato derivante dalla citata sentenza del TAR (peraltro non riportata con inosservanza del principio di autosufficienza nei salienti rii passi della motivazione, asseritamente costituenti l’antecedente logico – giuridico dell’invocata pronunzia d’illegittimità), ma non superano le decisive argomentazioni con le quali i giudici di rinvio hanno al riguardo evidenziato,in perfetta coerenza con il dictum della, sentenza remittente (che, a pag. 8 espressamente aveva qualificato quella decisione “all’evidenza inconferente”), la non rilevanza ai fini della legittimità dell’ordine de qua di quella pronunziatoli solo perchè non attinente alla legittimità in sè considerata, della disposta restituito in integrum a fronte dell’accertato abuso, ma anche e soprattutto, perchè costituente res inter alias acta come tale inidonea a spiegare alcun effetto preclusivo ex art. 2909 c.c., nel presente processo nel quale non era in causa il P., presunto autore materiale dell’illecito, bensì la S., proprietaria del suolo abusivamente edificato e della relativa costruzione. Va in particolare evidenziato come tale ultimo rilievo di per sè sufficiente a sorreggere la decisione in parie de qua, non abbia costituito oggetto di alcuna specifica censura da parte della ricorrente, che pertanto vanamente insiste, ancora nella presente sede ad invocare l’efficacia da giudicato della decisione in questione dei giudici amministrativi, sufficiente soltanto ad assolvere il coniugo dall’addebito del rimborso alla P.A. delle spese occorse per l’eliminazione dell’opera abusiva, comunque accertata.

Conseguentemente, non essendo i giudici ordinari in alcun modo vincolati dall’accertamento (asseritamente dubitativo) contenuto nella suddetta decisione a fine di stabilire se la demolizione di ufficio fosse stata preceduta come previsto dalle norme richiamate nel mezzo d”impugnazione, dalla rituale intimazione all’autore dell’illecito o al proprietario del suolo interessato (e non necessariamente ad entrambi), ben poteva la corte di merito procedere alla valutazione degli elementi di causa acquisitici fine di verificare incidentalmente ai fini della domanda risarcitoria della quale era investita, se tale provvedimento, propedeutico a quello restitutorio. Fosse stato correttamente adottato nei confronti del responsabile dell’illecito e/o comunque portato a conoscenza della principale interessata alla demolizione la S. in quanto proprietaria del suolo e dell’accedente costruzione.

Per il resto i due mezzi d’impugnazione si risolvono in palesi censure di merito, che senza evidenziare malgoverno dei principi sull’onere della prova, propongono un’interpretazione delle risultanze processuali, divergente da quella esposta dalla corte territoriale che nel ritenere fondatamente identificato nel P. autore materiale ancorchè non proprietario, dell’abusiva edificazione, ha utilizzato del tutto convincentemente e logicamente una serie di elementi presuntivi, singolarmente ed, univocamente nel complesso, convergenti sulla persona del suddetto. Tali elementi sono stati desunti dalle circostanze (riferite in narrativa a pagg. 3 e 4 della sentenza) che il medesimo, dopo aver già ottenuto, nel (OMISSIS), a proprio nome una licenza per la costruzione di un fabbricato (legittimamente realizzato) aveva poi, con successive domande del 24.3.77 e 30.5.80, confermandosi sostanziale gestore delle vicende edificatorie interessanti il fondo di proprietà, della moglie, chiesto l’autorizzazione ad eseguire la copertura di un diverso ed asseritamele preesistente seminterrato, richieste entrambe rigettate (per incompatibilità dell’intervento con le norme urbanistiche all’epoca vigenti e per la ritenuta abusività anche dell’assunto manufatto preesistente) e seguite da provvedimenti di sospensione delle opere (nondimeno intraprese), di diffida a demolirle e di esecuzione di ufficio della demolizione,nessuno dei quali era stato impugnato dall’anzidetto destinatario, insorto soltanto contro quello successivo e consequenziale, attinente al recupero delle spese di demolizione. Tale accertamento viene, inammissibilmente nella presente sederi messo in discussione – peraltro senza neppure dedurre eventuali carenze o vizi logici della motivazione rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1 – denunciando una violazione dei principi in materia dell’ onere della prova, che per l’evidenziata conformità agli artt. 2727 e 2729 c.c. degli argomenti presuntivi utilizzati dalla corte di merito, risulta palesemente insussistente. Per completezza va ancora evidenziato che i due mezzi d’impugnazione non attaccano una ulteriore argomentazione di per sè anche idonea a sorreggere la decisione,nella parte escludente l’illegittimità dell’esecuzione per non essersi il relativo procedimento svolto nel contraddittorio della proprietaria dell’immobile, sul rilievo (non censurato) che la S. avendo diffidato, con atto in data (OMISSIS), il sindaco dall’eseguire il provvedimento demolitorio emesso il (OMISSIS), aveva inequivocamante ammesso di esserne venuta a conoscenza, così esimendo quella autorità, quand’anche vi fosse tenuta, dal notificarlo anche a lei onde consentirle la possibilità di impugnarlo; il che non era avvenuto. Anche il terzo e quarto motivo si risolvono in palesi esclusive censure in fatto,non evidenzianti, e neppure deducenti (analogamente ai precedenti mezzi d’impugnazione), vizi della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ma solo lamentando insussistente malgoverno dell’art. 2607 c.c. e art. 116 c.p.c. in tema di onere e valutazione delle prove non connesse ed altrettanto insussistenti violazioni di norme speciali regolanti l’attività edificatoria, a fronte delle convincenti e logiche argomentazioni sorreggenti l’accertamento dei giudici di merito,secondo cui il fabbricato oggetto della demolizione era stato edificatoria nella parte sottostante sia in quella relativa all’intervento richiesto con te già citate istanze del P., successivamente all’acquisto del fondo avvenuto nel (OMISSIS) e quindi abusivamente. Tanto è stato desunto dalla mancata menzione, nel titolo di acquisto del (OMISSIS) di alcun fabbricato sul fondo dall’inesistenza nelle mappe catastali di tracce dello stesso dalla mancata indicazione dell’eventuale “rustico” negli atti e planimetrie allegate alla domanda di licenza, dal P. presentata .con esito favorevole, alla fine di quell’anno; anche in questo caso i giudici di merito hanno fatto buon governo, utilizzando una serie di elementi presuntivi univoci e convergenti, degli artt. 2727 e 2729 c.c. e, conseguentemente, dell’art. 2697 c.c. sulla base dei quali, hanno potuto confermare l’illegittimità totale del fabbricato demolito.

Le censure contenute nei due connessi mezzi d’impugnazione, nella parte in cui tentano di accreditare una diversa valutazione dell’esauriente e logico accertamento di cui sopra sono pertanto inammissibili (non potendo il vaglio di legittimità consistere nella comparazione tra li tesi in fatto sostenuta dal ricorrente e quella diversa recepita dal giudice di merito ma solo esaminare la tenuta logico – giuridica in sè considerataci quest’ultima) conseguentemente infondate laddove lamentano violazioni e falsa applicazione delle citate norme speciali in materia urbanistico – edilizia.

Il quinto motivo va disatteso,per le ragioni già esposte in precedenza nella parte in cui richiama,ancora,una volta la sentenza del TAR relativa alle spese della demolizione e per manifesta infondatezza, laddove adduce a sostegno della pretesa risarcitoria una sentenza di estinzione per amnistia di non meglio precisati, reati che sarebbero stati ascritti al sindaco del Comune di (OMISSIS) odierno resistente, a seguito di denuncia della S.. A tal ultimo riguardo è agevole osservare che l’estinzione del reato per amnistia pronunziata allo stato degli atti e senza scendere nel merito delle imputazioni, prima della condanna definitiva, anche ne regime anteriore all’entrata in vigore del procedura penale del 1989, costituiva, per costante principio della giurisprudenza di questa Corte un provvedimento del tutto neutro, indipendentemente dal l’accettazione o meno da parte dell’imputato ai fini dell’accertamento dei fatti integranti il reato o i reati ipotizzati (tra le altre v. 3131/01 3159/96 342/96, 3002/94 3858/84). Per quanto attiene,poi,alla diversa possibilità, da parte del giudice civile, di utilizzare le risultanze del processo penale così conclusosi, quali elementi di prova ai fini della connessa responsabilità ex art. 1043 c.c. la censura risulta palesemente carente di specificità non precisando da quali eventuali accertamenti compiuti in quella sede sarebbe stato possibile desumere gli estremi di eventuali abusi compiuti,in veste di sindaco, dal G.. Per il resto il motivo, nella parte in cui ribadisce l’illegittimità della demolizione e conseguentemente la responsabilità ex art. 2043 c.c. delle controparte perchè eseguita senza la notificazione all’effettivo esecutore materiale dell’abuso o al proprietario, risulta assorbito dalla reiezione dei precedenti motivi, nei quali si è evidenziala la correttezza dell’accertamento compiuto dai giudici di merito al riguardo, non solo perchè il procedimento sanzionatorio amministrativo si era svolto nei confronti dell’effettivo autore dell’illecito, legittimato passivo quale œcontravventore” (v. L. n. 1150 del 1942, art. 32) indipendentemente dalla qualità di proprietario dell’immobile, ma anche perchè la S. aveva avuto comunque la possibilità di impugnare tempestivamente l’ordine di demolizione emesso a carico del suddetto.

Manifestamente infondato è il sesto motivo,con il quale si sostiene che il comportamento delle controparti sarebbe stato illecito ex art. 2043 c.c. per aver precluso alla S. ogni possibilità di avvalersi di successiva sanatoria o condono edilizio considerato che l’illiceità di un comportamento, che si assume produttivo di danno, deve essere considerata con riferimento al contesto normativo in cui lo stesso si è svolto. Nel caso di specie, i giudici di rinvio hanno prccisato.con incensurabile accertamento di fatto basato sulle risultanze peritali (v. nota 11 a pag. 14 della sentenza impugnata), non oggetto di specifica confutazione,che all’epoca dei fatti l’intervento edilizio abusivo era in contrasto con le locali disposizioni urbanistico – edilizie e, pertanto non sanabile;quanto al futuro “condono” edilizio, la circostanza che lo stesso sia poi intervenuto a distanza di quattro anni, con l’emanazione della L. n. 47 del 1985 non può certo valere ad inficiare ex post legittimità dell’esercizio dei poteri – doveri sanzionatori da parte dell’amministrazione tenuta ad assicurare il rispetto delle norme disciplinando l’uso del territorio sulla base del diritto positivo ed indipendentemente da previsioni circa probabili future possibilità di sanatorie.

Vanno infine e conseguentemente rigettati (a prescindere dal pur evidente difetto di autosufficienza) il settimo e l’ottavo motivo,relativi alla mancata ammissione di provvedimenti istruttori atti a quantificare l’assunto danno,perchè assorbiti dalla reiezione dei precedenti, comportanti la conferma dell’insussistenza di atti il leciti cagionanti danni risarcibili.

Il ricorso va,conclusivamente, respinto, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso delle spese in favore di ciascuno dei resistenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore di ciascuno dei ricorrenti delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.700.00 di cui 200 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

 

 

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