Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1204 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1204

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2007-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 79/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 24/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 79/06/2013, depositata il 24 maggio 2013 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che, a conferma della pronuncia di primo grado, aveva annullato l’avviso di accertamento notificato alla (OMISSIS) s.p.a. già in liquidazione e fallita.

L’atto impositivo era stato notificato a seguito di una verifica della GdF di (OMISSIS), relativamente all’anno d’imposta 2004, con recupero a tassazione di imponibili ai fini Iva, Irpeg e Irap, contestando alla contribuente la contabilizzazione di operazioni attive e passive oggettivamente inesistenti. Era seguito il contenzioso, introdotto dal liquidatore della società fallita, esitato nell’accoglimento del ricorso da parte della Commissione tributaria provinciale di Varese, con sentenza n. 65/13/2011, e poi della Commissione regionale, con la decisione ora al vaglio della Corte. Il giudice d’appello, dopo aver riconosciuto i presupposti della legittimazione processuale attiva del liquidatore della società, pur nell’operatività della curatela fallimentare, ha riconosciuto il fondamento delle ragioni della contribuente per l’inidoneità della documentazione fornita dall’Ufficio a sostegno dell’avviso di accertamento, di contro rilevando la mancata allegazione del processo verbale di constatazione redatto dai militari verificatori.

L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza affidandosi a quattro motivi:

con il primo per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, e art. 61, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente;

con il secondo per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727,2729 c.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 14 e 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5 e 25, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19, 21, 23, 39 e 54, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 11, comma 1, e delle Dir. n. CEE 77/388/CE, Dir. n. 2006/112/CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver mal governato le regole sulle prove presuntive;

con il terzo per omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove ritenuta applicabile al vizio denunciato la formulazione antecedente a quella introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, per il mancato esame dei plurimi elementi fattuali su cui l’Amministrazione finanziaria aveva fondato l’accertamento delle operazioni oggettivamente inesistenti;

con il quarto per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove ritenuta applicabile al vizio denunciato la formulazione introdotta dalla menzionata disciplina del 2012, per il mancato esame dei fatti e degli elementi addotti dall’Ufficio a sostegno dell’atto impositivo.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale decisione.

La contribuente, cui pur risulta ritualmente notificato il ricorso, non si è costituita. Nell’adunanza camerale del 20 ottobre 2020 la causa è stata discussa e decisa.

Diritto

RITENUTO

che:

deve preliminarmente riconoscersi la legittimazione processuale della società, che ha introdotto il giudizio a mezzo del soggetto che aveva già rivestito le funzioni di liquidatore, ancorchè sia pacifico che la società fosse stata dichiarata fallita. A tal fine va riaffermato il principio, enunciato in ipotesi di fallimento di società di persona ma che ha valenza generale, secondo cui l’accertamento tributario, se inerente a crediti i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al curatore – in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso fallimentare o, comunque, della loro idoneità ad incidere sulla gestione dei beni e delle attività acquisiti al fallimento – ma anche al contribuente, il quale, restando esposto ai riflessi, anche di carattere sanzionatorio, conseguenti alla definitività dell’atto impositivo, è eccezionalmente abilitato ad impugnarlo, nell’inerzia degli organi fallimentari, non potendo attribuirsi carattere assoluto alla perdita della capacità processuale conseguente alla dichiarazione di fallimento, che può essere eccepita esclusivamente dal curatore nell’interesse della massa dei creditori. Ne consegue che, il socio accomandatario dichiarato fallito ai sensi della L. Fall., art. 147, in qualità di legale rappresentante (e nel caso di specie il liquidatore della società in liquidazione), è legittimato ad agire in giudizio nell’inerzia del curatore, la cui legittimazione esclusiva a far valere il difetto di capacità processuale dell’attore esclude che lo stesso possa essere rilevato d’ufficio o su eccezione della controparte (Cass., 30/04/2014, n. 9434).

Esaminando ora il merito del ricorso e dunque il primo motivo, esso trova fondamento. Con esso l’Agenzia si è doluta della nullità della pronuncia impugnata per motivazione apparente. Ha in particolare lamentato che l’appello dell’Ufficio sia stato fondato su mere enunciazioni del giudice regionale, che non consentono il percorso logico seguito dal giudice nel criticare gli elementi addotti dall’Ufficio a conforto dell’atto impositivo impugnato dalla contribuente.

Sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonchè quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento. Ed in sede di gravame può essere legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purchè il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., sent. 14786/2016; 7/04/2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve infatti ritenersi apparente quando, ancorchè graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass., 30/06/2020, n. 13248; cfr. anche 5/08/2019, n. 20921). L’apparenza peraltro si rivela ogni qual volta la pronuncia evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14/02/2020, n. 3819).

Nel caso di specie il giudice regionale si è limitato ad affermare che “l’Ufficio neanche in sede d’appello fornisce idonea documentazione a sostegno del proprio assunto limitandosi a riferire notizie apparse da altre fonti (peraltro alcune rimaste sconosciute) che a loro volta richiamano ulteriori fonti, sommando quindi presunzioni a presunzioni senza alcun concreto fondamento…. Pur versando in atti solo in sede d’appello la segnalazione del Nucleo di Polizia Tributaria di (OMISSIS) non allega il PVC da questi redatto”. Conclude rilevando che “…l’inversione dell’onere della prova si verifica solo se l’Amministrazione Finanziaria fornisce validi elementi probatori e non presunzioni di presunzioni, ciò nonostante la contribuente ha dimostrato l’effettività delle operazioni producendo le fatture di acquisto, di vendita e i documenti di trasporto.”.

La sintetica motivazione esprime una serie di giudizi, senza tuttavia alcuno specifico riferimento alla documentazione, che essa stessa pur ammette allegata agli atti processuali, e agli accertamenti eseguiti dai militari verificatori, evidenziati dall’Amministrazione finanziaria. Nell’esposizione del fatto lo stesso giudice regionale aveva infatti elencato gli elementi addotti dall’Ufficio per dimostrare la fittizietà delle operazioni fatturate. In particolare che la società M A Machinery Supply Corp, a favore della quale erano state emesse le tre fatture di vendita: a) utilizzava un codice identificativo corrispondente ad altra società, sedente in Svizzera e con codice Iva olandese; b) era una società americana con sede a Las Vegas e anch’essa con codice Iva olandese; c) aveva in Olanda come rappresentante non autorizzato la Sig.ra V.H., rappresentante anche la società svizzera, che aveva negato la ricezione di merci; d) trovava corrispondenza con altra società, olandese, la MS Mechinery Ireneland, nei cui confronti risultava che numerose imprese avevano emesso fatture per inesistenti cessioni di beni; e) l’Ufficio locale olandese sospettava della falsità della denominazione MS Mechinery Supplì Corp; f) aveva domicilio fiscale in Italia in (OMISSIS) (MI), presso tale B.G., indirizzo ricorrente spesso quale domiciliazione fittizia di numerose imprese; g) la rappresentanza italiana della società aveva presentato dichiarazioni IVA solo negli anni 2000 e 2001; h) quanto alle fatture di acquisto, la cedente Trading Line s.r.l. non aveva mai presentato dichiarazioni ai fini delle imposte dirette ed IVA, sicchè le cessioni relative alle predette fatture erano solo formali.

Ebbene, a fronte di un quadro così complesso, riportato nella sentenza stessa, il giudice regionale avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali aveva ritenuto inidonea la documentazione allegata dall’Ufficio a sostegno dei propri assunti, avrebbe dovuto chiarire perchè quelle notizie e quei fatti costituivano solo una mera sommatoria di “presunzioni a presunzioni”; avrebbe dovuto illustrare le ragioni dell’irrilevanza della segnalazione del Nucleo Centrale di polizia tributaria, incontestatamente agli atti, parte del cui contenuto è stato riportato nel ricorso dell’Agenzia delle entrate, in osservanza del principio di autosufficienza, e da cui è dato evincere l’accumulo di elementi, anche presuntivi, da cui l’Ufficio aveva tratto le sue conclusioni. Invece la motivazione, sintetica e poco perspicua, è del tutto silente, limitandosi ad alcune valutazioni astratte sulla irrilevanza del quadro probatorio, prive di argomentazioni anche solo sufficienti a comprendere quelle conclusioni.

Alla luce dei principi giuridici enunciati dalla giurisprudenza di legittimità nel caso di specie è evidente dunque l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata. Essa si compone di frasi del tutto generiche, con affermazioni che solo formalmente esprimono consapevolezza e critica della documentazione su cui l’accertamento sarebbe fondato, senza alcun concreto riferimento, sicchè risulta del tutto impossibile a questo collegio un controllo sul percorso logico e sulla correttezza del ragionamento seguito dal giudice regionale.

In conclusione il motivo va accolto.

L’accoglimento del primo motivo assorbe gli altri.

la sentenza va pertanto cassata perchè nulla, ed il giudizio va rinviato alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che in altra composizione dovrà riesaminare l’appello della Agenzia oltre che provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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