Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12017 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/06/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 19/06/2020), n.12017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2634/2014 proposto da:

Centro Formazione Ricerche e Servizi per le imprese s.r.l. (C.F.:

02684640614), con sede in Marcianise (CE), Zona ASI Agg.to S. Marco

Evangelista, s.s. 87 Km 20,700, in persona del legale rappresentante

Paolo Verolla, nato ad Aversa (CE) il 26 dicembre 1989 (C.F.:

VRLPLA89T26A512Y), rappresentata e difesa, giusta procura speciale

in calce al ricorso, dall’Avv. Francesco Giuliani (C.F.:

GLNFNC64A16H703K), del Foro di Roma, ed elettivamente domiciliata

presso il suo studio in Roma, alla Via Sicilia n. 66;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato(C.F.: 80224030587), presso cui è domiciliata in Roma, alla

Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 124/51/2013 emessa dalla CTR Campania in

data 03/06/2013 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’adunanza camerale del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il Centro Formazioni Ricerche e Servizi per le imprese s.r.l. proponeva opposizione avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate di Caserta con il quale provvedeva al recupero per l’anno 2006 di una maggior imposta IRES per Euro 27.474,00, oltre accessori.

Deduceva che l’accertamento traeva origine dall’applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, essendo la società stata ritenuta non operativa e di comodo, con la conseguente applicazione di una redditività minima.

La società sosteneva di non aver potuto svolgere la propria attività a causa del mancato rilascio da parte della Regione Campania delle autorizzazioni necessari, pur avendo essa posto in essere tutto quanto di propria competenza; assumeva, pertanto, che il mancato rilascio delle autorizzazioni era dipeso unicamente dalle lungaggini burocratiche della Regione Campania e contestava di essere stata costituita al solo fine di gestire il patrimonio nell’interesse dei soci.

Si costituiva in giudizio l’Ufficio, deducendo l’infondatezza della pretesa e la legittimità del proprio operato e che erano state ritenute insussistenti le oggettive situazioni che avrebbero potuto portare alla disapplicazione della normativa antielusiva, non potendosi, a suo dire, ritenere che il mancato o tardivo ottenimento delle necessarie autorizzazioni regionali fosse dipeso da lungaggini burocratiche, essendo riconducibile a fatti o accadimenti imputabili alla società ed evitabili con l’utilizzo della normale diligenza. Evidenziava, infine, tutte le altre circostanze fattuali che lasciavano ragionevolmente ritenere che la società fosse stata costituita al solo scopo di gestire ih patrimonio nell’interesse dei soci utilizzando il più fiscalmente favorevole schermo societario.

La C.T.P., con decisione n. 28/13/2011, rigettava il ricorso e condannava la CE.FO.R.S. s.r.l. al pagamento delle spese di causa.

Avverso tale decisione proponeva appello la contribuente, eccependo l’illegittimità della sentenza e dell’accertamento ed insistendo:

in via principale, per l’annullamento dell’accertamento;

in via subordinata, per la declaratoria della non debenza delle sanzioni irrogate, in applicazione del principio di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 (esistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali le sanzioni si riferiscono).

L’Ufficio depositava controdeduzioni a sostegno del proprio assunto ed insisteva per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.

Con sentenza del 3.6.2013 la CTR Campania rigettava l’appello, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) la società, nel proporre il gravame avverso la decisione dei primi giudici, non aveva fornito ulteriori elementi di prova a sostegno del proprio assunto;

2) la sentenza di primo grado era sostenuta da ampia e logica motivazione per nulla contrastata e scalfita dai rilievi della società;

3) le oggettive situazioni sostenute dalla contribuente nel ricorso e ribadite nell’atto di appello in realtà non sussistevano;

4) le situazioni di fatto facevano ritenere che la società fosse stata costituita al solo fine di gestire un patrimonio immobiliare nell’interesse dei soci, utilizzando lo strumento societario come schermo per occultare gli effettivi proprietari e per avvalersi delle norme fiscali più favorevoli dettate per le società;

5) almeno per l’anno accertato (2006) poteva, dunque, affermarsi la non operatività della CE.FO.R.S. s.r.l. costituita per gestire un patrimonio nell’interesse di una strettissima cerchia di soci e di parenti, e non per esercitare una effettiva attività d’impresa;

6) le argomentazioni dedotte dalla società per contrastare l’assunto

dell’Ufficio (relative al mancato rilascio delle autorizzazioni da parte della Regione Campania – avuto riguardo alle lungaggini burocratiche, nonchè ai ritardi nei controlli audit da parte della stessa -) non avevano trovato nel loro complesso puntuale riscontro in fatti certi ed incontrovertibili e si appalesavano generiche, pretestuose, e prive di concretezza.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Centro Formazione Ricerche e Servizi per le imprese s.r.l., sulla base di quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Con nota del 3.10.2017 la società ricorrente ha dato atto di aver aderito alla definizione delle liti pendenti, ai sensi del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, art. 11, comma 1, convertito con modificazioni, dalla L. 21 giugno 2017, n. 96, e, per l’effetto, ha chiesto la sospensione del presente giudizio ai sensi del D.L. cit., art. 11, comma 8.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 e della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che la paralisi dell’attività di formazione e di ricerca era dipesa esclusivamente dall’impossibilità oggettiva di porre in essere l’attività a causa della mancanza del documento essenziale rappresentato dal provvedimento di accreditamento per l’effettuazione di corsi di formazione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 111 Cost., comma 7, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 4, e art. 6 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR rigettato integralmente le sue difese limitandosi a recepire acriticamente le argomentazioni dei giudici di primo grado.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la CTR omesso di esaminare i documenti prodotti in giudizio.

4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essersi la CTR pronunciata sul primo motivo di appello, con il quale aveva denunciato la contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado.

5. Come esposto in premessa, con nota del 3.10.2017 la società ricorrente ha dato atto di aver aderito alla definizione delle liti pendenti, ai sensi del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, art. 11, comma 1, convertito con modificazioni, dalla L. 21 giugno 2017, n. 96, e, per l’effetto, ha chiesto la sospensione del presente giudizio ai sensi del D.L. cit., art. 11, comma 8.

A sostegno di tale istanza ha depositato copia del modello di istanza di definizione delle liti pendenti, unitamente alla ricevuta di trasmissione telematica rilasciata dall’Agenzia delle entrate, e copia del modello di versamento relativo alla prima rata quantificata dalla stessa Agenzia.

Nessun diniego della definizione operata risulta essere intervenuto, a seguito della presentazione della domanda di definizione agevolata della controversia (ai sensi del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, art. 11, conv. in L. n. 96 del 2017), nel termine del 31 luglio 2018, nè alcuna istanza di trattazione risulta presentata dall’Agenzia delle Entrate entro il termine del 31 dicembre 2018.

In merito si rappresenta che il D.L. n. 50 del 2017 cit., art. 11, comma 10, stabilisce che “L’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2018 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite. Nel caso in cui la definizione della lite è richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale può essere impugnata unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo. Il processo si estingue in mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2018 dalla parte che ne ha interesse. L’impugnazione della pronuncia giurisdizionale e del diniego, qualora la controversia risulti non definibile, valgono anche come istanza di trattazione. Le spese del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate”.

Da ciò consegue che il processo deve essere dichiarato estinto.

Invero, in tema di definizione agevolata D.L. n. 50 del 2017, ex art. 11 (conv. con modif. dalla L. n. 96 del 2017), l’omessa presentazione dell’istanza di trattazione entro il 31 dicembre 2018 determina, ai sensi del comma 10 della stessa disposizione normativa, l’estinzione del processo (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18107 del 05/07/2019). In particolare, in tema di adesione del contribuente alla definizione agevolata D.L. n. 50 del 2017, ex art. 11, poichè la sospensione del giudizio opera su istanza di parte al solo fine di riscontrare l’effettiva definizione della lite, il pagamento del dovuto da parte del contribuente equivale all’integrazione di tale condizione e consente al giudice, pertanto, di dichiarare d’ufficio la cessazione della materia del contendere, con conseguente estinzione del processo (Sez. 5, Sentenza n. 31021 del 30/11/2018).

Le spese del giudizio estinto restano a carico di chi le ha anticipate, per espressa previsione dell’art. 11 cit., comma 10, ultimo periodo.

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il giudizio e pone le spese a carico di chi le ha anticipate.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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