Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12028 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. II, 17/05/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 17/05/2010), n.12028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MENSITIERI Alfredo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TRIVENETA VEICOLI IND SPA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore Sig. D.V.E., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PASUBIO 4, presso lo studio dell’avvocato DE

SANCTIS MANGELLI SIMONETTA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato SPIGA GAVINO;

– ricorrente –

contro

C.R. (OMISSIS), titolare della omonima ditta di

autotrasporti, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MERCADANTE 9,

presso lo studio dell’avvocato SANTINI FABIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato AZZALINI GIORGIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1605/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2010 dal Consigliere Dott. D’ASCOLA Pasquale;

udito l’Avvocato Carlo D’ERRICO con delega depositata in udienza

dell’Avvocato DE SANTIS, difensore del ricorrente che ha chiesto

accoglimento del ricorso e della memoria;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’agosto 1993 la concessionaria Triveneta Veicoli Industriali spa vendeva a C.R. un autocarro marca Volvo, che nell’ottobre 1993, durante un trasporto di merci in (OMISSIS), subiva la rottura del cambio e restava fermo dal 15 ottobre al 28 ottobre. Il C. agiva per il risarcimento del danno ma la domanda veniva respinta nel 199 9 dal tribunale di Venezia. La Corte d’appello lagunare ha ribaltato detta sentenza e il 30 settembre 2004 ha affermato la sussistenza di un vizio della cosa venduta e l’operativita’ della garanzia ex art 1490 c.c. Ha ritenuto detta garanzia concorrente con quella prestata dal venditore per il buon funzionamento della cosa venduta, sia pur limitatamente alla sola sostituzione dei pezzi inservibili per difetto del materiale. Ha quantificato il risarcimento, previa rivalutazione, nella somma rivalutata di Euro 3.875,49.

Triveneta Veicoli ha proposto ricorso per Cassazione il 18 gennaio 2005, svolgendo quattro motivi illustrati da successiva memoria. Il C. ha resistito con controricorso; ha giustificato il deposito tardivo di alcuni atti di causa, effettuato il 22 aprile 2005 e comunicato ex art 372 c.p.c. con il tardivo rilascio da parte della Cancelleria della Corte d’appello.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dato atto che e’ privo di rilevanza il tardivo deposito da parte del controricorrente di atti (memoria di replica e nota spese) riguardanti il giudizio di appello. Vale in proposito quanto affermato, a proposito del ricorso per Cassazione, e a maggior ragione utilizzabile quanto al controricorso, da Cass. 15063/03 e da Cass. 19132/2005: “La violazione dell’obbligo di deposito degli atti e dei documenti sui quali il ricorso stesso si fondi e’ legittimamente predicabile nel solo caso in cui la mancata produzione riguarda atti o documenti (gia’1 acquisiti al giudizio di merito) il cui esame sia necessario per la decisione della causa”. Il primo motivo lamenta difetto di motivazione sulla clausola 7 del contratto di compravendita. La ricorrente sostiene che la sentenza aveva rilevato d’ufficio che alla fattispecie era applicabile la garanzia per vizi ex art 1490 c.c. e non solo la garanzia per il buon funzionamento del veicolo di cui alla clausola 7. Ne desume l’esistenza di un difetto di motivazione sul perche’ le parti prevedendo la clausola 7 f avrebbero inteso rafforzare e non limitare la garanzia.

Il secondo motivo denuncia violazione di norme (individuate nella trattazione con l’art. 1362 c.c. e segg.) “in merito all’interpretazione della clausola 7” citata. Espone che la clausola, rubricata al plurale con la parola “garanzie”, prevedeva che la garanzia era limitata alla sostituzione dei pezzi inservibili ed escludeva risarcimento del danno per ritardi. Invocando la valutazione del comportamento delle parti aggiunge che la Triveneta aveva fornito assicurazioni circa la disponibilita’ della casa produttrice ad effettuare l’intervento di riparazione per cui e’ causa e che cio’, documentato dalle testimonianze acquisite, valeva a dimostrare che il cliente era consapevole della unica garanzia pattuita.

Le due censure, da esaminare congiuntamente, non meritano accoglimento.

Occorre in primo luogo rilevare che la sentenza non e’ priva di motivazione in ordine alla valorizzazione della clausola controversa, giustificata dalla Corte d’appello con il rilievo, congruo e sufficiente, che la garanzia pattizia di buon funzionamento non e’ incompatibile e non vale ad escludere l’ordinaria garanzia per vizi, che si aggiunge a quella espressamente menzionata. La confutazione, condotta anche ex art. 1362 c.c., non puo’ essere ripercorsa e accolta perche’ i motivi sono affetti da grave difetto di autosufficienza. Si deve qui ricordare che, nel richiedere una nuova valutazione di merito, il ricorrente che deduce l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di atti processuali o documentali ha l’onere di indicare – mediante l’integrale trascrizione di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessita’ di indagini integrative(Cass 11886/06; 8960/06; 7610/06). Parte ricorrente ha invece riportato, peraltro solo parzialmente, la clausola 7; ha omesso di riportare le altre clausole, tranne la clausola 15, dalla esistenza della quale si evince proprio come la conoscenza completa del testo contrattuale sia indispensabile per comprendere se vi fosse una implicita limitazione alla responsabilita’ prevista espressamente. Ha inoltre del tutto omesso di riportare le testimonianze escusse dalle quali si sarebbe dovuto trarre conferma della ricostruzione da essa alternativamente proposta. Risulta dunque evidente l’impossibilita’ di valutare la decisivita’ delle risultanze, testo contrattuale e testimonianze, valorizzate in ricorso.

Con il terzo motivo e’ dedotta violazione degli “artt. 1494 e 1512 c.c.”.

La ricorrente sostiene che la garanzia di buon funzionamento puo’ ben essere l’unica voluta dalle parti e che l’esclusione della garanzia ex art. 1490 c.c. puo’ anche risultare implicitamente senza che sia necessaria una “specifica clausola di esclusione”, come avrebbe detto la sentenza. La censura e’ malposta: nella sentenza impugnata non si rinviene la affermazione censurata, ma solo la tesi dell’affiancamento dell’una garanzia all’altra. Inoltre per potere stabilire che la esclusione della garanzia ex art. 1490 c.c. era stata stabilita implicitamente dalle parti, come afferma il motivo di ricorso, occorreva denunciare un vizio di motivazione e, riportando le clausole, far emergere la suddetta implicita intenzione delle parti.

Il quarto motivo espone difetto di motivazione e violazione dell’art. 1223 c.c. in relazione all’individuazione e quantificazione del danno risarcibile.

La ricorrente si duole del fatto che l’esistenza dei danni sia stata riconosciuta benche’ il danno da fermo tecnico non fosse conseguenza in re ipsa dell’incidente, ma necessitasse di prova circa l’inutilizzabilita’ del mezzo, la durata del fermo e l’impossibilita’ di utilizzo del dipendente. Lamenta inoltre che sia stato calcolato il fermo anche per il giorno di denuncia del sinistro e l’intervento fosse possibile solo due giorni dopo, essendo avvenuto in territorio russo. Da ultimo e’ evidenziata una contraddizione tra motivazione e dispositivo in ordine alla applicazione della rivalutazione.

Le doglianze sono infondate. Risulta dall’insieme dei fatti esaminati negli atti delle parti e dalla sentenza che l’autoveicolo era un grosso autocarro destinato a trasporti commerciali; vi era quindi prova della destinazione lucrativa, che nel settore e’ continua ed intensa, come implicito nell’acquisto di un mezzo da usare in trasporti cosi’ impegnativi. E’ incontroverso infatti che esso si trovasse in Russia al momento dell’avaria. La perdita da mancato utilizzo del veicolo, calcolata per 13 giorni, come afferma la sentenza, e dunque escludendo il giorno del sinistro (15 ottobre), era quindi da considerare documentata. La entita’ giornaliera del risarcimento e’ stata congruamente motivata sulla base della busta paga quanto al costo del dipendente, mentre appare implicita nella evidenziazione del luogo dell’avaria la valutazione della impossibilita’ di diverso impiego del dipendente, attesa la brevita’ del periodo e il costo di un eventuale rientro temporaneo. Anche il costo giornaliero del fermo del veicolo appare, per il prudente apprezzamento che lo connota e per il rinvio al notorio, rientrante nell’ambito dei poteri equitativi espressamente utilizzati. La censura, priva di riferimento a qualsiasi elemento indicativo di evidente erroneita’ o contraddizione delle valutazioni rese dal giudice di merito, si limita a invocare la mancanza di specifica prova di tali circostanze, che sono state pero’ sufficientemente apprezzate dalla Corte territoriale, sia pur con la concisione che la modestia del caso esigeva.

Da ultimo occorre mettere bene in evidenza che la contraddittorieta’ tra dispositivo e motivazione in ordine alla rivalutazione della somma che la ricorrente deve versare a controparte puo’ essere considerata apparente, seppur e’ indubbia tanto la esistenza di una svista nel dispositivo circa l’importo quantificato, quanto la tortuosita’ delle formule usate su rivalutazione devalutazione. In motivazione la sentenza e’ stata molto chiara a pag. 8 nel sancire che il risarcimento e’ quantificato con la rivalutazione dal 1993 in L. 7.504.000 tradotte in Euro 3.875, 49. – A pag 9 e’ stato motivato che la rivalutazione era stata concessa, trattandosi di debito di valore, dalla data del fatto ((OMISSIS)) a quella “odierna”. Sono stati poi riconosciuti gli interessi legali su detta somma, da devalutare secondo gli indici istat al 1993 e poi rivalutare annualmente.

In dispositivo per svista ininfluente e’ stata indicata la somma di 2.875,49 – da intendersi come 3875,49; e’ stata poi ripresa la formula “con rivalutazione monetaria secondo gli indici istat dal (OMISSIS)” e ribadita l’attribuzione degli interessi legali su detta somma come devalutata e poi rivalutata anno per anno. La frase e’ da intendere non come attribuzione di rivalutazione sulla somma, gia’ rivalutata, di 3.875,49 Euro, ma come sottolineatura che questa somma era comprensiva della rivalutazione, e come attribuzione degli interessi sulla somma pero’ devalutata (di qui la esigenza di evidenziare la rivalutazione della somma precedentemente indicata) e poi gradualmente da rivalutare, secondo i criteri da tempo enunciati dalla giurisprudenza di legittimita’.

Letta con queste puntualizzazioni e integrazioni (v. Cass. 1323/04;

7706/03 e i precedenti specifici in termini), che superano le improprieta’ terminologiche ed espressive, la sentenza puo’ essere confermata anche sul punto.

Segue da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna di parte soccombente alla refusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento in favore di controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 700,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

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