Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12018 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. I, 06/05/2021, (ud. 22/03/2021, dep. 06/05/2021), n.12018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi C. G. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16682/2019 proposto da:

D.K., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’Avvocato Tony Della Malva, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna depositato il 23/4/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/3/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Bologna, con decreto del 23 aprile 2019, rigettava il ricorso proposto da D.K., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento della protezione internazionale.

Il Tribunale, ritenute non credibili le dichiarazioni del migrante (il quale aveva raccontato di essere espatriato per salvare la vita sua e di suo padre, che aveva minacciato di uccidere prima il figlio e poi sè stesso se questi non avesse sposato la cugina), escludeva di conseguenza che a quest’ultimo potessero essere riconosciuti il diritto al rifugio ovvero la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

In assenza in (OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno, idonea a esporre la popolazione civile ad un grave pericolo per la vita o l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi, non era possibile neppure riconoscere la protezione sussidiaria in applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Nè era attribuibile la protezione umanitaria, non essendo emerse, anche in ragione della scarsa credibilità del migrante, situazioni di particolare vulnerabilità o un radicamento dello stesso all’interno del paese ospitante.

2. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso D.K. prospettando cinque motivi di doglianza.

L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 Il primo motivo di ricorso denuncia l’errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in quanto il Tribunale avrebbe omesso di valutare tutte le circostanze riferite dal ricorrente e si sarebbe limitato a dichiarare il migrante non credibile, senza un’adeguata e dettagliata motivazione.

3.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta l’errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7 e 8 in quanto il Tribunale non avrebbe riconosciuto lo status di rifugiato limitandosi a constatare che il ricorrente non era apparso convincente.

3.3 Il terzo motivo di ricorso si duole dell’errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art. 14, lett. a) e b), perchè il Tribunale ha tratto argomento dalla ravvisata non credibilità del racconto del migrante per negare la protezione sussidiaria, omettendo così di scendere nel merito e valutare tanto la minaccia alla sua incolumità, quanto l’obbligo a contrarre un matrimonio forzato in un contesto in cui lo stato della giustizia è inidoneo a garantire alcuna tutela.

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

4.1 La valutazione di affidabilità del dichiarante è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati all’interno del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei a illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019).

Il giudice di merito si è ispirato a questi criteri laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante in sede amministrativa e giudiziale, ha registrato come questi non avesse prontamente fornito tutti gli elementi in suo possesso, nel senso prescritto dall’art. 3, comma 1, appena citato, rilevando poi, a mente del successivo comma 5, lett. c), che il racconto era contraddittorio (rispetto all’indicazione delle generalità e al periodo durante il quale il D. si era trattenuto a casa della sorella, prima che la stessa morisse a causa dell’ebola) ed appariva in contrasto con le informazioni internazionali disponibili.

Una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Va esclusa invece l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal migrante, nel senso proposto in ricorso, trattandosi di censura attinente al merito; censure di questo tipo si riducono, infatti, all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 3340/2019).

4.2 Ne discende l’inammissibilità della seconda e della terza censura, che propugnano una diversa valutazione della credibilità del migrante allo scopo di veder riconosciuto lo status di rifugiato ovvero la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Si tratta – come appena detto – di un accertamento che rientra nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito e non può essere rivisto in questa sede di legittimità attraverso una diversa lettura dei fatti di causa.

5. Il quarto motivo di ricorso denuncia tanto l’errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), perchè il Tribunale ha tralasciato di considerare la minaccia grave alla persona prospettata dal ricorrente e la sua provenienza dallo Stato libico, quanto l’omessa valutazione di informazioni aggiornate relative alle condizioni di sicurezza umane in (OMISSIS).

6. Il motivo è inammissibile.

Ciò in primo luogo perchè la censura predica una “errata applicazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)” (facendo menzione di una decisione di questa Corte il cui testo, in realtà, non contiene la parte riportata fra parentesi all’interno della citazione compiuta), dato che il Tribunale avrebbe omesso di motivare il rilievo per cui la minaccia grave alla persona non integra una fattispecie tutelabile anche tramite la protezione sussidiaria, e allega così, più che un’erronea sussunzione della norma rispetto al fatto, un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ponendosi al di fuori dei limiti propri del mezzo di impugnazione utilizzato.

Peraltro, il giudice di merito ha constatato, dall’esame delle più recenti ed accreditate fonti di informazione internazionale, l’inesistenza in (OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno idonea a esporre la popolazione civile ad un grave pericolo per la vita o l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi, escludendo di conseguenza il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

Il mezzo in esame tralascia del tutto di confrontarsi con una simile motivazione e di formulare una puntuale critica della decisione impugnata a questo proposito, indicando in maniera esplicita e specifica le ragioni per cui essa sarebbe errata.

7. Il quinto motivo prospetta la violazione dell’art. 5, comma 6 T.U.I. ed assume che il Tribunale abbia omesso l’esame dei requisiti di vulnerabilità del ricorrente, escludendo la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria sulla base della valutazione di non credibilità del ricorrente, malgrado tale giudizio non esimesse dal considerare ulteriori profili esterni alla vicenda personale e non inseparabilmente legati ad essa.

8. Il motivo è inammissibile.

Il collegio di merito, all’esito del giudizio di non credibilità, non ha affatto automaticamente escluso la possibilità di riconoscere la protezione umanitaria, ma ha constatato come non emergessero situazioni di peculiare vulnerabilità, anche perchè non era possibile evidenziare un radicamento sul territorio del migrante.

A fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito e non possono essere rivisti in questa – la doglianza, ancora una volta, non tiene in alcun conto gli argomenti offerti dal giudice di merito e propone una critica priva del necessario carattere di riferibilità alla decisione impugnata.

9. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

 

 

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