Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12018 del 10/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 10/06/2016, (ud. 05/04/2016, dep. 10/06/2016), n.12018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28313/2014 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende,

ope legis;

– ricorrente –

contro

C.C., C.A., C.M., tutti in

qualità di eredi legittimi di P.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIACOMO GIRI 3, presso lo studio

dell’avvocato PIERO GENTILI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALESSANDRO GIUSTI, giusta procura in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 658/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 18/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;

udito l’Avvocato PIERO GENTILI, difensore del controricorrente, che

si riporta ai motivi.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Firenze, in accoglimento del gravame proposto da C.A., C. e M., eredi di P. M., in riforma della sentenza del Tribunale di Livorno ha riconosciuto il loro diritto a percepire i ratei dell’indennizzo della L. n. 210 del 1992, ex art. 2, commi 1 e 2, spettante alla loro dante causa dalla data della domanda amministrativa e fino al decesso della stessa quantificati in Euro 37.540,73. Inoltre ha condannato l’amministrazione a corrispondere loro l’assegno “una tantum” della citata L. n. 210 del 1992, ex art. 2, comma 3, per un importo di Euro 77.468.53 ed a pagare su entrambi gli importi gli interessi legali dalla domanda amministrativa al saldo. Infine l’ha condannato al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Per la cassazione della sentenza ricorre il Ministero della salute che articola tre motivi con i quali denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; la violazione della L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

In particolare l’Amministrazione si duole del fatto che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che nella memoria difensiva in appello era stato sottolineato che già nel dicembre 1998, all’atto della dimissione dall’Unità Operativa malattie infettive di Livorno, era stata diagnosticata l’epatite cronica “compatibile con etiologia C” (documentazione depositata in appello con memoria integrativa della costituzione del 9.9.2014). Inoltre dalla documentazione allegata all’appello ed in particolare dalla relazione clinica del (OMISSIS) (già in atti del processo in primo grado) emergeva che già nel (OMISSIS) e comunque nel (OMISSIS), all’atto della diagnosi di epatopatia cronica ad evoluzione sclerogena HCV correlata, furono escluse altre cause di epatopatia e si concluse per la verosimile genesi trasfusionale, restando irrilevante la circostanza che nel certificato del (OMISSIS) non si facesse cenno alla trasfusione del (OMISSIS) essendo questa circostanza nota alle parti. Le ulteriori ricerche effettuate dalla dante causa dei ricorrenti nel (OMISSIS) confermerebbero la consapevolezza della trasfusione effettuata. Inoltre sostiene il Ministero ricorrente che erroneamente la sentenza ritiene che ai fini della decorrenza del termine di decadenza, della L. n. 210 del 1992, ex art. 3, comma 1 e s.m., sia necessaria una positiva attestazione della etiologia del danno laddove invece il criterio legale da adottare è quello della conoscibilità con l’ordinaria diligenza conseguibile.

Nella specie, secondo la ricorrente, quanto meno dal dicembre 1998 era in condizione di collegare, con l’ordinaria diligenza, la trasfusione del (OMISSIS) all’epatite contratta stante la notorietà, sin dal (OMISSIS), della possibilità di contrarre il virus HCV in conseguenza di trasfusioni, l’assenza di altri fattori di rischio e la diagnosi del (OMISSIS) di epatite cronica compatibile con etiologia C. Sottolinea inoltre che per conoscere la trasfusione era sufficiente accedere alla cartella clinica e che l’inerzia nel richiederla doveva ritenersi imputabile all’interessata che già dal (OMISSIS) e comunque dal (OMISSIS) era stata allettata nel senso della derivazione causale da un tale evento. Rammenta infine che secondo gli orientamenti più recenti della Cassazione per la decorrenza del termine di decadenza sarebbe sufficiente “la diagnosi di epatite virale virus epatotropo C che, come puntualizzato dal Tribunale, per il suo specifico contenuto, lasciava chiaramente intendere quali fossero la natura, la causa e le conseguenze invalidanti dell’affezione riscontrata” e nella specie la dante causa dei ricorrenti disponeva di elementi molto più consistenti del accertamento sierologico della positività al virus.

Si sono costituiti C.A., C. e M., eredi di P.M., per resistere al ricorso.

In particolare i controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità e comunque la manifesta infondatezza delle censure formulate.

Tanto premesso si osserva che non sussiste la denunciata violazione dell’art. 116 c.p.c., atteso che la Corte territoriale ha espressamente preso in esame la certificazione del (OMISSIS) ed ha constatato che la possibilità di una derivazione causale dell’epatite cronica accertata da una trasfusione era prospettata in via meramente ipotetica senza alcun riferimento concreto all’esistenza di una trasfusione.

Quanto alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oggetto del secondo motivo, la censura è inammissibile, siccome non riconducibile al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente a seguito della sua riformulazione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ratione temporis nel presente giudizio.

Secondo l’interpretazione resane dalle Sezioni Unite di questa Corte è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, cosicchè tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr, Cass., SU, nn. 8053/2014; 8054/2014; 9032/2014). Inoltre anche l’omesso esame di elementi istruttori (nella specie, secondo l’assunto della ricorrente, il contenuto del certificazione dell’Unità Operativa malattie infettive di (OMISSIS) del dicembre (OMISSIS)) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora (come nel caso in esame è avvenuto) il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice e ciò anche nel caso in cui la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Anche il terzo motivo di ricorso è infondato atteso che la cronicizzazione dell’epatopatia post-trasfusionale non costituisce di per sè il requisito esclusivo per accedere ai benefici della legge di sostegno, ma con la malattia post-trasfusionale deve coesistere la documentata consapevolezza, per l’assistito dell’esistenza di un danno irreversibile (cfr. Cass. n. 837 del 2006 e più recentemente n. 27398 del 2013) ma anche la consapevolezza da parte dell’interessato dell’esistenza di un nesso causale tra la patologia e 1′ emotrasfusione. Inoltre deve essere consapevole che da essa sia derivato un danno irreversibile che possa essere inquadrato – pur alla stregua di un mero canone di equivalenza e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare – in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B annessa al testo unico approvato con D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834 (cfr. Cass. s.u. 8064 e 8065 del 2010, ord. sez. 6, lav. n. 22706 del 2010 e n. 19811 del 2013). L’esistenza di una soglia minima di indennizzabilità comporta che il termine di decadenza di tre anni di cui della cit. L. n. 210, art. 3, comma 1, comincia da decorrere dal momento della consapevolezza, da parte di chi chiede l’indennizzo, del superamento della soglia (Cass. s.u. nn.8064 e 8065 del 2010 cit.).

Ben vero che nell’accertamento del nesso causale si deve tener presente la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, diversamente da quanto accade nel processo penale, ove la prova del nesso causale deve essere fornita “oltre il ragionevole dubbio” (cfr. Cass. Sez. un. 11 gennaio 2008, n. 576, id.

n. 581/2008) e tuttavia la Corte territoriale, con accertamento in fatto in questa non censurabile, ha ritenuto che la P., dante causa degli odierni ricorrenti, nel (OMISSIS), quando venne redatto il certificato medico che attestava la positività al virus da epatite C, non era in condizione di conoscere l’esistenza del nesso causale tra la malattia e la pregressa trasfusione neppure su base probabilistica ed in termini di ragionevolezza.

Il giudice di appello ha verificato infatti che nella più volte ricordata certificazione medica del (OMISSIS) era riportata solo una ipotesi di genesi trasfusionale della malattia ma non era indicato alcun concreto elemento che potesse indurre la ricorrente a ritenere, secondo un criterio di ragionevole probabilità che l’epatite cronica andava collegata alla risalente trasfusione del (OMISSIS).

In conclusione il ricorso in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato, deve essere rigettato con ordinanza ex art. 375 c.p.c..

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il Ministero della Salute al pagamento in favore dei contro ricorrenti delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3000,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi oltre al 15% per spese forfetarie ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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