Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1202 del 22/01/2010

Cassazione civile sez. II, 22/01/2010, (ud. 18/11/2009, dep. 22/01/2010), n.1202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27926/2004 proposto da:

LUMAR DI R. BERTOTTO & C SNC (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore Sig. B.R., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio

dell’avvocato LA PORTA Carlo Ferruccio, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

VIBIEMME SRL (OMISSIS), in persona dell’Amministratore Unico

O.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. GALIANI

68, presso lo studio dell’avvocato SELICATO Pietro, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CANONICO CARMINE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1602/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 04/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

18/11/2009 dal Consigliere Dott. UMBERTO ATRIPALDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.n.c. Lumar ha impugnato nei confronti della s.r.l. Vibiemme, con ricorso notificato il 7.12.04, la sentenza della Corte di Appello di Milano, notificata il 12.10.04, confermativa di quella di 1^ grado, nella parte in cui aveva respinto la sua opposizione al decreto col quale le era stata ingiunta la riconsegna di 116 macchine da caffè ricevute per l’assemblaggio dell’intimata o alternativamente il pagamento del loro controvalore di L. 336.297.600; e che, in parziale accoglimento della sua riconvenzionale, volta ad ottenere il pagamento di L. 357.057.050 per effettuate prestazioni di assemblaggio non rimunerate, ha condannato l’intimata a pagarle la somma di L. 12.180.000.

Lamentati) la violazione dell’art. 633 c.p.c., e segg., art. 2214 c.c., e segg., omessa insufficiente motivazione, dato che erroneamente la Corte di Appello aveva ritenuto legittima l’ingiunzione senza considerare; A) che la richiesta consegna delle macchine assemblate “non è richiesta di cose fungibili” e che quindi non poteva trovare applicazione l’art. 639 c.p.c., che in via subordinata legittima l’ingiunzione “di pagamento di una determinata somma”; 3) che ai sensi dell’art. 633 c.p.c., la richiesta consegna delle macchine assemblate non poteva esimere l’intimata dall’offerta di pagamento della controprestazione connessa al montaggio, in relazione alla quale, se pure in modo assai parziale, la Corte di Appello aveva accolto la sua riconvenzionale; c) che l’estratto del libro ” merci in deposito e conto lavorazione”, legittimava la richiesta di restituzione dei beni stessi e dell’eventuale pagamento del loro valore, ma non delle macchine montate e del loro controvalore; di cui non costituiva idonea prova ai fini del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 634 c.p.c.; d) che la Corte di Appello non aveva tenuto in considerazione alcuna “la carenza delle condizioni che legittimano l’emanazione del procedimento monitorio e dei vizi della relativa procedura”, neppure in punto spese; 2) la violazione degli artt. 184 e 189 c.p.c., dato che erroneamente la Corte di Appello non aveva ammesso le prove da essa dedotte con l’atto di appello e con la memoria autorizzata ex art. 184 c.p.c., del 29.9.00 e con la memoria di replica, prova contraria, sebbene non esistesse “alcuna norma processuale che imponga alla parte che abbia visto rigettare le proprie istanze istruttorie (ovvero omettere ogni pronuncia in merito) di chiedere al Giudice la revoca del proprio provvedimento prima ancora dell’inizio dell’escussione dei testimoni”; nè poteva affermarsi che le prove da essa dedotte fossero generiche, perchè mancanti dall’indicazione degli elementi temporali e dei soggetti presenti, e perchè in parte contrastanti con i documenti prodotti, posto che era esposto con chiarezza il quesito da porre al teste e risultava chiaro che gli accordi sul corrispettivo del lavoro di assemblaggio furono conclusi “all’inizio delle loro collaborazione” e modificati “in occasione delle modifiche dei prezzi indicati dai tariffari normalmente in uso”; nè la Corte di Appello aveva indicato i documenti ai quali dette prove sarebbero contrarie; nè si comprendevano le ragioni per le quali era inammissibile la sua prova contraria; nè infine, la Corte di Appello aveva speso una parola in ordine alla sua richiesta di C.T.U. “volta a chiarire i veri rapporti fra le parti ed i relativi rapporti di debito e credito, e di acquisire i dati per la quantificazione”; 3) l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, dato che il Tribunale aveva erroneamente affermato che essa non aveva contestato “i Kit elencati nelle bolle di consegna ed avrebbe ammesso di non aver restituito le macchine nè il controvalore delle stesse”, e la Corte di Appello non aveva considerato che, in sede d’interrogatorio, il suo legale rappresentante aveva spiegto che gli accordi prevedevano che il lavoro di assemblaggio fosse parzialmente fatturato a carico della Vibiemme ed in parte corrisposto a mezzo di un certo numero di macchine da mesi assemblate”, e che l’intimata invece aveva prodotto delle semplici bolle di consegna e delle fatture proforma; nè aveva tenuto conto che per le macchine ricevute in pagamento le venivano consegnati i libretti ISPEL, “indispensabili per poter procedere alla vendita”;

4) l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, dato che la Corte di Appello aveva accolto la sua domanda riconvenzionale limitandosi ad affermare che il compenso per ciascun prezzo era stato fissato in L. 105.000, sebbene essa avesse sostenuto che tale corrispettivo era di gran lunga maggiore; e solo attraverso l’audizione dei testi da essa indicati “e/o di C.T.U.” era possibile acclararne la reale entità.

L’intimato resiste.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Affetto da inammissibilità si manifesta il 1 motivo, atteso che alla stregua dell’art. 645 c.p.c., e segg., come costantemente affermato da questa Corte, con l’opposizione a D.I. s’instaura un ordinario giudizio di cognizione per accertare il fondamento della pretesa fatta valere nel ricorso, che eventualmente può anche essere ridotta dall’attore ricorrente; ed ove risulti fondata si deve accogliere la domanda indipendentemente dalla regolarità, sufficienza, validità degli elementi in base ai quali l’ingiunzione fu emessa; dato che l’eventuale difetto nei presupposti che ne legittimano l’emanazione può spiegare rilevanza solo ai fini delle spese. In relazione alle quali, in violazione del principio dell’autosufficienza, la ricorrente non fornisce la benchè minima indicazione, precludendo così qualsiasi inerente valutazione, limitandosi a costatare che “neppure in punto spese” i giudici di merito avevano dato rilevanza alla eccepita, ma non riscontrata, carenza dei richiesti presupposti.

Specifica questione, inoltre, che non risulta dedotta in appello e perciò inammissibile anche perchè nuova.

Parimenti inammissibile si profila il 2^ motivo concernente la mancata ammissione delle prove richieste. Per quanto concerne quelle dedotte nella memoria del 29.9.2000 ed in quella di replica del 27.10.2000, espressamente indicate nelle conclusioni in appello, non è in alcun modo attaccata la “ratio decidendi” secondo cui la ricorrente in 1^ grado aveva concluso facendo invece esclusivo riferimento all’atto di citazione in opposizione, donde non risultava reiterata la richiesta di ammissione di dette prove, non più espletabili per il principio dell’invariabilità delle conclusioni.

Mentre, in relazione ai sei capitoli (che peraltro confermerebbero l’acclarato corrispettivo di L. 105.000 a prezzo a partire dal 1994) articolati nell’atto di citazione in opposizione, è in realtà riproposta una non consentita rinnovazione delle valutazioni in fatto dei giudici di merito, che con adeguata motivazione, immune da vizi logici, ne hanno evidenziato la genericità, non essendo l’asserito accordo tariffario minimamente circostanziato, privo di qualsiasi specifico riferimento temporale, spaziale e soggettivo.

Parimenti inammissibili sono il 3^ e 4^ motivo, che ripropongono anch’essi non consentite rivisitazioni di accertamenti in fatto logicamente motivati in modo esaustivo dalla Corte di Appello; che, in base agli acquisiti elementi probatori, ha ritenuto fondata la pretesa dell’intimata e determinato in L. 105.000 a prezzo il compenso spettante alla ricorrente.

Al rigetto segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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