Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12031 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 06/05/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 06/05/2021), n.12031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15194-2015 proposto da:

AGENZIA REGIONALE PER L’ISTRUZIONE LA FORMAZIONE E IL LAVORO –

A.R.I.F.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 1348, presso lo

studio dell’avvocato GIAMPAOLO RUGGIERO, rappresentata e difesa

dall’avvocato RAFFAELA SCHIENA;

– controricorrente –

contro

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BORGHESANO

LUCCHESE 19, presso lo studio dell’avvocato GENEROSO BLOISE,

rappresentata e difesa dagli avvocati TATIANA BIAGIONI, VALENTINA

CIVITELLI;

– controricorrente –

e contro

C.P., S.G., domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCO SCARPELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1088/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/12/2014 R.G.N. 2442/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/11/2020 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO, che ha concluso per accoglimento del secondo motivo,

assorbimento dei rimanenti quanto alla posizione di C. e

S.; rigetto quanto alla posizione di G.;

udito l’Avvocato GIAMPAOLO RUGGIERO per delega verbale Avvocato

RAFFAELA SCHIENA;

udito l’Avvocato GENEROSO BLOISE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con distinti ricorsi al Tribunale di Milano S.G., C.P. e G.M. proponevano opposizione avverso le ingiunzioni emesse dall’Agenzia Regionale per l’Istruzione la Formazione e il Lavoro (ARIFL) ai sensi del R.D. n. 639 del 1910, art. 2 per il recupero di differenze retributive erroneamente corrisposte.

Il recupero aveva fatto seguito ad una visita ispettiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze svoltasi dei mesi di aprile-giugno 2008, all’esito della quale era emerso che a taluni lavoratori assunti con contratti a tempo determinato, la ARIFL (subentrata all’Agenzia Regionale per il Lavoro) aveva applicato un livello retributivo superiore a quello iniziale di ingresso previsto dalle disposizioni di legge e di contratto collettivo.

Detto recupero aveva, in particolare, riguardato: quanto al S., somme relative all’erroneo inquadramento nel livello C3, in luogo del dovuto trattamento di ingresso (C1); quanto alla C., l’erroneo inquadramento nei parametri D2 – prima – e D4 – poi -, in luogo del trattamento di ingresso dovuto (D1); quanto alla G. sia l’erroneo inquadramento nel parametro retributivo D5, in luogo del trattamento di ingresso dovuto (D1) sia l’illegittima corresponsione di assegni ad personam nel periodo 2004-2006.

2. Il Tribunale riteneva innanzitutto erroneo l’utilizzo dello strumento dell’ingiunzione fiscale prevista dal R.D. n. 639 del 2010 vertendosi in materia di pubblico impiego privatizzato.

Quanto al merito riteneva fondata l’opposizione del S. escludendo un indebito oggettivo ed evidenziando che il contratto stipulato dal predetto prevedesse l’inquadramento in C3, in relazione alla quale le retribuzioni erano state liquidate e che non sussistessero elementi per ravvisare la conoscibilità del relativo errore da parte del dipendente.

Analoga pronuncia era emessa con riguardo alla C. evidenziandosi da parte del Tribunale che, pur se la qualifica attribuitale dal datore di lavoro non fosse conforme a quella stabilita dal c.c.n.l., la lavoratrice non potesse rendersi conto di tale non conformità non essendovi stata, peraltro, alcuna contestazione in ordine alla difformità tra le mansioni in concreto espletate rispetto al livello assegnato in contratto.

Con riferimento alla posizione della G., il Tribunale riteneva che la corresponsione del superiore trattamento economico D5 fosse indebita per contrasto con il c.c.n.l. e con il principio di parità di trattamento ma dichiarava illegittima la pretesa dell’ARIFL relativa alla ripetizione dell’importo di cui agli assegni ad personam ritenendo che non vi fosse alcuna prova della corresponsione di tali somme sine titulo;

3. La Corte d’appello di Milano, decidendo sugli appelli principali di ARIFL e sull’appello incidentale della sola G., riunite le cause, confermava le pronunce del Tribunale relative al S. ed alla C. e, in riforma di quella relativa alla G., dichiarava che nulla era dovuto da quest’ultima all’ARIFL con riferimento alle differenze retributive relative al livello di inquadramento alla stessa attribuito in sede di contratto individuale di lavoro.

Richiamando un proprio precedente (sent. n. 740/2013) la Corte territoriale escludeva che nella fattispecie potesse essere configurato un indebito oggettivo perchè ai dipendenti era stato corrisposto il trattamento retributivo previsto nei contratti individuali e nessun rilievo poteva avere la violazione della disciplina dettata dal c.c.n.l. in quanto l’Agenzia non aveva svolto alcuna specifica deduzione in ordine all’eventuale invalidità delle pattuizioni contrattuali.

Poneva tale assunto a fondamento della conferma delle sentenze relative al S. ed alla C. e della riforma della sentenza relativa alla G. quanto alla corresponsione degli assegni ad personam.

Evidenziava, infine, la Corte milanese che non potesse l’Agenzia emettere l’ordinanza ingiunzione in quanto l’ordine di pagare si deve riferire ad un credito certo liquido ed esigibile.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’A.R.I.F.L. sulla base di tre motivi.

5. Hanno resistito con tempestivi distinti controricorsi G.M., C.E. e S.G..

6. I controricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’ARIFL denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2033,1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, art. 45, comma 3 c.c.n.l. di comparto e del D.D.U.O. n. 16047 del 3/7/2001 (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

Censura la sentenza impugnata per aver erroneamente escluso il carattere indebito del pagamento effettuato in violazione della disciplina del rapporto dettata dal c.c.n.l. per i dipendenti del comparto regioni e autonomie locali. L’Agenzia ricorrente, descritto il sistema di classificazione del personale, rileva che al momento dell’assunzione il dipendente deve essere inquadrato nel primo livello retributivo e solo successivamente può acquisire, previa procedura selettiva e nei limiti delle disponibilità finanziarie, le posizioni economiche superiori.

Dalla violazione delle disposizioni contrattuali fa discendere la nullità dei contratti individuali, limitatamente all’inquadramento ed al trattamento retributivo concordato, ed evidenzia che la dichiarazione di nullità non doveva essere espressamente domandata, perchè la stessa, che può essere eccepita da chiunque vi abbia interesse, costituiva il necessario presupposto dell’azione di ripetizione dell’indebito.

Richiama giurisprudenza amministrativa per sostenere che il recupero di somme indebitamente erogate dall’amministrazione ai propri dipendenti ha carattere di doverosità e non può essere impedito facendo leva sulla buona fede del percipiente.

Aggiunge che a fronte di un importo erogato in assenza di titolo, non poteva essere messa in discussione l’immediata esigibilità del credito, tanto più che l’ingiunzione era stata emessa nel pieno rispetto della procedura di recupero ed era stata preceduta dalla richiesta di restituzione degli importi non dovuti, rimasta senza esito.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2033,1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, art. 45, comma 3, c.c.n.l. di comparto e del D.D.U.O. n. 16047 del 3/7/2001 (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

Censura la sentenza impugnata per aver respinto il motivo di gravame dell’ARIFL concernente gli assegni ad personam illegittimamente riconosciuti in favore di G.M..

Rileva di aver evidenziato in sede di gravame che il titolo giuridico dei pagamenti in questione era costituto proprio dai contratti di lavoro della cui validità di discuteva in giudizio.

Richiama il contenuto della relazione ispettiva e le irregolarità riscontrate nel corso della verifica, pur non rientranti nella materia delle progressioni, e così in particolare l’indebita corresponsione in favore della G. di assegni ad personam attesa la sostanziale assenza di alcun titolo giuridico per la loro erogazione.

Rileva che, nella specie, come già osservato nei precedenti gradi di merito, non vi era stata alcuna modifica unilaterale del rapporto già intercorso tra l’ARIFL e la G. (quest’ultima aveva già stipulato un contratto di tre anni in data 5/5/2003 e poi un nuovo contratto in data 1/1/2004) bensì una nuova pattuizione che aveva sostituito la precedente, con novazione del rapporto.

3. Con il terzo motivo l’Agenzia ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del R.D. n. 639 del 1910, art. 3 e, richiamata giurisprudenza di questa Corte, assume che il mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto dalla norma indicata in rubrica determina l’irretrattabilità del credito, ossia la incontentabilità dello stesso in relazione all’an ed al quantum della pretesa.

4. Va prioritariamente esaminato il terzo motivo di ricorso che è infondato.

Correttamente il giudice d’appello ha posto a fondamento della decisione l’orientamento di questa Corte secondo cui il termine di cui al R.D. n. 639 del 1910, art. 3 nel testo antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2011, non applicabile alla fattispecie ratione temporis, non ha carattere perentorio, in difetto di espressa previsione normativa in tal senso, e pertanto il suo decorso non preclude l’opposizione di merito che il debitore proponga per contestare l’esistenza o la legittimità della pretesa creditoria, ma impedisce solo di ottenere la sospensione dell’esecutività del titolo (Cass. n. 1571/1996; Cass. n. 13751/2003; Cass. n. 5923/2007; Cass. n. 20375/2008; Cass. n. 30/2020).

Al richiamato orientamento il Collegio intende dare continuità, perchè lo stesso, che valorizza la particolare natura della procedura di riscossione coattiva qui in discussione, si è formato in fattispecie nelle quali veniva specificamente in rilievo la questione della configurabilità o meno della decadenza, al contrario dei precedenti invocati dall’Agenzia, relativi all’applicabilità dell’art. 2953 c.c. all’ingiunzione fiscale non opposta.

5. Meritano, invece, accoglimento, nei termini di cui alla motivazione che segue, il primo e secondo motivo di ricorso.

6. Occorre premettere che lo speciale procedimento disciplinato dal R.D. 14 aprile 191, n. 639 è utilizzabile, da parte della P.A., non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della medesima P.A., con il solo limite che il credito in base al quale viene emesso l’ordine di pagare sia certo, liquido ed esigibile, dovendo la sua sussistenza, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti, e da parametri oggettivi e predeterminati, rispetto ai quali l’Amministrazione dispone di un mero potere di accertamento, restando affidata al giudice del merito la valutazione in concreto, dell’esistenza dei suindicati presupposti (Cass. n. 13139/2006; Cass., Sez. Un., n. 1192/2009; Cass. n. 30/2020).

Questa Corte ha poi affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che nel giudizio di opposizione l’opponente assume la veste di attore soltanto in senso formale, ma non in senso sostanziale, e tale considerazione è stata estesa anche all’ipotesi di riscossione delle entrate non tributarie, in particolare a quelle riconducibili a rapporti di diritto privato, essendo stata ritenuta irrilevante, a tal fine, la circostanza che l’ingiunzione cumuli in sè la natura e la funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dalla Pubblica Amministrazione nell’esercizio del suo potere di autoaccertamento, dal momento che ciò non implica affatto che nel giudizio di opposizione il provvedimento in questione costituisca di per sè prova di quanto in esso affermato o sia assistito da una presunzione di verità (cfr. Cass. n. 24040/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata).

7. Nella fattispecie, per verificare, in concreto, la sussistenza di un indebito – logicamente prioritaria rispetto alla questione della percezione in buona fede, posta dai controricorrenti e non esaminata dalla Corte territoriale perchè ritenuta assorbita nella affermata insussistenza di tale indebito, questione che può rilevare anche ai fini del corretto inquadramento – non poteva prescindersi dalla disciplina dettata dal c.c.n.l. 31.3.1999 avente ad oggetto la revisione del sistema di classificazione professionale per il personale del comparto enti locali (si richiama, al riguardo, la già citata decisione di questa Corte n. 30/2020).

L’art. 3 di tale c.c.n.l. prevede un sistema di classificazione articolato in quattro categorie (A, B, C, D). Tali categorie sono individuate mediante le declaratorie riportate nell’allegato A, che descrivono l’insieme dei requisiti professionali necessari per lo svolgimento delle mansioni pertinenti a ciascuna di esse. Al medesimo art. 3, comma 7 prevede che, nell’allegato A, sono altresì indicati, per le categorie B e D, i criteri per la individuazione e collocazione, nelle posizioni economiche interne delle stesse categorie, del trattamento tabellare iniziale di particolari profili professionali ai fini di cui all’art. 13. Quest’ultimo disciplina specificamente il trattamento economico e prevede che: “1. Il trattamento tabellare iniziale del personale inserito nelle categorie A, B, C e D è indicato nella tabella allegato B. Esso corrisponde alla posizione economica iniziale di ogni categoria, salvo che per i profili delle categorie B e D di cui all’art. 3, comma 7, per i quali il trattamento tabellare iniziale corrisponde, rispettivamente, ai valori economici complessivi indicati nelle posizioni B3 e D3”.

Il successivo comma 2 dispone, poi, che: “2. La progressione economica all’interno della categoria secondo la disciplina dell’art. 5 si sviluppa, partendo dal trattamento tabellare iniziale individuato nel comma 1, con l’acquisizione in sequenza degli incrementi corrispondenti alle posizioni successive risultanti dalla tabella B”.

Il citato art. 5 disciplina in modo puntuale la progressione economica all’interno di ciascuna categoria e prevede che: “1. All’interno di ciascuna categoria è prevista una progressione economica che si realizza mediante la previsione, dopo il trattamento tabellare iniziale, di successivi incrementi economici secondo la disciplina dell’art. 13. 2. La progressione economica di cui al comma 1 si realizza nel limite delle risorse disponibili nel fondo previsto dall’art. 14, comma 3 e nel rispetto dei seguenti criteri: a) per i passaggi nell’ambito della categoria A, sono utilizzati gli elementi di valutazione di cui alle lettere b) e c) adeguatamente semplificati in relazione al diverso livello di professionalità dei profili interessati; b) per i passaggi alla prima posizione economica successiva ai trattamenti tabellari iniziali delle categorie B e C, gli elementi di cui alla lettera c) sono integrati valutando anche l’esperienza acquisita; c) per i passaggi alla seconda posizione economica, successiva ai trattamenti tabellari iniziali delle categorie B e C, previa selezione in base ai risultati ottenuti, alle prestazioni rese con più elevato arricchimento professionale, anche conseguenti ad interventi formativi e di aggiornamento collegati alle attività lavorative ed ai processi di riorganizzazione, all’impegno e alla qualità della prestazione individuale; d) per i passaggi all’ultima posizione economica delle categorie B e C nonchè per la progressione all’interno della categoria D, secondo la disciplina dell’art. 12, comma 3, previa selezione basata sugli elementi di cui al precedente punto c), utilizzati anche disgiuntamente, che tengano conto del: – diverso impegno e qualità delle prestazioni svolte, con particolare riferimento ai rapporti con l’utenza; – grado di coinvolgimento nei processi lavorativi dell’ente, capacità di adattamento ai cambiamenti organizzativi, partecipazione effettiva alle esigenze di flessibilità; – iniziativa personale e capacità di proporre soluzioni innovative o migliorative dell’organizzazione del lavoro”.

L’art. 15 dell’indicato c.c.n.l. stabilisce, poi, che: “Al personale assunto dopo la stipulazione del presente c.c.n.l. viene attribuito il trattamento tabellare iniziale di cui alla tabella allegato B previsto per la categoria cui il profilo di assunzione appartiene secondo la disciplina dell’art. 13, comma 1”, che, a sua volta, come sopra evidenziato, consente l’attribuzione di una posizione economica diversa da quella iniziale per i soli profili B3 e D3.

8. Le richiamate disposizioni contrattuali, di carattere imperativo, vincolano il datore di lavoro pubblico il quale non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato.

E’ conseguentemente nullo l’atto in deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perchè viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-septies dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva (v. in tal senso Cass., Sez. Un., n. 21744/2009).

Sviluppando il richiamato principio questa Corte ha, poi, affermato che nell’impiego pubblico contrattualizzato, il datore di lavoro, pur non potendo esercitare poteri autoritativi, è tenuto ad assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non può dare esecuzione ad atti nulli nè assumere in sede conciliativa obbligazioni che contrastino con la disciplina del rapporto dettata dal legislatore e dalla contrattazione collettiva. Il divieto imposto al datore di lavoro pubblico di attribuire trattamenti giuridici ed economici diversi da quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, anche se di miglior favore, impedisce sia il riconoscimento di inquadramenti diversi da quelli previsti dal c.c.n.l. di comparto, sia l’attribuzione della qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni (v. Cass. n. 24216/2017).

E’ stato ulteriormente precisato che qualora l’ente attribuisca un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la Pubblica Amministrazione, anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 3826/2016, Cass. 16088/2016 e Cass. n. 25018/2017).

9. La Corte territoriale si è discostata dai principi di diritto richiamati nei punti che precedono, ribaditi dal Collegio, perchè per escludere il carattere indebito dei pagamenti effettuati dall’amministrazione si è limitata a valorizzare le pattuizioni individuali la cui legittimità andava, invece, verificata alla luce della disciplina dettata dal contratto collettivo (sia quanto all’inquadramento inziale sia quanto alla successiva progressione economica), che non poteva essere derogata in relazione all’inquadramento ed al trattamento economico da riconoscere all’assunto a tempo determinato.

Andava così verificato, per ciascuno dei controricorrenti, se gli inquadramenti e le posizioni economiche attribuiti al momento dell’assunzione a termine (e di conseguenza le posizioni economiche successivamente attribuite) corrispondessero a quelli iniziali secondo il sistema di classificazione sopra descritto (e tenendo conto delle eccezioni specificamente previste per i profili delle categorie B e D di cui all’art. 3, comma 7, per i quali il trattamento tabellare iniziale corrisponde, rispettivamente, ai valori economici complessivi indicati nelle posizioni B3 e D3).

10. Nè per escludere il diritto dell’Agenzia a ripetere le retribuzioni corrisposte in eccesso i controricorrenti potevano fare leva sulla qualità delle prestazioni rese, posto che le progressioni economiche all’interno delle categorie giuridiche si acquisiscono non in modo automatico ma previa valutazione dell’Amministrazione da effettuarsi sulla base dei criteri di selezione del personale appositamente individuati e nel rispetto delle risorse disponibili nel fondo ex art. 14, comma 3, del c.c.n.l. ed in ogni caso le stesse non comportano l’esercizio di mansioni superiori con la conseguenza che, nelle ipotesi di illegittimo conferimento, non può essere invocato l’art. 2126 c.c..

11. Quanto al recupero delle somme riconosciute in favore di G.M. a titolo di assegno ad personam erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che il titolo giuridico del pagamento in questione fosse costituito dai contratti di lavoro dalla stessa stipulati a far data dal 24.12.2003 in poi.

Ed infatti, per le stesse ragioni sopra evidenziate, in sede di tali contratti non poteva essere riconosciuto un trattamento retributivo diverso e superiore rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile, e cioè del c.c.n.l. delle Regioni ed Autonomie locali, essendo pacificamente l’Agenzia Regionale per il Lavoro – v. L.R. Lombardia n. 1 del 1999, art. 9 attuativa del D.Lgs. n. 469 del 1997 – e l’ARIFL – v. L.R. Lombardia n. 22 del 2006, art. 11 – Agenzie regionali e riguardando l’ipotesi prevista dalla citata L.R. n. 1 del 1999, art. 9, comma 11, (“L’Agenzia regionale per il lavoro può avvalersi della collaborazione di esperti esterni per la trattazione di problematiche di particolare complessità che richiedono conoscenze specialistiche. A tale scopo l’Agenzia può assumere dipendenti con contratti di diritto privato a tempo determinato di durata non superiore a tre anni e stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa”) una situazione del tutto peculiare.

Invero la controricorrente G. invoca, a sostegno della legittimità del suddetto assegno ad personam, proprio la sua pregressa vicenda lavorativa ed il più favorevole trattamento previsto in sede di altro e precedente contratto a termine stipulato in data 1/5/2003 con applicazione del c.c.n.l. terziario e inquadramento nella categoria di quadro ed assume che tra tale contratto e quello sottoscritto, poi, in data 1/1/2004 (con l’applicazione del corretto c.c.n.l. delle Regioni ed Autonomie locali) non vi fosse stata soluzione di continuità.

La Corte territoriale ha del tutto pretermesso l’esame di tale questione, assorbita nella principale ragione di infondatezza della pretesa di recupero dell’ARIFL.

Ed invece la stessa doveva essere analizzata tenendo conto delle suddette deduzioni difensive oltre che, evidentemente, dei principi da questa Corte affermati in materia di assegno ad personam.

Va, al riguardo, ricordato che, in termini generali, tale tipo di assegno è attribuibile solo in caso di passaggio diretto di dipendenti da un’amministrazione ad un’altra D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 30 al fine di rispettare il divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito, tra dipendenti dello stesso ente, a seconda della provenienza (assegno destinato ad essere riassorbito negli incrementi del trattamento economico complessivo spettante ai dipendenti dell’Amministrazione di destinazione, essendo la regola della non riassorbibilità dell’assegno, contenuta nella L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, riferibile alla diversa ipotesi, ormai residuale, dei passaggi di carriera disciplinati dal D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 202).

All’ipotesi del passaggio alle dipendenze di un diverso datore di lavoro, è stata ritenuta assimilabile, sul piano dei principi e delle regole applicabili, l’ipotesi in cui, anche in assenza di un mutamento del soggetto datore di lavoro, per sopravvenute vicende, determinati dipendenti abbiano visto modificata la propria posizione all’interno dell’ente con contestuale novazione del contenuto dei contratti individuali, ad esempio non più disciplinati dalla contrattazione del settore privato (si veda per un caso di tal genere Cass. 26557/2008 relativa alla vicenda dei dipendenti dell’ICE il cui rapporto era transitato dalla disciplina privatistica a quella propria dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni).

Orbene, nel caso in esame, occorrerà verificare, sulla base della situazione della G. come da quest’ultima dedotta in causa, se, in particolare, tra i contratti stipulati dalla stessa in data 5/5/2003 e in data 24/12/2003 non vi sia stata, come si assume, soluzione di continuità, se nel contratto stipulato nel 2003 da parte dell’Agenzia Regionale del Lavoro sia stato legittimamente applicato il c.c.n.l. del terziario (ciò eventualmente ai sensi della sopra citata previsione di cui alla L.R. n. 1 del 1999, art. 9, comma 11), considerato, peraltro, che al contratto successivamente sottoscritto a distanza di pochi mesi è stato, invece applicato il c.c.n.l. Comparto Regioni e Autonomie Locali, se vi sia stato un passaggio concordato con le oo.ss. dal contratto del Commercio a quello delle Regioni e degli Enti Locali e se le modalità di tale passaggio abbiano riguardato anche i contratti a termine in essere.

12. Alla luce delle considerazioni che precedono vanno accolti per quanto di ragione il primo e il secondo motivo di ricorso e va respinto il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Milano che, in diversa composizione, procederà, per ciascuno dei controricorrenti e sulla base degli atti di causa, ad un nuovo esame delle rispettive posizioni, attenendosi ai principi sopra affermati e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

13. Non sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte accoglie nei termini di cui in motivazione il primo e il secondo motivo di ricorso e respinge il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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