Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12024 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. I, 17/05/2010, (ud. 27/04/2010, dep. 17/05/2010), n.12024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Monia s.n.c. di Paolo Terenzi e c., rappresentata e difesa dall’avv.

Passalacqua M., come da mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che per legge lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

Avverso il decreto n. 1092/2008 cron. della Corte d’appello di

Torino, depositato il 6 maggio 2008;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. NAPPI Aniello;

Udite le conclusioni del P.M., Dott. SORRENTINO Federico, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Torino ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 13.000,00 in favore di T.P. e di altrettanto in favore di R.P.P., che avevano proposto domanda di equa riparazione per la durata irragionevole di una procedura fallimentare aperta il 6 maggio 1994 presso il Tribunale della Spezia e ancora pendente il 24 agosto 2007.

I giudici del merito hanno respinto invece l’analoga domanda proposta dalla societa’ Monia s.n.c., per effetto del cui fallimento erano stati dichiarati falliti anche i soci illimitatamente responsabili T. e R..

Ricorre per Cassazione la Monia s.n.c.; resiste con controricorso il Ministero della giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo d’impugnazione la ricorrente deduce violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 1223, 2043, 2056 e 2059 c.c., sostenendo che i soci di una societa’ di persona subiscono distinti danni morali per le vicende fallimentari proprie e per quelle della societa’. Il ricorso e’ fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “i fallimenti della societa’ e dei soci illimitatamente responsabili, nonostante l’unicita’ della sentenza dichiarativa e degli organi della curatela e del giudice delegato, costituiscono procedure autonome, poiche’ si riferiscono a centri diversi di imputazione giuridica degli effetti di tale sentenza, stabilendo la L. Fall., artt. 147 e 148, la distinzione tra i patrimoni della societa’ e dei soci, nonche’ delle situazioni attive e passive riferibili alla prima ed ai secondi” (Cass., sez. 1^, 13 dicembre 2007, n. 26177, m. 601220, Cass., sez. 1^, 1 marzo 2005, n. 4284, m. 579929).

Ne consegue che per ciascuna delle autonome procedure puo’ porsi un problema di durata ragionevole; e la legittimazione a dolersi di una ingiustificata protrazione spetta a ciascun debitore per la procedura concorsuale che gli si riferisce.

4 La societa’ e’ pertanto legittimata a far valere lo specifico danno conseguente alla durata non ragionevole del suo fallimento, come ciascuno dei soci per il proprio fallimento, perche’, secondo la giurisprudenza di questa corte, anche le societa’ di persone subiscono un danno non patrimoniale per la durata irragionevole dei procedimenti che le coinvolgono (Cass., sez. 1^, 18 febbraio 2005, n. 3396, m. 579438, Cass., sez. 1^, 8 giugno 2005, n. 12015, m. 582532, Cass., sez. 1^, 28 ottobre 2005, n. 21094, m. 583744).

Cio’ posto, secondo la giurisprudenza di questa Corte “il giudice investito della domanda di equa riparazione del danno derivante dalla irragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve preliminarmente accertare se sia stato violato il termine di ragionevole durata, identificando puntualmente quale sia la misura della durata ragionevole del processo in questione, essendo questo un elemento imprescindibile, logicamente e giuridicamente preliminare, per il corretto accertamento dell’esistenza del danno e per l’eventuale liquidazione dell’indennizzo” (Cass., sez. 1^, 9 settembre 2005, n. 17999, m. 584619).

Nel caso in esame i giudici del merito hanno determinato in quattro anni la durata ragionevole della procedura e, quindi, in dieci anni l’eccedenza irragionevole della sua durata. E questa valutazione non e’ censurabile ne’ risulta in realta’ censurata. Quanto alla liquidazione del danno va considerato che la giurisprudenza ha “individuato nell’importo compreso tra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 la base di calcolo dell’indennizzo per ciascun anno in relazione al danno non patrimoniale, da quantificare poi in concreto avendo riguardo alla natura e alle caratteristiche di ciascuna controversia” (Cass., sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630, m. 585927). Sicche’, avuto riguardo appunto per la natura e per le caratteristiche della controversia, la Corte ritiene che l’indennizzo possa essere determinato in ragione di Euro 750,00 per anno, ma solo per i primi tre anni di ritardo, mentre il limite minimo di mille/00 Euro per anno vada di regola rispettato per i ritardi ulteriori.

L’indennita’ spettante alla Monia s.n.c. si determina dunque in Euro 9.250,00. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE in accoglimento del ricorso, cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero della giustizia al pagamento della somma di Euro 9.250, in favore della Monia s.n.c., con gli interessi legali a decorrere dalla domanda. Condanna il ministero resistente al rimborso in favore della ricorrente delle spese di causa, liquidandole in Euro 1.211,00 (Euro 850,00 per onorari, Euro 350,00 per diritti, Euro 11,00 per esborsi) quanto alla fase di merito, e in Euro 1.500,00, di cui Euro 1.400,00 per onorari, quanto alla fase di legittimita’, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

 

 

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