Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12036 del 10/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 10/06/2016), n.12036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4717-2015 proposto da:

A.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE MAZZINI 114/B, presso lo studio dell’avvocato

GIOVAMBATTISTA FERRIOLO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9551/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

11/11/2013, depositata i106/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato RANIERI RODA per delega dell’avvocato FERRIOLO

GIOVAMBATISTA, difensore del ricorrente, che si riporta agli scritti

e insiste per l’accoglimento.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 24.5.2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Roma il Ministero della Giustizia proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui lo stesso Tribunale gli aveva ingiunto di pagare, in favore della sua dipendente A.M., somme a titolo di compenso aggiuntivo per due festività di cui alla L. n. 260 del 1949 – come modificata dalla L. n. 90 del 1954 coincidenti con la domenica. Il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo. A seguito di impugnazione da parte della lavoratrice, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado. Riteneva la Corte territoriale che la fonte primaria fosse divenuta nella materia in questione la disciplina contrattualistica, ed in specie quella desumibile dal c.c.n.l. del Comparto Ministeri 1998/2001, che nulla disponeva con riguardo al compenso preteso dal lavoratore e che la L. n. 260 del 1949, art. 5 dovesse considerarsi inapplicabile prevedendo un incremento retributivo non contemplato dal contratto collettivo.

Valorizzava la Corte territoriale lo ius superveniens, costituito dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, che, all’art. 1, comma 224, ha stabilito, che: “Tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, è ricompreso la L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 5., comma 3 come sostituito dalla L. 31 marzo 1954, n. 90, art. 1, in materia di retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. E’ fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge” ed escludeva la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione A. M. con tre motivi di impugnazione.

Il Ministero resiste con controricorso.

Con i motivi di ricorso viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, posta questione di costituzionalità di tale norma e formulata richiesta di quesito interpretativo alla Corte di Giustizia, CE, ex art. 234 del Trattato CE. I motivi, da trattarsi congiuntamente, in ragione della intrinseca connessione, sono manifestamente infondati.

La Corte territoriale ha correttamente applicato lo jus superveniens costituito dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, norma che, laddove dispone che la L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 3, come successivamente modificato, è una fra le disposizioni divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 1, ha escluso, con portata retroattiva (e dunque non con effetti solo per il futuro), il riconoscimento del diritto dei dipendenti ad un compenso aggiuntivo, in caso di coincidenza con la festività della domenica. In tali termini questa Corte si è già più volte pronunciata. Si vedano, infatti, Cass. 5 aprile 2011, n. 7740, Cass. 25 febbraio 2011, n. 4661, Cass. 27 ottobre 2009, n. 22653, Cass. 17 giugno 2009, n. 14048, Cass. 22 febbraio 2008, n. 4667 con le quali si è evidenziato che la suddetta disposizione, mirando a risolvere dubbi interpretativi sull’ambito dell’inefficacia determinata dalla stipulazione della seconda tornata di contratti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, è qualificabile come norma di interpretazione autentica, siccome fatto palese, del resto, dalla specifica disposizione di salvezza dei giudicati formatisi anteriormente alla sua entrata in vigore. E’ stato anche rimarcato, con l’espresso richiamo alla pronuncia della Corte costituzionale n. 146 del 16 maggio 2008 (così Cass. n. 7740/2011, Cass. n. 4661/2001, Cass. n. 14048/2009 citate), come i dubbi di legittimità costituzionale, prospettati sotto il profilo della pretesa violazione del principio di uguaglianza, sono privi di fondamento.

Sulla questione, a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 1040 del 20 gennaio 2014, resa in un giudizio nel quale, come nel presente, si sosteneva che l’efficacia retroattiva della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, non appariva giustificata, sul piano costituzionale, da una finalità realmente interpretativa della disposizione stessa, la quale attribuisce alla norma interpretata (il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1, secondo periodo) non già uno dei significati possibili bensì un significato del tutto nuovo e si poneva, altresì, il problema che la detta retroattività avrebbe violato il divieto di ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, influendo sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso (art. 117 Cost., comma 1 e 6 CEDU), ledendo l’autonomia e indipendenza della magistratura (art. 104 Cost.) ed il principio di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) è tornata la Corte costituzionale. Nella recente decisione n. 150 del 14 luglio 2015, il Giudice delle leggi ha definitivamente fugato ogni dubbio di costituzionalità e di contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi della “parità delle armi” e della certezza del diritto (art. 6 CEDU) affermando che: “l’intervento interpretativo del legislatore non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento (sentenza n. 209 del 2010), escluse da questa Corte già nella sentenza n. 146 del 2008 in considerazione della peculiarità del regime del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni delineato dal D.Lgs. n. 165 del 2001 e dai contratti collettivi ivi richiamati, ma neppure determina una lesione dell’affidamento. Il testo originario rendeva, sin dall’inizio, plausibile, come si è già rilevato, una lettura diversa da quella che i destinatari della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare (sentenza n. 170 del 2008), coerente con i princìpi ai quali è informato il rapporto di lavoro pubblico. Nè si ravvisa una lesione delle attribuzioni del potere giudiziario. La norma in esame, infatti, avendo natura interpretativa, ha operato sul piano delle fonti, senza toccare la potestà di giudicare, limitandosi a precisare la regola astratta ed il modello di decisione cui l’esercizio di tale potestà deve attenersi, definendo e delimitando la fattispecie normativa oggetto della medesima (sentenza n. 170 del 2008), proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico (sentenza n. 209 del 2010)”.

In tale decisione si è, infatti, precisato: – che “al legislatore non è… precluso di emanare… norme retroattive (sia innovative che di interpretazione autentica), “purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU” (sentenza n. 264 del 2012)” (sentenza n. 156 del 2014;

così anche, ex plurimis, sentenze n. 78 del 2012, n. 15 del 2012); –

che ciò accade allorquando una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore (sentenza n. 311 del 2009; così anche Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 23 ottobre 1997, National &

Provincial Building Society ed altri contro Regno Unito), nonchè di riaffermare l’intento originale del Parlamento (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas e altri contro Francia) a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini; – che la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, nell’escludere l’applicabilità ai lavoratori pubblici della norma recante la previsione del diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel caso in cui le festività ricorrano di domenica, all’indomani della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, non ha fatto altro che dare attuazione ad uno dei principi ispiratori dell’intero D.Lgs. n. 165 del 2001 (inapplicabilità “delle norme generali e speciali del pubblico impiego”, a seguito appunto della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997); – che, inoltre, la norma in questione ha chiarito – risolvendo una situazione di incertezza testimoniata dalla presenza di pronunce di segno contrastante (Cass. 28 marzo 1981, n. 1803; Cass. 10 gennaio 2011, n. 258; Cass. 5 luglio 2006, n. 15331); – che la L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 3, ha carattere imperativo; – che l’intervento interpretativo del legislatore non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza, ma neppure determina una lesione dell’affidamento (rendendo il testo originario della norma, sin dall’inizio, plausibile una lettura diversa da quella che i destinatari della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare).

Si propone, pertanto, il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto dello stesso.

Il recente intervento della Corte costituzionale sulla questione oggetto di causa consente di compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 si impone di dare atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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