Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12034 del 10/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 10/06/2016), n.12034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 287-2015 proposto da:

G.R.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 36, presso lo studio

dell’avvocato IOLANDA PICCININI, che la rappresenta e difende

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1182/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA del 13/6/2014, depositata il 25/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato IOLANDA PICCININI, difensore del ricorrente, che

si riporta agli scritti e chiede la trattazione in Pubblica Udienza.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 24.5.2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

” G.R.M., segretario comunale sino all’agosto 1998, si avvalse della procedura di mobilità prevista dal D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465 e, per questa via, passò alle dipendenze del Ministero della Giustizia, con decorrenza 14.8.1998.

Entrata in vigore la L. n. 311 del 2004, chiese di essere inquadrata nel ruolo unico della dirigenza. L’amministrazione datrice di lavoro rispose negativamente.

La dipendente convenne l’amministrazione in giudizio dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, che accolse il ricorso riconoscendo il diritto all’inquadramento nel ruolo dirigenziale a far data dal 1.1.2005, con le relative conseguenze economiche dal 30.11.2006, rigettando le pretese risarcitorie.

Il Ministero propose appello, che fu accolto dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza pubblicata il 25.6.2014, con la quale venne invece rigettato il ricorso incidentale. La sentenza della Corte d’appello ha ritenuto che non rilevasse ai fini del riconoscimento del diritto all’inquadramento nel ruolo di dirigente la circostanza che la ricorrente era stata segretaria comunale per più di tre anni e che si era avvalsa della facoltà prevista dal D.P.R. n. 465 del 1997, art. 18.

La G. ha proposto ricorso per cassazione, evidenziando con il primo motivo l’ammissibilità del ricorso ex art. 360 bis, per la sussistenza di elementi nuovi idonei a mutare l’orientamento giurisprudenziale, atteso che, con nota del 31.1.2014 del Ministero dell’Interno – Albo nazionale dei Segretari Comunali e Provinciali (allegato B delle note di deposito contenute nel fascicolo di parte di secondo grado) – non menzionata nella sentenza della Corte calabrese – era stato attestato che alla data di entrata in vigore della L. n. 311 del 2004 non vi erano in corso istanze di mobilità D.P.R. n. 465 del 1997, ex art. 18 e che le procedure inerenti la norma in esame sono state concluse anteriormente alla data di entrata in vigore della legge citata. Sostiene la ricorrente che l’affermazione del giudice del gravame secondo cui alla data di entrata in vigore del comma 49 potevano esservi procedure di mobilità ancora in corso per i segretari in servizio presso altre amministrazioni diverse da quelle di provenienza era stata smentita e che ciò contrastava con il principio di conservazione sancito dall’art. 1367 c. c., la cui ratio è quella di evitare che un atto sia improduttivo di effetti giuridici.

Con il secondo motivo, viene denunziata violazione ed erronea applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 48 e 49.

Il Ministero si è difeso con controricorso.

I motivi vanno trattati congiuntamente per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto.

Il problema oggetto della controversia concerne l’interpretazione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 49 (finanziaria 2005).

Tale norma prevede che, in caso di mobilità dei segretari comunali o provinciali verso altre amministrazioni, qualora sussistano determinati requisiti, costoro devono essere inquadrati “nei ruoli unici delle amministrazioni in cui prestano servizio alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Il problema specifico consiste nello stabilire se tale disposizione riguardi solo i processi di mobilità in corso o successivi alla data di entrata in vigore della legge oppure riguardi anche i processi di mobilità già avvenuti come ritenuto dal Tribunale.

Questa Corte, a s. u., cui la questione era stata rimessa con ordinanza interlocutoria, ha deciso la stessa nel senso della esclusione dell’applicazione della disposizione anche ai processi di mobilità già avvenuti (cfr. Cass., s. u. nn. 784, 785 e 786 del 2016).

Dopo avere proceduto ad un’articolata ricostruzione della normativa anche contrattuale regolante la mobilità verso altre amministrazioni dei segretari comunali e provinciali, le S. U. hanno richiamato il testo della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 48 e 49 (Comma 48: “In caso di mobilità presso altre pubbliche amministrazioni, con la conseguente cancellazione dall’albo, nelle more della nuova disciplina contrattuale, i segretari comunali e provinciali appartenenti alle fasce professionali A e B possono essere collocati, analogamente a quanto previsto per i segretari appartenenti alla fascia C, nella categoria o area professionale più alta prevista dal sistema di classificazione vigente presso l’amministrazione di destinazione, previa espressa manifestazione di volontà in tale senso”.

Comma 49: “Nell’ambito del processo di mobilità di cui al comma 48, i soggetti che abbiano prestato servizio effettivo di ruolo come segretari comunali o provinciali per almeno tre anni e che si siano avvalsi della facoltà di cui all’articolo 18 del regolamento di cui al D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465, sono inquadrati, nei limiti del contingente di cui al comma 96, nei ruoli unici delle amministrazioni in cui prestano servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, ovvero di altre amministrazioni in cui si riscontrano carenze di organico, previo consenso dell’interessato, ai sensi ed agli effetti delle disposizioni in materia di mobilità e delle condizioni del contratto collettivo vigenti per la categoria”). Hanno quindi precisato che le regole ivi previste, dettate in attesa della nuova disciplina collettiva, riguardano non i processi di mobilità già conclusi, ma quelli eventuali e futuri e che le stesse sono limitative delle tutele previste dalla normativa del contratto collettivo 1998-2001.

Infatti, in deroga a quanto previsto da tale contratto, si stabilisce che anche “gli appartenenti alle fasce professionali A e B, analogamente a quanto previsto per i segretari appartenenti alla fascia C” possono essere collocati, previo loro consenso, nella “categoria o area professionale più alta prevista dal sistema di classificazione vigente presso l’amministrazione di destinazione”.

E’ stato evidenziato che, mentre nel sistema delineato dal ccnl 1998/2001 il personale di fascia A e di fascia B più elevata, in caso di mobilità, accedeva alla dirigenza presso le amministrazioni di destinazione, nel nuovo contesto normativo, più restrittivo, anche per queste qualifiche più elevate si rese possibile la mobilità senza acquisizione della qualifica di dirigente.

Questa lettura della norma – cfr. quanto argomentato da Cass. S. U. cit. – è stata confermata dall’interpretazione autentica fornita dalla L. n. 246 del 2005, art. 16, comma 4, che così si esprime: “la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 48 si interpreta nel senso che i segretari comunali e provinciali appartenenti alle fasce professionali A e B possono essere collocati in posizioni professionali equivalenti alla ex 9^ qualifica funzionale del comparto Ministeri, previa espressa manifestazione di volontà in tale senso, con spettanza del trattamento economico corrispondente”.

Il comma 49 aggiunge che “Nell’ambito del processo di mobilità di cui al comma 48” il trasferimento ad altre amministrazioni può comportare l’accesso ai ruoli unici della dirigenza in presenza di determinate condizioni ed entro determinati limiti.

Le condizioni sono che i soggetti si siano avvalsi della mobilità ai sensi del D.Lgs. n. 465 del 1997, ex art. 18 e che abbiano prestato servizio di ruolo per almeno tre anni. Il limite è costituito dal contingentamento di cui al comma 96 del medesimo art. 1. Con sentenze di questa Corte 8 gennaio 2014, n. 165, 20 gennaio 2014, n. 1047 e 22 gennaio 2014, n. 1324, era stata seguita la tesi dell’inapplicabilità della normativa ai processi di mobilità già conclusi. Nel sostenere la validità di tale orientamento, le S. U., nel dirimere la questione di particolare importanza, hanno rilevato come la tesi sostenuta dalla dipendente si basi su di una lettura asistemica del comma 49, interpretato dando rilievo ad alcuni termini in esso contenuti, senza considerare altri elementi letterali di segno contrario, ma soprattutto estraendo il comma dal contesto in cui è inserito, senza tener conto dei precisi collegamenti alle altre disposizioni della medesima legge, nonchè al più generale quadro normativo che disciplina la materia.

E’ stato evidenziato come, sul piano dell’interpretazione letterale, la tesi dei dipendenti, concentrandosi sul rilievo che la norma prevede l’inquadramento, in presenza di determinate condizioni, nei ruoli unici presso le amministrazioni in cui i soggetti in questione prestano servizio (o, invero, presso altre amministrazioni in cui si riscontrano carenze di organico), ritiene che l’utilizzazione del sostantivo “soggetti” e dell’indicativo presente “prestano servizio” imponga di affermare che essa si estenda anche a tutte le mobilità che abbiano già implicato il passaggio dei segretari alle dipendenze delle amministrazioni di destinazione e che quindi si siano già concluse all’epoca della entrata in vigore della legge.

E’ stato, poi, rilevato che, a smentire la validità di tale ricostruzione, deve essere richiamato il testo, molto chiaro della norma, che si apre con la formula “Nell’ambito del processo di mobilità di cui al comma 48” e che tale collegamento testuale restringe il campo di applicazione della norma, la cui disciplina non vale per qualsiasi processo di mobilità, ma solo per le mobilità di cui al comma 48.

Infine, è stato osservato che il comma 48, a sua volta collegato al 47, che prevede la mobilità quale alternativa al blocco delle assunzioni operato dalla L. n. 311 del 2004, detta una disciplina che non riguarda le mobilità già completate, ma guarda al futuro prescrivendo che, in attesa di nuove norme contrattuali (“nelle more della nuova disciplina contrattuale”), i processi di mobilità, in deroga a quanto previsto dal contratto collettivo del 1998-2001, potranno comportare il mancato accesso alla dirigenza non solo per i segretari comunali di qualifica C e B (meno elevate), ma anche per le qualifiche A e B (più elevate).

Questa prospettiva derogatoria (resa più esplicita dalla legge di interpretazione autentica n. 246 del 2005) della disciplina contrattuale collettiva indica in maniera netta, a giudizio della Corte a s.u., che la nuova normativa non riguarda il passato, non potendo certo incidere sulle qualifiche dirigenziali acquisite dai segretari di livello più elevato il cui processo di mobilità si era già completato.

Se la disciplina del comma 48 non riguarda le mobilità già compiute, tale carattere si estende al comma 49, perchè questo comma, come si è già visto, si apre con la formula “Nell’ambito del processo di mobilità di cui al comma 48”.

Ulteriore dati considerati in sede interpretativa – letterali e non-

sono stati quelli che il comma 49 non si limita a richiedere due condizioni, ma pone anche un limite all’accesso alla dirigenza, laddove prescrive che tale accesso può avvenire “nei limiti del contingente di cui al comma 96”, che le previsioni di spesa contenute in questo comma sono tutte rivolte al futuro e non a ricostruzioni di situazioni pregresse e che non vi è alcuna previsione di spesa per le ricostruzioni di carriera derivanti dalla estensione della normativa a tutte le mobilità dei segretari comunali e provinciali già compiutesi (cfr. S. U. cit., in motivazione).

Infine, è stato rimarcato come tutta I’ evoluzione della disciplina sia nel senso dell’impossibilità di estrarre il comma 49 dal contesto sistemico in cui è inserito, elidendo il preciso collegamento operato con il suo incipit. Sul piano teleologico, si è, poi osservato che la Corte costituzionale ha reiteratamente ribadito che il principio costituzionale dell’accesso alla pubblica amministrazione per concorso pubblico vale anche per l’accesso alla dirigenza (Corte cost. nn. 108 e 7 del 2011, nn. 30, 212 e 217 del 2012) e che, in particolare, nella sentenza n. 217 del 2012 si è così espressa: “Più volte questa Corte (tra le tante si vedano le più recenti sentenze n. 90, 62, 51, 30 del 2012 e 299 del 2011) ha posto in rilievo la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del pubblico concorso di cui all’art. 97 Cost., deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle”, e che l’affermazione vale anche, ed a maggior ragione, per l’acquisizione delle qualifiche dirigenziali.

Ciò, sulla base della considerazione che l’interpretazione dei testi normativi che apportano deroghe in materia di accesso alla dirigenza deve essere quanto mai rigorosa e non può estendersi al di là di quanto emerga in maniera precisa ed inequivoca dalle affermazioni del legislatore.

Tanto premesso, deve rilevarsi come la prospettazione della ricorrente, fondata sul rilevato contrasto dell’interpretazione che esclude dall’ambito di applicabilità della norma le procedura di mobilità già concluse con il principio di conservazione di cui all’art. 1367 c.c., sia stata anchèessa esaminata dalle S. U. e ritenuta non condivisibile per una pluralità di ragioni.

E’ stato evidenziato in primo luogo come il canone ermeneutico invocato riguarda la conservazione del contratto e non può essere meccanicamente esteso all’interpretazione di un atto legislativo, per il quale valgono criteri ermeneutici diversi.

E’ stato poi osservato che, in ogni caso, anche all’interno dell’ermeneutica contrattuale, si tratta di un canone sussidiario, cui è possibile fare ricorso solo laddove i criteri dettati dagli artt. 1362-1366 non risolvano i problemi interpretativi e permanga il dubbio laddove, nel caso in esame, i criteri della interpretazione letterale ed ancor più della interpretazione sistematica, portano all’esclusione dell’incertezza interpretativa (cfr. S. U. 784/2016 cit.).

E’ stato anche negato l’assunto in fatto che all’epoca della L. n. 311 del 2004 non vi fossero mobilità volontarie in corso, come era dato evincere dal caso considerato, sebbene ad altri fini, da Cass. 20856 del 2015, concernente una segretaria comunale in disponibilità che aveva presentato domanda di mobilità volontaria ex art. 18, a seguito della quale era anche stato autorizzato il suo trasferimento presso altra amministrazione, sebbene tale procedura non si fosse conclusa al momento della entrata in vigore della L. n. 186 del 2004, nè in seguito, il che aveva costretto la lavoratrice ad intentare una controversia per il completamento della mobilità volontaria conformemente alla sua domanda (v. s. u. cit. in motivazione, sullo specifico aspetto).

Alla stregua dei passaggi argomentativi come sopra riassuntivamente esposti, la Corte a s. u. è pervenuta all’affermazione del seguente principio di diritto: “la L. 311 del 2004, art. 1, comma 49 non si applica alle procedure di mobilità dei segretari comunali e provinciali già concluse alla data di entrata in vigore di tale legge”.

In forza di tale principio, tenuto conto della peculiarità della fattispecie esaminata, riferita a procedura di mobilità già concluso alla data di entrata in vigore della legge oggetto di interpretazione, si propone, pertanto, il rigetto del ricorso della G..

Il recente intervento delle Sezioni unite giustifica, poi, la compensazione delle spese del presente giudizio”.

Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto dello stesso, osservando, quanto ai rilievi formulati nella memoria della ricorrente, che gli stessi non valgano a scalfire l’iter argomentativo svolto in conformità a quanto esaustivamente considerato dalle S. U. nelle pronunce richiamate. Queste hanno invero avuto riguardo anche alla questione della asserita inesistenza di procedure di mobilità volontaria in corso all’epoca di entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, all’ulteriore aspetto – sopra riportato nei termini in cui è stato affrontato dalle s.u. –

dell’incidenza e della portata del principio di conservazione degli atti giuridici quale canone interpretativo diversamente rilevante in materia di contratti e di atti legislativi, non potendo assumere rilievo nella complessiva disamina della questione il richiamato intervento del legislatore ancora in itinere (delega al Governo da parte della L. n. 124 del 2015 all’istituzione di tre ruoli unici di dirigenti pubblici con specifica previsione anche della figura dei segretari comunali e provinciali) rispetto alla ricostruzione sistematica richiamata. Le evidenziate ragioni poste a fondamento della interpretazione adottata consentono, infine, di escludere fondatamente che la stessa presenti gli aspetti di incostituzionalità indicati dal ricorrente, posto che, secondo il Giudice delle leggi (Corte Costituzionale n. 374 del 2002, n. 311 del 1995 e n. 6 del 1994), la diversità di trattamento non lede il principio uguaglianza quando si pone come mero fatto collegato al fluire del tempo.

Il recente intervento delle Sezioni unite giustifica, poi, la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 si impone di dare atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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