Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12035 del 31/05/2011

Cassazione civile sez. II, 31/05/2011, (ud. 18/04/2011, dep. 31/05/2011), n.12035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.A. (OMISSIS), rappresentato e difeso, in forza

di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Gabanella

Alessandro e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria della Corte

di cassazione;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’amministratore pro

tempore;

– intimato –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Trento – sez. dist. di

Bolzano n. 46 del 2008, depositata il 2 marzo 2008, corretta con

ordinanza depositata in data 11 luglio 2008 e notificata il 9 ottobre

2008;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LETTIERI Nicola, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 27 maggio 2005 il geom. F.A. impugnava dinanzi al Tribunale di Bolzano le deliberazioni assunte dall’assemblea condominiale del Condominio “(OMISSIS)” in data (OMISSIS) e relative all’approvazione del bilancio preventivo e consuntivo, ai rifacimento del tetto, alla nomina dell’amministratore dei revisori dei conti. A sostegno del ricorso l’istante deduceva di non aver ricevuto l’avviso di convocazione dell’assemblea, l’indeterminatezza del consuntivo e del preventivo approvati dall’assemblea, l’addebito di spese inesistenti ovvero già pagate, l’eccesso di potere in relazione alla delibera di rifacimento del tetto, viziata dalla mancata o travisata conoscenza dei relativi presupposti. Nella resistenza del convenuto condominio, il Tribunale adito, con sentenza n. 25 del 2007, rigettava la domanda e provvedeva sulle spese. Interposto appello da parte del F. e nella costituzione dell’appellato Condominio, la Corte di appello di Trento – sez. dist. di Bolzano, con sentenza n. 46 del 2008 (depositata il 3 marzo 2008), rigettava il gravame, confermava l’impugnata sentenza e condannava l’appellante a rifondere le spese all’appellata (indicata come) Fi.El.. Con ricorso del 3 giugno 2008 il Condominio “(OMISSIS)” adiva la stessa Corte di appello e, sul presupposto che nella suddetta sentenza n. 46 del 2008, erano stati riportati, per errore, motivazione e dispositivo di altra sentenza (la n. 155 del 2005), resa all’esito di un altro giudizio intercorso tra Fi.El. e F.A., chiedeva che si provvedesse alla correzione dell’errore stesso. Nella costituzione del F. che si opponeva alla richiesta correzione, la Corte territoriale, con ordinanza depositata il 1 luglio 2008 (ed annotata il 24 luglio 2008), accoglieva la formulata istanza di correzione e, sostituendo la parte motiva e il dispositivo della precedente sentenza, rigettava l’appello principale e l’appello incidentale, confermando integralmente l’impugnata sentenza e regolando le spese del grado. Avverso la riportata sentenza, assunta come corretta con la successiva ordinanza dell’11 luglio 2008, notificata il 9 ottobre 2008, ha proposto ricorso per cassazione F.A. (consegnato per la notifica i 9 dicembre 2008, ricevuto dal destinatario il 15 dicembre successivo e depositato in cancelleria il seguente 22 dicembre), basandolo su quattro distinti motivi, avverso il quale non si è costituito in questa fase l’intimato Condominio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata, come corretta, per nullità della sentenza e del procedimento (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avuto riguardo alla violazione ed errata interpretazione degli artt. 287 e 288 c.p.c.. Al riguardo risulta formulato i seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “dica la S.C. se sia suscettibile di correzione ai sensi degli artt. 287 e 288 c.p.c. una sentenza che non consenta, sulla sola base del contenuto di essa, di comprendere in quale modo il giudice intendesse decidere e le ragioni della decisione, essendo tanto il dispositivo quanto la motivazione della sentenza relativi ad altro processo vertente su di una fattispecie totalmente diversa e con, in comune tra i due processi, una sola parte”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione ed errata interpretazione degli artt. 1324, 1362 e 1364 c.c.. Il motivo è corredato de seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se un foglio contenente esclusivamente vari indirizzi scritti a macchina, di cui taluni cancellati ed uno corrispondente a quello di chi viene dedotto quale destinatario, il timbro del soggetto che viene dedotto quale mittente, un timbro postale, un importo, una data manoscritta e le parole, pure manoscritte, “racc. dalla n. (OMISSIS)” possa costituire ricevuta di spedizione di una raccomandata”.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione ed errata interpretazione dell’art. 1135 c.c. e art. 1136 c.c., comma 7, prospettando il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se sia valida o meno la deliberazione di un’assemblea condominiale di approvazione del preventivo e del rendiconto dell’amministratore effettuata mediante il mero richiamo ad un preventivo e ad un rendiconto – senza ulteriori specificazioni in ordine al contenuto, fatta eccezione, quanto al preventivo, per il totale – che non siano sottoscritti da alcuno e che non presentino, quindi, il requisito della forma scritta”.

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente deduce – sempre in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione ed errata interpretazione dell’art. 1335 c.c., formulando, in proposito, il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se sia valida o meno la deliberazione di un’assemblea condominiale di approvazione dello stato di ripartizione delle spese di cui all’art. 1135 c.c., comma 1, n. 2) il quale ponga a carico di un condomino somme maggiori di quelle risultanti dalla ripartizione millesimale, siccome comprendenti debiti relativi ad esercizi precedenti, che siano già stati pagati al momento dell’approvazione del preventivo”.

5. Rileva il collegio che il primo motivo dedotto dal ricorrente è fondato ed al suo accoglimento consegue l’assorbimento dell’esame degli altri.

Con la richiamata prima doglianza, riferita alla dedotta violazione processuale, il ricorrente ha, in effetti, censurato l’impugnata sentenza per aver illegittimamente applicato i procedimento di correzione di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. in un caso da ritenersi esorbitante dai limiti previsti dallo stesso art. 287 c.p.c., avendo la Corte territoriale provveduto – ancorchè adducendo, nella relativa ordinanza ammissiva de suddetto procedimento, un mero disguido materiale nella scelta del “file” da selezionare e da stampare, anche al fine di evitare il dispendio di ulteriori due gradi di giudizio – a sostituire completamente la motivazione e il dispositivo della sentenza rispetto al testo precedente relativi ad una controversia avente un oggetto diverso (inadempimento di un contratto di locazione) e riferito, parzialmente, a parti differenti, avendo in comune il solo F.A., mentre la parte appellata corrispondeva, nel primo testo, a tale Fi.El. e, nel secondo, a Condominio “(OMISSIS)”. Alla stregua di tale prospettazione il ricorrente ha rappresentato che, nel caso di specie, non poteva discorrersi di errore materiale come tale legittimante il ricorso al procedimento di correzione, poichè esso non si era risolto in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, causata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e che, come tale, avrebbe potuto essere percepito “ictu oculi”, senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto deve restare individuabile ed individuato senza incertezza.

Il collegio sottolinea, in proposito, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. 25 gennaio 2000, n. 816; Cass. 11 aprile 2002, n. 5196; Cass. 30 agosto 2004, n. 17392, e, da ultimo, Cass., SU., 5 marzo 2009, n. 5287), il procedimento per la correzione degli errori materiali di cui all’art. 287 c.p.c. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, senza che possa incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione. In altri termini, la pronuncia di correzione di errori materiali (o di calcolo) deve considerarsi funzionale all’eliminazione di un errore che, non incidendo sul contenuto sostanziale della decisione (e, quindi, concretantesi in un elemento estrinseco alla “ratio decidendi”), si risolve, per converso, in un difetto di corrispondenza tra il contenuto “ideale” della sentenza e la sua materiale rappresentazione mediante simboli grafici, emergente “ictu oculi” dalla lettura del provvedimento, con la conseguenza che detta pronuncia non può implicare una motivazione diversa ed ulteriore rispetto alla esplicitazione dei passaggi logici e delle operazioni attraverso i quali si pone rimedio all’errore del giudice.

L’errore correggibile, infatti, deve consistere in un mero errore di espressione di una volontà in sè non viziata e deve essere riconoscibile dalla lettura del solo documento concernente la decisione e recante l’errore stesso. La correzione non può, dunque, incidere sul “decisum”, poichè l’errore correggibile non può intaccare in alcun modo le posizioni giuridiche delle stesse parti così come accertate nella decisione e, pertanto, la sua correzione – da ricondurre all’esplicazione di un’attività amministrativa (v.

Cass. 31 marzo 2007, n. 8060) e non implicante, perciò, propriamente un nuovo esercizio dell’attività giurisdizionale – uniforma semplicemente le espressioni (ritenute erronee) utilizzate nel documento con la decisione medesima, senza in alcun modo investire l’essenza di quest’ultima. Alla luce di tali principi, si desume, quindi, che al procedimento di correzione è demandata la funzione di ripristinare la corrispondenza tra quanto il provvedimento ha inteso dichiarare e quanto ha formalmente dichiarato, in dipendenza proprio dell’errore o dell’omissione materiali, e non, quindi, di porre rimedio ad un vizio di formazione della volontà del giudice, funzione alla quale sono deputati i mezzi di impugnazione. E’ l’errore nell’espressione e non ne pensiero, dovuto a disattenzione o svista, che può dare ingresso al procedimento di correzione, sicchè – anche secondo la migliore dottrina – esulano dal campo di applicazione di questo procedimento i vizi che attengono alla formazione della volontà e al processo di manifestazione della stessa, rimanendo spazio solo per quanto è involontario o si riferisce ad elementi che sono sottratti a qualunque forma di valutazione (come, ad es., nei casi dell’inesatta o incompleta indicazione del nome delle parti nell’intestazione o nel dispositivo, dell’erronea trascrizione delle conclusioni delle parti, del contrasto tra motivazione e dispositivo conseguente a mera inversione dei termini nell’indicazione delle parti, dell’omessa o errata indicazione della data di deliberazione della sentenza, dell’omessa o inesatta indicazione dell’epigrafe della sentenza di uno o più nomi dei difensori ritualmente costituiti, e così via) in virtù della delimitazione di tale ambito di applicabilità rimangono esclusi dai procedimento di correzione gli errori che implicano nullità della sentenza, come pure l’errore di fatto revocatorio che consiste in una divergenza di quanto risulta dalla sentenza dalla realtà processuale. In sostanza, quindi, l’errore materiale (o di calcolo) può considerarsi sussistente ogni qual volta esso non sia conseguenza di una inesatta valutazione giuridica o di un vizio di motivazione, e, quindi, non implichi vizio del giudizio e nullità cui si applica il principio previsto dall’art. 161 c.p.c. e, dunque, si risolva in un semplice difetto di formulazione de testo scritto, senza incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione.

Ciò posto, appare evidente come, alla luce dei principi posti in risalto, l’adozione del procedimento di correzione da parte della Corte territoriale altoatesina sia stata, nella specie, clamorosamente illegittima, poichè con il ricorso a detto procedimento essa ha provveduto a sostituire completamente il fatto e lo svolgimento del processo del precedente testo della sentenza, riferito ad altra e diversa controversia intercorsa tra il F. e tale Fi.El., oltre al dispositivo (ancorchè parzialmente, ma causalmente, coincidente in ordine all’esito del rigetto nel merito dell’appello del F.), così violando palesemente le norme di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., indicate nel motivo in esame, avendo addirittura adottato una sentenza, con la forma dell’ordinanza correttiva, caratterizzata, oggettivamente e soggettivamente, da un nuovo contenuto decisionale, logico, giuridico e sostanziale (come si evince anche dall’espressa enunciazione della premessa della stessa ordinanza), in alcun modo rapportabile al testo corretto, se non per la mera comunanza dell’intestazione, e, quindi, in definitiva, ponendosi con tale condotta al di fuori dei ristretti limiti – come precedentemente delineati – in cui è giuridicamente ammissibile il ricorso al procedimento di correzione.

6. In definitiva, in accoglimento de primo pregiudiziale motivo proposto dal F. (a cui consegue l’assorbimento, nella presente sede di legittimità, dell’esame degli altri, la cui rivalutazione nel merito rimane impregiudicata nel giudizio di rinvio), deve essere ordinata la cassazione dell’impugnata sentenza (come corretta), con rinvio alla stessa Corte di appello di Trento – Sez. dist. Di Bolzano, in diversa composizione, che, oltre a provvedere anche sulle spese della presente fase, si atterrà al seguente principio di diritto: “posto che il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, causato da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile “ictu oculi”, è inammissibile il ricorso a tale procedimento allorquando il giudice, ancorchè per motivi di carattere esterno e di scarsa diligenza nell’organizzazione del lavoro giudiziario, intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo precedenti afferenti ad altra e differente controversia (con in comune una sola delle parti), così conferendo alla sentenza corretta un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Trento – sez. dist.

Di Bolzano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile, il 18 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011

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